Quota 6557 m: il senso della rinuncia

22-23-24/7/04 Quota 6557 m.: il senso della rinuncia

Sono le cinque del mattino di venerdì 23 luglio, un’ennesima alba all’insegna del maltempo: il copritelo della tendina sbatacchia in balia del vento e della neve e le cime che contornano il ghiacciaio Goldwin Austen scaricano valanghe senza requie. Qui al campo base le notti sono molto, molto lunghe, troppo spesso trascorrono una simile all’altra e quando il sonno mi abbandona, il tempo per riflettere si dilata, conquistando spazi altrimenti non concessi nella vita ritenuta normale, quella dell’altra parte del mondo. Ascolto la voce del vento che per il venticinquesimo giorno consecutivo spira da sud e non mi racconta nulla di nuovo e non sa alimentare nuove speranze. Le fauci sono arse dalla secchezza dell’aria dei 5000 metri, la bocca è impastata, il gusto è amaro, per fortuna la glicemia è buona. In venticinque giorni di campo base solo sette sono stati, parzialmente, di bel tempo. Una stagione estiva nata male e proseguita peggio: fin dal trekking partito sotto una pioggia battente per arrivare ai 30, 40 centimetri di neve fresca riscontrata poco sotto il campo 3. Gli ultimi tre giorni sono trascorsi in alto sulla montagna in un ultimo, estremo, tentativo, sospeso tra le ambizioni personali e le condizioni ambientali proibitive. Tre giorni sospinti dai rimasugli della volontà, dalle briciole di convinzione e di voglia di alpinismo in netta antitesi con la demotivazione, l’allergia alla fatica ed ai disagi dell’alta quota: vento e neve fresca, ore ed ore d’attesa rannicchiati stretti nella tendina, cibo liofilizzato, bevande nauseantemente zuccherate e cronica scarsezza d’ossigeno. Insieme a Patrizia e Beppe siamo scesi dopo aver consumato le residue energie: i 6557 metri raggiunti hanno segnato l’apice e così pure il punto di ritorno; la scalata si è conclusa. Già nella medesima giornata di ieri ci siamo preoccupati di iniziare lo smantellamento dei campi alti: 20 chili sulle spalle che renderanno memorabile la discesa. Non abbiamo centrato gli 8047 metri della vetta del Broad Peak, ma i soli tentativi hanno valso l’esperienza.
Certo, in un viaggio alpinistico, la cima costituisce l’acme, mentre tutto il complesso di situazioni, momenti, difficoltà sembrerebbero relegate a semplice corollario, invece il contesto di questo viaggio mi ha rivelato aspetti nuovi, fornito chiavi di lettura di me stesso nella peculiare realtà che viviamo.
Per conseguenza temporale degli eventi mi sorge necessario trovare un senso a questa rinuncia e spiegare l’incompletezza del vuoto della cima.
Mi conforta, per esempio, il fatto di essere stato una parte determinante di questo progetto, di quello di buono che si è riusciti a compiere qui in Baltoro, il ruolo dunque svolto da noi diabetici. Insieme a Daniele abbiamo fornito il nostro contributo per salire in alto trasportando materiali, tracciando pista nella neve fresca all’occorrenza e sobbarcandoci numerosi tentativi.
Gli altri alpinisti non diabetici del gruppo non hanno avvertito differenza alcuna tra noi e loro, non riservandoci trattamenti di favore a dimostrazione della perfetta integrazione e della bontà del nostro autocontrollo che ha consentito un efficiente apporto. Nikki Wallis merita un discorso a parte in quanto, per mancanza di esperienza in alta quota, ha limitato la sua disponibilità a salite in un ambito strettamente individuale. Sono confortato poi dalla serietà dimostrata dall’Associazione ADIQ nell’affrontare ed implementare i progetti alpinistici e nel modo di concepire la montagna a 8000 metri e dintorni: senza orpelli, senza aiuti esterni e artificiali (ossigeno, portatori d’alta quota etc.), in autonomia ed autosufficienza e senza inseguire chimere di auto celebrazione.
Nell’attesa di aumentare la curiosità scientifica del mondo medico abbiamo proseguito nel connubio diabete ed alpinismo: durante questa spedizione siamo riusciti, in diverse fasi, ad utilizzare degli holter glicemici per il monitoraggio, ventiquattro ore su ventiquattro, della glicemia e ciò fino ai 6500 metri raggiunti: dati che saranno interpretati da occhi e cervelli competenti al nostro rientro. Ulteriore conforto poi è che l’insuccesso è in buona parte imputabile a cause esterne al nostro agire ed al nostro prevedere, prova ne è il fatto che sulle quattro vette di 8000 metri, K2, Broad Peak, Gasherbrum 1 e 2 confluenti nel bacino del Baltoro, ad oggi, nessuno è ancora giunto in cima siano esse spedizioni nazionali in grande stile tipo quella italiana al K2 o altre composte da fior fiore di alpinisti professionisti.

Inshallah.

ADIQ