Dopo aver intervistato Laura, scopriamo che secondo il sito di FAND – Associazione Italiana Diabetici, il 6 e il 10% delle persone con diabete inizialmente definito di tipo 2, scopre poi di soffrire di una forma di diabete autoimmune a lenta evoluzione verso l’insulino-dipendenza.
Questa condizione viene chiamata Diabete LADA (acronimo dall’inglese: Latent Autoimmune Diabetes in Adults).
Molti aspetti di questo tipo di diabete non sono ancora chiari e alcuni autori ritengono che il LADA rappresenti in realtà il diabete di tipo 1 nell’adulto (rinominandolo tipo 1.5 proprio per sottolinearne la posizione intermedia).
Cosa c’entra tutto questo con Laura Sdao e la nostra chiacchierata?
Innanzitutto, Laura fa part di quel 6-10%.
In secondo luogo, perché tutta l’incertezza, la mancanza di standardizzazione e di ordine che comporta questo tipo di diabete, sono i temi principali che Laura voleva trasmettere con questa intervista.
Quasi tre anni fa, a seguito di iperglicemie e difficoltà respiratorie Laura viene ricoverata, ma per mancanza di risorse si deve poi rivolgere a un diabetologo privato, che però si scoprirà essere specialista in DT2, non esattamente un buon match. La frustrazione è tanta, così come la sorpresa del sentirsi rispondere “Non so di cosa parli” quando gli chiede di insegnarle la conta dei carboidrati.
“È stato il contatto con altre diabetiche e diabetici sui social a farmi capire che dovevo cambiare medico e accedere anche ad altri professionisti”.
Ma altra frustrazione e nuovi scogli si presentano.
Scogli che di naturale hanno ben poco, perché sono il frutto di una burocrazia troppo lenta, di una comunicazione scarsa e claudicante tra professionisti, istituzioni, farmacie.
E i pazienti? Si trovano a navigare un mare sempre in tempesta, pieno di rischi non segnalati dalla mappa e con una bussola quasi smagnetizzata.
“Un esempio è la facilità con cui mi è stato detto che, dato che il LADA è considerato un diabete più gestibile, non meritavo l’accesso ai sensori. Come se fosse una gentile concessione invece che un dispositivo indispensabile! Ancora adesso non mi è semplice averne accesso, nonostante io faccia la terapia insulinica dal giorno 1 e abbia riscontrato, confrontando i valori, che le mie glicemie si comportano esattamente come quelle di altre persone DT1!”
Laura si è fatta fare forte della conoscenza condivisa già accessibile, quella dalla community diabetica online e quella di un caro amico diagnosticato solo l’anno prima di lei, per navigare a vista e intorno ad altri scogli poco naturali.
“Quello che ad oggi mi crea ancora molta difficoltà, e per la quale continuo a chiedere aiuto agli altri, è la gestione delle cose burocratiche. Tante cose vengono date ancora per scontate (ndr: da parte di ospedali, farmacie e medici). Ho dovuto per forza chiedere a chi ne sapeva più di me. Ancora oggi mi capita di andare all’ASL e mi dicono cose strane, sembrano sempre esserci novità non comunicate da nessuna altra parta, è davvero frustrante.”
Continua raccontando episodi personali e ripetuti nel tempo.
“Vai a ritirare i sensori? Non ci sono i sensori. Vai in farmacia e ti dicono che hanno cambiato la piattaforma e non hai più diritto agli aghi che hai sempre avuto. Chiami la dottoressa e ti dice che non è vero, che devi assolutamente usare la marca che avevi prima (…) ognuno sembra sapere una cosa diversa, ognuno dà una versione diversa. È allucinante.”
È così che il diabete diventa un lavoro.
“Non ho altro impegno se non la mia salute”
Non perché si curi al meglio il proprio benessere, o perché ci sia tempo e risorse economiche per affidarsi a un team multidisciplinare con cui sorvegliare la propria salute a livello globale. Ma perché la burocrazia impone vigilanza costante e intere giornate solo per entrare in possesso del necessario per curarsi.
“Di recente è cambiata anche la modalità di ritiro dei presidi: adesso va fatta una prenotazione, anche per gli aghi, così come si fa per i sensori. Ma mica li puoi ritirare insieme perché gli aghi si prenotano in farmacia e i sensori in ASL. Spesso impieghi due giorni per la prenotazione delle due cose ed altri due per ritirarli. Io sono fortunata perché sono ancora flessibile grazie alla vita da studentessa, ma chi già lavora non sa come fare. È assurdo che per prendersi cura della propria salute si rischi il lavoro.”
La frustrazione di Laura, e di tante altre persone, non va né sminuita né invitata ad affievolirsi: noi ci auguriamo diventi lo strumento per muoversi, per fare ancora più gioco di squadra nella community e per portare avanti i bisogni di tutte e tutti.
Con la sua energia, siamo certe che Laura sarà tra coloro che si faranno sentire.