Un piccolo spoiler per questa intervista: ho concluso la chiamata con Renata dicendole “Alessandro è proprio fortunato”.
Renata è una donna che ha a che fare con il diabete ormai da tempo: è moglie di Diego, che ha il diabete di tipo 1 dall’età di 20 anni, e di madre di Alessandro, il cui esordio è avvenuto alla fine del 2021, quando aveva solo due anni e mezzo e Vittoria, la sorellina più piccola, aveva solo 6 mesi.
Nessuno, scoprirò durante la nostra chiamata, vuole pensare che un bambino di soli due anni e mezzo possa essere diabetico, nemmeno i suoi medici. La pediatra di famiglia è fermamente convinta dell’impossibilità di questo evento e accetta di malavoglia di fare i primi test quando Renata e Diego insistono perché Alessandro è perennemente assetato.
Per circa un mese vivono in un limbo di incertezza e di non accettazione, finché Renata, appena rientrata dalla maternità, decide di prendere le cose in mano: è lei ad eseguire il test ad Alessandro con il dispositivo di Diego.
I 30 secondi più lunghi della loro vita.
Il risultato?
576 di glicemia e una corsa al pronto soccorso dell’ospedale Bambin Gesù di Roma.
“Signora, la diagnosi l’ha fatta lei”, le dicono in ospedale.
“Non posso dire che ci sia caduto il mondo addosso, perché noi con il diabete vivevamo già. L’unica cosa per cui ho pianto, in quei cinque giorni di degenza, è stato pensare a quanto fosse piccolo Alessandro. Poi siamo usciti e, me lo ricorderò per sempre, Alessandro mi ha detto ‘Mamma, guarda che bello ci sono le nuvole’ e qualcosa è scattato. La nostra vita come famiglia ha avuto un nuovo inizio”.
Il diabete, in fondo, era un inquilino già presente in questa casa, la diagnosi di Alessandro porta semplicemente un po’ di novità e qualche aggiornamento.
Diego, che prima utilizzava altri strumenti, si converte al dispositivo di monitoraggio ora che anche Alessandro usa quello per il controllo h24. Marito e figlio condividono il momento della punturina, Diego carica la sua penna e Alessandro impara a fare lo stesso per gioco aspettando il suo turno.
Anche la sorellina Vittoria nel tempo si unisce a questi rituali, portando la penna ad Alessandro e battendo le mani al cambio del dispositivo.
Renata e Diego imparano che quello che l’età di Alessandro davvero non permette è l’eccessiva rigidità e il lasciare trasparire troppa paura: “Per questo abbiamo cercato di rendere il tutto il più semplice possibile, prendendola come un gioco e con leggerezza. Per Alessandro la punturina è un aiuto che diamo al suo corpicino e abbiamo trovato altri modi giocosi per i momenti dedicati al sensore. L’abbiamo resa il più dolce possibile”, aggiunge ridendo per la sua scelta di parole.
Con il passare del tempo, però, l’età così giovane di Alessandro si rivela un dono: “il dottore mi ha aperto gli occhi dicendomi ‘Alessandro non si ricorderà la differenza tra il prima e il dopo’ e aveva ragione. Mio marito si è sentito un malato, un diverso. Alessandro invece conoscerà solo la vita con il diabete, ma soprattutto con una cura”.
Il gioco di squadra resta principalmente in casa perché, purtroppo, sul territorio non sono presenti associazioni o gruppi di sostegno. Renata e Diego non conoscono altre famiglie con il diabete ad eccezione di una bambina molto più grande nella scuola di Alessandro: i genitori si incontrano in uno dei tanti momenti di turno in pausa pranzo per fare la puntura ai propri figli. “Con loro ci sosteniamo e facciamo squadra, in fondo ci siamo conosciuti perché eravamo lì per lo stesso motivo”.
La gestione del diabete è davvero un gioco di famiglia e ognuno ha la sua parte: Diego, quale genitore diabetico, è custode di una conoscenza in prima persona; Renata invece sa di “non potere capire fino in fondo ogni sensazione” ma usa la sua energia per seguire la ricerca, le persone che già parlano di diabete e, fin dal principio, sostenerlo e difenderlo contro l’ignoranza, sia essa quella (scioccante) di alcuni medici o quella delle persone comuni, fatta di pietismo inconsapevole.
“Bisogna smetterla di far sentire i bambini con il diabete dei diversi e dei poverini: non c’è nulla di cui intristirsi nel vederli fare una puntura. La puntura è una cura e la cura salva la vita”.
“Ti vedo combattiva”, le dico.
“Lo sono. E voglio lasciare un messaggio a tutti i genitori: seguite il vostro sesto senso. Se vedete sintomi che non riuscite a spiegare come l’eccessiva sete, fatevi coraggio e chiedete di fare una misurazione in farmacia. Toglietevi il pensiero. È vero, è un pensiero importante e, nel caso, un percorso complesso, però è comunque un tentativo da fare. Togliersi il dubbio è meglio che tenerselo, per noi è stato così. La diagnosi è stata un dono perché gli ha permesso di accedere alla cura”.