Quella cantilena di “oddìo” che non finisce mai. L’intervista a Martina

“Mi sono chiesta di cosa avrei voluto parlare in questa intervista. Non volevo eccedere nella positività, perché ne siamo bombardati in maniera tossica e forzata, e perché il mio esordio diabetico l’ho preso con una tranquillità che ora non ritrovo più nella mia vita di tutti i giorni”.

Martina, studentessa umbra di Lettere Moderne a Bologna, mi ha raccontato della peculiarità di vivere il proprio esordio durante la pandemia di Covid-19, proprio nel mese di marzo 2020, quando la quarantena aveva appena avuto inizio.

È stato l’inizio di un cambiamento radicale”. C’è stata l’entrata in pronto soccorso eccezionale, giusto il tempo di spiegarle come usare i primi dispositivi, prescriverle una dieta particolare e il compito di tenere un diario alimentare per poter poi modulare la somministrazione di insulina. Ma la peculiarità del suo percorso, mi racconta, sta proprio in una sorta di scoppio ritardato.

Rido perché all’inizio io avevo preso abbastanza bene, forse quasi me lo aspettavo, magari non così presto, ma due anni prima avevo fatto delle analisi specialistiche che rivelavano un’alta probabilità per me di sviluppare il diabete di tipo 1. Mi credevo già preparata, complice il fatto che anche mio padre aveva ricevuto la diagnosi pochi anni fa, anzi è grazie a lui che lo abbiamo preso in tempo”.

Sono passati tre anni da allora e tantissime cose sono cambiate, in primis il rapporto che Martina ha con il controllo, un tema verso il quale si è irrimediabilmente proiettati e che mai abbandona chi vive con il diabete, ma che ora si è fatto molto più urgente. Perché se è vero che la pandemia di Covid-19 è stata un evento tragico e complesso per tutti, nel caso di Martina ha ridotto imprevisti e difficoltà. “Se scopri di avere il diabete mentre sei costretta a stare in casa è molto più facile da gestire. Tutto viene ridotto al minimo, dall’attività sportiva agli appuntamenti a tavola, le cose che ti fanno stare più tranquilla sono tutte li con te. Nell’ultimo anno invece si è tornati molto di più verso la normalità, sono tornata a Bologna, ho ripreso danza, una delle mie passioni e ho iniziato a comportarmi come una persona di 21 anni.” 

Ma il diabete c’è ancora. C’è anche quando sei al terzo anno di università, senti la pressione per gli ultimi esami e la paura per il futuro, e il controllo che prima avevi comincia a scivolarti via dalle dita.

“In questo ultimo anno è stato gestito peggio di prima. Sono entrata in quella fase di negazione che non avevo mai avuto, perché non è facile fare la vita da studentessa ventunenne se hai il diabete. Non è facile sentirsi chiedere di andare a fare una merenda o una bevuta. Non perché non si possa fare niente ma perché non mi sento libera: il dover mantenere il controllo, il carico di ansia che comporta, di pesantezza, poi ti porta a non volerle fare. Non sono mai completamente tranquilla e non mi godo quello che sto facendo al 100%, non quando mi basta fare tardi la sera per vedere la glicemia sballata”.

Ancora più difficile è continuare a cercare un giusto equilibrio con il controllo quando ci sono avvenimenti complicati, come i momenti di ipoglicemia mentre fai danza ed emergono tantissime emozioni una dietro l’altra: la delusione di non poter dare il 100%, il perfezionismo che ti porta a pensare di dover abbandonare, l’essere combattuta tra il fermarsi e il prendere una bustina di zucchero e continuare (“La mia diabetologa mi sgrida sempre moltissimo quando le racconto che mangio e riparto direttamente in stile The Show Must Go On”). Infine, subentra l’ansia di aver sovracompensato, di andare in iperglicemia. “Insomma, nella mia testa c’è come una cantilena di OddìoOddìoOddìo che non finisce mai”.

In questi giorni Martina è particolarmente sovraccarica di emozioni e informazioni, mi racconta, perché ha un nuovo dispositivo di monitoraggio continuo a cui si sta abituando. È la prima in Umbria a usarlo, la sua Dottoressa ha suggerito il cambio dopo un episodio avvenuto circa tre settimane fa, a seguito di un episodio di ipoglicemia talmente grave da svenire in una stazione per gli autobus. “Mi ha salvato una signora che ha chiamato l’ambulanza e poi ha usato la mia impronta digitale per sbloccare il mio telefono e contattare mia madre che ha così potuto riportare il mio diabete. Io non ricordo molto, ma mi è stato detto che per quindici minuti avevo gli occhi aperti ma non ero in grado di parlare. Non mi sono ancora ripresa del tutto da questa esperienza”.

Ci tiene molto a parlare di quello che è successo perché, mi spiega, quell’episodio è stato causato da un insieme di fattori, tra cui un errore di valutazione nei confronti dei segnali del proprio corpo. “Mi sono accorta (che qualcosa non andava quando) era già troppo tardi. Se non fosse stato per l’abitudine a rimandare forse l’episodio sarebbe stato ridimensionato.”

“Vorrei che passasse il messaggio che gli incidenti capitano, che davvero non si può controllare tutto ma eventi di ipoglicemie così gravi possono e devono essere evitati e prevenuti. Voglio che la mia esperienza possa essere d’aiuto per qualcun altro, perché non commetta i miei stessi errori.”

Nei giorni buoni e nei giorni brutti, infine, quello che davvero aiuta è avere persone che ti vogliono bene che si informano in maniera autonoma, senza che venga loro richiesto, come ha fatto la sua migliore amica. Da non sottovalutare, inoltre, l’apporto di vera positività che può dare il vedere persone famose che vivono la propria vita e il diabete, come la modella Bambi Northwood-Blyth, che ha scoperto grazie a Instagram.

Soprattutto, mi dice Martina prima di salutarsi, non fingere che sia tutto rose e fiori, perché, per citarla un’ultima volta, “Al massimo le rose e i fiori le possiamo mettere dopo”.