DIABETE GESTAZIONALE: NUOVI CRITERI DIAGNOSTICI
Quando scatta l’allarme mamma
Procedure più semplici e una soglia glicemica più bassa per individuare quel particolare tipo di diabete legato alla gravidanza: un progresso che dà maggiori certezze e possibilità di interventi terapeutici più tempestivi
Torniamo a parlare di diabete gestazionale (dopo il dossier dedicato all’argomento sul numero 3/2009), perché l’approfondimento scientifico sulle modalità di diagnosi, a lungo oggetto di discussione, hanno proprio recentemente trovato un punto di approdo. Punto di partenza della questione era che non potevano essere applicati alle donne gravide i criteri diagnostici utilizzati per il diabete al di fuori dello stato gravidico. Era infatti evidente che lo sviluppo del feto fosse sensibile a un incremento della glicemia materna minore di quello che giustifica la diagnosi di diabete in un soggetto fuori dello stato gravidico. Fino a oggi erano tuttavia mancati sicuri punti di riferimento per definire i limiti della normalità del metabolismo glucidico in corso di gravidanza.
Per questo era necessario impostare un grande studio, lo studio Hapo (Hyperglycemia and adverse pregnancy outcome) -che ha coinvolto ben 25.000 donne di diverse nazioni ed etnie, di età superiore a 18 anni, non affette da diabete clinicamente evidente né in atto né pregresso, e senza una storia di precedenti complicanze gravidiche- per dare una risposta definitiva a questa domanda (New Engl. J. Med. 2008; 358:1991-2002). Tutte hanno eseguito, al terzo mese di gravidanza, un carico di glucosio di 75 g e si è valutata la glicemia al tempo 0 e dopo una e due ore. Sono state escluse dalle fasi successive dello studio quelle donne che hanno presentato, al carico di glucosio, valori di glicemia a digiuno >105 mg/dL e dopo 2 ore >200 mg/dL, di per sé indicativi di diabete mellito. Le restanti donne (23.316) sono state seguite per tutto l’arco della gravidanza, valutando, al termine di questa, la relazione esistente fra i valori glicemici rilevati al carico di glucosio e alcuni parametri indicativi dell’esito della gravidanza.
L’indicazione emersa dallo studio è stata estremamente illuminante. Tutti i parametri considerati e cioè l’aumento del peso alla nascita, la presenza di ipoglicemia neonatale, la concentrazione di peptide C nel sangue del cordone ombelicale (che esprime l’entità della secrezione insulinica del neonato), sul versante neonatale, e la frequenza del ricorso al parto cesareo, di parto distocico o di pre-eclampsia, sul versante materno, mostrano una correlazione diretta con i valori di glicemia rilevati durante il carico di glucosio in condizioni di base e dopo una e due ore. In altri termini, gli esiti non desiderati della gravidanza aumentano con l’aumentare dei valori di glicemia, anche se compresi ancora in un’area di apparente normalità. La glicemia rappresenta perciò un fattore di rischio continuo, senza che sia possibile riconoscere un valore-soglia al di sopra del quale compaiono gli effetti negativi. Si ripete cioè per la gravidanza quello che era stato già chiarito per le complicanze microangiopatiche del diabete (retinopatia, nefropatia, eccetera) che appaiono correlate con il valore della emoglobina glicata -che esprime il valore medio della glicemia degli ultimi due mesi- senza che sia possibile individuare un valore-soglia.
La mancanza di un livello glicemico in corrispondenza del quale compaiono gli effetti indesiderati della gravidanza ha reso necessaria l’organizzazione di una conferenza di consenso da parte della International association of diabetes and pregnancy study groups (Iadpsg) che si è svolta a Pasadena nel giugno del 2008 per una analisi dettagliata dello studio Hapo e di altri studi minori. Le conclusioni formulate al termine di un lungo dibattito ed elaborate da un panel di esperti della associazione e pubblicate nel marzo 2010 (Diabetes Care 2010; 33: 676), rappresentano il punto di riferimento per la definizione dei nuovi criteri diagnostici del diabete gestazionale.
I valori glicemici scelti come indicativi di diabete gestazionale e quindi meritevoli di intervento terapeutico sono i valori medi di glicemia, che comportano un rischio superiore di 1,75 volte per la comparsa delle complicanze sopra ricordate. In particolare, sono stati considerati validi per la diagnosi di diabete gestazionale valori di glicemia iniziali >92 mg/dL, a un’ora >180 mg/dL e a due ore >153 mg/dL (vedi tabella).
La prassi da seguire è perciò la seguente. Il primo tempo è dato dalla identificazione delle donne già affette da diabete sconosciuto, al momento della prima visita prenatale. La diagnosi di diabete pre-esistente viene posta sulla base del rilievo di una glicemia a digiuno >125 mg/dL -da confermare in due occasioni- o di una glicemia random nel corso della giornata >200 mg/dL -da confermare con il rilievo di una glicemia a digiuno >125 mg/dL- o, infine, di un valore di emoglobina glicata (HbA1c) ≥6,5%. La diagnosi di diabete gestazionale si pone con un valore di glicemia a digiuno superiore a 92 mg/dL, ma inferiore a 126 mg/dL.
Infine, tutte le gestanti che abbiano valori di glicemia a digiuno <92 mg/dL devono eseguire un carico orale di glucosio con 75 g tra la ventiquattresima e la ventottesima settimana di gestazione. Si pone diagnosi di diabete gestazionale quando uno o più valori risultano superiori a quelli soglia (vedi tabella). Il valore della glicemia a digiuno consente di individuare l’8,3% di donne con diabete gestazionale. La percentuale aumenta al 14% e al 16,1% con il superamento della soglia anche per i valori di glicemia a una e due ore. Se a questi valori si somma la quota di gestanti riconosciute affette da diabete già alla prima visita prenatale, la percentuale di donne avviate verso un percorso terapeutico sale al 17,8%, una percentuale assai superiore a quella finora considerata.
Nella conclusione del panel di esperti della Iadpsg si legge che tutte le donne con glicemia <92mg/dL, alla prima visita, debbano sottoporsi al carico orale di glucosio. E’ tuttavia possibile lasciare all’esperienza del singolo centro l’eventuale esclusione dal carico di glucosio delle gestanti che siano di giovane età, non siano obese e riferiscano un peso normale alla nascita, non abbiano una familiarità per il diabete, (intesa come assenza di diabete nei familiari di primo grado) e che non appartengano a etnie con alta incidenza di diabete.
E’ implicito che la diagnosi di diabete gestazionale impone un controllo accurato della glicemia durante la gravidanza e l’instaurazione di una terapia, inizialmente mirata alla correzione dello stile di vita (educazione nutrizionale e motoria) e, se non sufficiente a far rientrare i valori glicemici entro i limiti stabiliti dai criteri diagnostici, anche inclusiva del trattamento insulinico. Malgrado alcune voci contrarie in proposito, è tuttavia da escludere, nel corso della gravidanza, l’uso di ipoglicemizzanti orali di qualsiasi natura.
I nuovi criteri diagnostici, approvati anche nel nostro Paese da una Conferenza nazionale di consenso per lo screening e la diagnosi del diabete gestazionale, convocata dal Gruppo di studio Diabete e gravidanza Sid-Amd nel marzo 2010, mettono ordine in un ambito che, per decenni, è stato oggetto di controversie e di incertezze. Con la loro introduzione, viene a cadere la prassi precedente, fondata sulla esecuzione di un test di screening, consistente in un minicarico di 50 g di glucosio con rilevazione della glicemia dopo 60 minuti. Il cut off diagnostico per questo test era stato identificato in un valore di glicemia ≥140 mg/dL. La positività del test di screening preludeva alla esecuzione di un test diagnostico, per il quale la scelta cadeva preferenzialmente sul carico orale di 100 g, con una valutazione della glicemia su sangue intero fino alla terza ora, proposto da John B. O’Sullivan nel 1964.
La nuova procedura, oltre che più efficace, appare anche più lineare della precedente e più facile da seguire. Ogni progresso apre tuttavia nuovi problemi e questi sono rappresentati, nel caso particolare, dall’inevitabile aumento della diagnosi di diabete gestazionale indotto dall’abbassamento dei valori-soglia rispetto ai precedenti criteri. Il rischio è perciò quello di una eccessiva medicalizzazione della gravidanza e di un incremento dei costi sanitari. La soluzione del problema consiste, come sempre, in una applicazione ragionevole della procedura diagnostica, guidata anche dal giudizio clinico, e nella preferenza da accordare, comunque, alla educazione delle gestanti verso uno stile di vita corretto. Il fine ultimo è quello di garantire una piena normalità di decorso e di esito della gravidanza a tutte le gestanti, anche in presenza di una anomalia del metabolismo glucidico.
LA DIAGNOSI SI FA COSI’
Valori-soglia per la diagnosi di diabete gestazionale o di diabete manifesto in gravidanza con carico orale di 75 g di glucosio.
Valori soglia della glicemia (mg/dL) | % di gestanti sopra la soglia | |
Glicemia a digiuno | 92 | 8,3 |
Glicemia a 1 ora | 180 | 14,0 |
Glicemia a 2 ore | 153 | 16,1 |
Il test è positivo se uno o più valori glicemici superano i valori-soglia. La metà dei casi con diabete gestazionale viene individuata con il semplice valore della glicemia a digiuno (8,3%). Nella casistica dello studio HAPO, l’1,7% delle gestanti era affetta da diabete manifesto senza saperlo.
DIABETE IN GRAVIDANZA: CAUSE E RISCHI
Perché sale la glicemia
Le variazioni del metabolismo materno servono al corretto accrescimento del feto, ma devono essere tenute sotto controllo al fine di proteggere la salute sia della madre sia del nascituro e di evitare possibili complicanze
Si definisce diabete gestazionale quella forma di diabete che si sviluppa elettivamente nel corso della gravidanza in donne precedentemente non diabetiche. Ciò è possibile perché la gravidanza di per sé, particolarmente a partire dal secondo trimestre, svolge un effetto diabetogeno, essendo caratterizzata dalla comparsa di una condizione di progressiva resistenza all’azione fisiologica dell’insulina. Questa variazione dell’atteggiamento metabolico materno non è senza una precisa finalità. Essa è infatti diretta a garantire un corretto accrescimento del feto che richiede un flusso costante dal circolo materno di substrati energetici necessari per la organogenesi fetale. Si comprende perciò perché, attraverso la resistenza insulinica, si ponga un limite alla utilizzazione, da parte dell’organismo materno, del glucosio o di altri substrati, per favorirne invece, attraverso il circolo placentare, il passaggio al feto per le sue richieste energetiche.
La riduzione progressiva della sensibilità insulinica che si stabilisce durante la gravidanza è orchestrata fisiologicamente dalle azioni metaboliche degli ormoni secreti dalla unità feto-placentare e cioè dal lattogeno placentare, un ormone polipeptide che appartiene alla stessa famiglia dell’ormone della crescita e della prolattina, dagli estrogeni e dal progesterone, la cui concentrazione plasmatica cresce progressivamente con l’avanzamento della gravidanza. In condizioni di normalità, la resistenza all’insulina è compensata da un aumento di due-tre volte della secrezione insulinica. Se, tuttavia, la funzione insulare non è in grado di assicurare questo adattamento, per cause geneticamente determinate o acquisite, la glicemia supera i valori fisiologici e compare il diabete che, essendo strettamente legato allo stato gravidico, viene definito gestazionale.
Questo tipo di diabete si risolve di norma spontaneamente con il parto, anche se le donne che ne sono affette hanno una maggiore probabilità di sviluppare un diabete di tipo 2 più tardi nel corso della vita. Ma la presenza di una condizione di iperglicemia durante la gravidanza si rende responsabile di possibili complicanze a carico sia della madre sia del feto. Tipica fra le complicanze fetali è la macrosomia, definita come peso alla nascita superiore a 4000 g. In realtà, non sarebbe corretto far riferimento semplicemente al peso assoluto, senza tener conto dell’età gestazionale al momento della nascita e, pertanto, dovremmo definire la macrosomia come peso superiore al 90° percentile per età gestazionale.
La principale componente della macrosomia è rappresentata da un eccesso di tessuto adiposo che, nei neonati di madri diabetiche, può raddoppiare rispetto a quello dei bimbi di non diabetiche, ma anche altri tessuti insulino-sensibili, come il parenchima epatico, il miocardio e altri visceri possono presentare un incremento di volume. La macrosomia è infatti causata dall’iperglicemia materna che rende possibile un esagerato trasferimento al feto di glucosio, che, a sua volta, stimola le insule pancreatiche fetali a produrre più insulina. L’eccesso di insulina nel circolo fetale, con le sue azioni anaboliche, è responsabile dell’accumulo di tessuto adiposo, della visceromegalia e dell’aumento di peso alla nascita. E’ ancora alla iperinsulinemia che deve essere attribuita l’ipoglicemia neonatale, presente in un’alta percentuale di figli di madre diabetica, e la possibile comparsa di una sindrome da distress respiratorio. L’iperinsulinemia fetale determinerebbe, infatti, un deficit di surfattante, inibendo la sintesi della componente fosfolipidica. Poiché la funzione del surfattante è quella di ridurre la tensione superficiale degli alveoli facilitando l’espansione dei polmoni dopo il parto, è facile comprendere come un suo difetto possa compromettere la funzione respiratoria del neonato. Infine, nei bambini macrosomici si osserva con maggiore frequenza, anche l’ittero neonatale, che richiede talvolta il ricorso alla fototerapia e, pur se raramente, una ex sanguino-trasfusione.
E’ anche comprensibile come una macrosomia fetale possa ripercuotersi negativamente, sul versante materno, determinando un parto distocico (cioè non naturale e fisiologico), aumentando il ricorso al parto cesareo o ponendo le basi per l’insorgenza di una pre-eclampsia (sindrome che comporta edema, proteinuria e ipertensione).
Alla luce di queste possibili complicanze, è spiacevole dover constatare che la frequenza del diabete gestazionale è in progressivo incremento in tutti i Paesi. Un elemento determinante in tal senso è rappresentato dalla progressiva diffusione dell’obesità che, di per sé, è causa di resistenza insulinica che, sommandosi a quella indotta dalla gravidanza, facilita la comparsa del diabete gestazionale.
Da qui, la necessità di riconoscere tempestivamente il diabete gestazionale e di iniziare una terapia che, riportando alla norma la glicemia, prevenga le complicanze fetali. La definizione certa dei criteri diagnostici del diabete gestazionale è pertanto la premessa obbligatoria per l’impostazione di un corretto approccio terapeutico.
Occhio alla bilancia
Uno studio caso-controllo condotto a Oakland in California, su 345 casi di diabete gestazionale e 800 soggetti di controllo, ha dimostrato che un aumento eccessivo del peso corporeo nel primo trimestre di gravidanza aumenta il rischio della comparsa di diabete gestazionale (Gdm, gestational diabetes mellitus). La diagnosi di Gdm è stata formulata con la utilizzazione del test di O’Sullivan che prevede la somministrazione di 100 g di glucosio e la valutazione della glicemia nell’arco di tre ore. Le gestanti sono state suddivise in tre gruppi a seconda che l’incremento del peso corporeo fosse < 0.27 Kg la settimana, oppure compreso fra 0,27 e 0,40 Kg o ≥ 0,41 Kg. Rispetto alle donne con il più basso incremento di peso, quelle con incremento intermedio (0,27-0,40 Kg la settimana) o più elevato (≥ 41 Kg la settimana) hanno presentato un rischio maggiore rispettivamente di 1,43 e 1,74 volte di sviluppare il Gdm (Hedderson M. M. e altri, Gestational Weight Gain and Risk of Diabetes Mellitus. Obstetrics and Gynecology 2010; 115:597-604).
L’aumento del peso durante il primo trimestre di gravidanza è riferibile, per almeno il 30%, all’accrescimento del grasso materno. Pertanto, l’aumento eccessivo di peso, in questo periodo della gravidanza, è riconducibile a una deposizione di tessuto adiposo superiore a quella fisiologica. Da ciò deriva una riduzione della sensibilità insulinica maggiore di quella che fisiologicamente caratterizza lo stato gravidico e, di conseguenza, un esaurimento della funzione beta-cellulare con incapacità delle cellule beta a secernere una quantità di insulina idonea a compensare la resistenza insulinica che si instaura successivamente con il progredire della gravidanza.
Gli autori dello studio raccomandano perciò di porre una particolare attenzione al controllo dell’aumento di peso nella prima fase della gravidanza perché questo è un fattore di rischio modificabile per l’insorgenza del diabete gestazionale.