Aggiornamento
SCOPERTO UN NUOVO FARMACO DAL VELENO DI UN RETTILE
Il nostro amico mostro
Non sarà bella da vedersi, ma la lucertola Gila Monster ha nella sua saliva una molecola preziosa per migliorare la terapia del diabete di tipo 2. Le nuove frontiere della ricerca farmacologica fanno sperare nella possibilità di un controllo sempre più accurato della glicemia
prof. Paolo Brunetti
Direttore Dipartimento di Medicina interna Università degli Studi di Perugia
E’ attualmente disponibile negli Stati Uniti, dopo l’approvazione della Food and drug administration (Fda), un nuovo farmaco fornito di proprietà terapeutiche di grande interesse e attivo laddove falliscono gli ipoglicemizzanti tradizionali. La nuova molecola è l’Exenatide, isolata dal veleno salivare di una lucertola del deserto dell’Arizona, Heloderma suspectum o Gila Monster. L’Exenatide è il capostipite di una nuova classe di farmaci, denominati “mimetici dell’incretina”. Deve essere somministrato per via sottocutanea in due dosi giornaliere, ciascuna di 5 o 10 µg ed è disponibile negli Usa in penne precaricate a perdere.
Questa nuova categoria di farmaci ha una lunga storia che comincia negli anni ’60, quando venne chiarito un aspetto fondamentale della fisiologia del metabolismo. Si vide allora che l’ingestione di carboidrati (glucosio, amido) determinava la liberazione in circolo, dalla mucosa intestinale di ormoni capaci di potenziare la secrezione insulinica indotta dallo stesso glucosio. In altri termini, una determinata quantità di glucosio assunta per bocca produce una risposta secretoria insulinica assai superiore a quella indotta dalla stessa quantità di glucosio iniettata in vena. L’eccesso di secrezione insulinica determinato dalla assunzione orale rispetto alla somministrazione endovenosa è dovuto alla liberazione, da parte di cellule specifiche della mucosa intestinale, di ormoni (incretine) che, convogliati al pancreas, attraverso il circolo portale, potenziano lo stimolo alla secrezione insulinica indotto dal glucosio sulle cellule β. Si calcola che “l’effetto incretinico” sia responsabile del 50-70% della risposta insulinica globale a un carico orale di glucosio o a un pasto misto e di una quota, altrettanto grande, della deposizione epatica e muscolare, sotto forma di glicogeno, del glucosio assorbito. Da ciò si può desumere che un difetto di secrezione di incretine può determinare un deficit di secrezione insulinica in risposta a un pasto e un patologico incremento della glicemia postprandiale. Ciò è quanto si verifica in effetti nel diabete di tipo 2, nel quale è stato dimostrato un difetto di secrezione di incretine.
Cosa sono le incretine
Per quanto si ritenga che vi siano più ormoni che, liberati dall’intestino, contribuiscano all’effetto incretinico, due sembrano svolgere un ruolo preminente: il Polipeptide Gastro-Inibitore (denominato anche Polipeptide Insulinotropo Glucosio dipendente o GIP) e il Peptide Simil- Glucagone o Glucagon-Like Peptide-1 o GLP-1.
Il GIP è secreto dalle cosiddette cellule K della mucosa intestinale, che hanno la più alta densità nel duodeno, pur essendo presenti lungo tutto l’intestino tenue. Il GLP-1 è un prodotto del gene del glucagone, espresso non solo nelle cellule α delle insule pancreatiche ma anche nelle cellule L della mucosa intestinale, maggiormente rappresentate nella porzione più distale dell’intestino. Il gene del glucagone determina la sintesi di una proteina complessa, il proglucagone, che va soggetta a una diversa elaborazione nelle cellule α insulari e nelle cellule L intestinali, con liberazione rispettivamente di glucagone dalle cellule α e di GLP-1 dalle cellule intestinali.
E’ possibile che l’ingestione di zuccheri semplici, rapidamente assorbibili, attivi preferenzialmente la secrezione di GIP da parte del tratto prossimale dell’intestino, mentre l’ingestione di pasti più ricchi, contenenti carboidrati complessi che necessitano di un più lungo processo digestivo, stimolino la secrezione di GLP-1 prodotto nell’intestino più distale. E’ interessante rilevare al proposito come l’acarbose, che ritarda l’assorbimento del glucosio, riduca la secrezione di GIP, ma aumenti quella di GLP-1, migliorando, anche per questa via, la tolleranza al glucosio e riducendo l’iperglicemia postprandiale.
Entrambe le incretine agiscono su recettori specifici delle cellule β insulari che attivano l’enzima adenilciclasi che produce AMP ciclico, responsabile, a sua volta, dell’aumento della concentrazione intracellulare di ioni calcio e quindi della secrezione insulinica.
Il difetto di produzione, sia di GIP, sia di GLP-1, presente nel diabete di tipo 2, concorre al deficit di secrezione insulinica in risposta alla assunzione di un pasto ma, mentre la somministrazione di GIP a pazienti diabetici si è rivelata inefficace nel compensare il difetto, l’infusione endovenosa di GLP-1 in diabetici di tipo 2 ha normalizzato la risposta secretoria insulinica allo stimolo del glucosio. Questa osservazione ha aperto la strada all’impiego terapeutico del GLP-1 e dei suoi derivati.
Difensore delle cellule
L’infusione endovenosa continua di GLP-1 si è rivelata capace di riportare alla norma la secrezione insulinica e di normalizzare la glicemia anche in diabetici di lunga durata, ma questo non è l’unico effetto dell’ormone. L’azione di stimolo sulla secrezione insulinica è, intanto, strettamente glucosio-dipendente; si manifesta cioè soltanto in presenza di valori elevati di glicemia e perciò non dà luogo di norma a ipoglicemia, se somministrato a pazienti diabetici o a soggetti sani.
Inoltre, a differenza dei comuni farmaci insulinostimolanti (sulfoniluree, glinidi), il GLP-1 è in grado di stimolare le varie tappe della sintesi insulinica, favorendo l’espressione di tutti i geni coinvolti nella sintesi e nella secrezione dell’insulina stessa (Glut 2, glucochinasi eccetera).
Ancora -e questa è la caratteristica più affascinante di questa nuova classe di farmaci- il GLP-1 ha un effetto trofico sulle cellule β, ossia ne stimola la moltiplicazione, così come induce la differenziazione di nuove cellule β a partire dalle cellule progenitrici dell’epitelio duttale e inibisce la morte cellulare o apoptosi indotta dalle citochine o da un eccesso di acidi grassi liberi.
L’attività del GLP-1 si estende anche ad ambiti diversi dalle cellule β e dalla stessa secrezione insulinica. Infatti, inibisce la secrezione di glucagone (iperglicemizzante) da parte delle cellule α insulari, riduce la velocità di svuotamento gastrico, rallentando così l’assorbimento del glucosio e riducendo il picco iperglicemico postprandiale e, ciò che è molto importante, agendo a livello del sistema nervoso centrale, riduce l’appetito e l’introduzione di cibo, favorendo una riduzione del peso corporeo.
Le proprietà del GLP-1 aprono così una prospettiva nuova nella terapia del diabete di tipo 2 e forniscono una risposta laddove i farmaci tradizionali si rivelano impotenti nel bloccare il decorso progressivo, apparentemente inarrestabile, del diabete di tipo 2.
GLP-1 e i suoi derivati
Sfortunatamente, il GLP-1, infuso in vena, ha una emivita estremamente breve, dell’ordine di 1-2 secondi, essendo rapidamente inattivato da un enzima proteolitico, la Dipeptidil Proteasi IV. Per questo, la sua efficacia può essere dimostrata solo attraverso una infusione venosa continua, il che ovviamente non ne consente un uso clinico.
Liraglutide. Per ovviare a questo problema la ricerca farmacologica ha sviluppato un derivato del GLP-1, un analogo acilato, legato cioè a un acido grasso che consente l’adesione della molecola così modificata all’albumina. Questo analogo del GLP-1 (Liraglutide), utilizzando il meccanismo di deposito rappresentato dall’albumina, ha un effetto ritardato e la sua durata di azione ne consente l’impiego clinico mediante una iniezione sottocutanea giornaliera. Questa molecola si trova attualmente in una fase avanzata di sperimentazione e se ne aspetta fra non molto la introduzione in clinica.
Exenatide. In attesa che altre molecole si rendano disponibili, una risposta concreta alla apparente impossibilità di utilizzare a fini clinici le affascinanti proprietà del GLP-1, ci viene dalla natura che, con grande generosità, ci offre una molecola precostituita, presente nella saliva di un rettile velenoso, il “Gila Monster”, dotata di tutte le caratteristiche di azione del GLP-1, ma resistente all’azione proteolitica della DPP IV e quindi passibile di impiego clinico, ove somministrata per via sottocutanea: la Exendina 4, così definita perché è il quarto peptide identificato fornito di proprietà endocrine sul pancreas.
La Exendina 4 è un polipeptide di 39 aminoacidi che appartiene alla famiglia del glucagone e presenta notevoli analogie di struttura con il GLP-1. E’ stata isolata nel 1992 dalla saliva di una lucertola Heloderma (Heloderma suspectum) e si è rivelata essere un potente agonista del recettore del GLP-1 delle cellule β insulinosecernenti. L’Exendina 4 condivide tutte le proprietà insulinotrope, stimolanti il trofismo e la neoproduzione delle cellule β ed inibenti la secrezione di glucagone, la motilità gastroenterica e il senso dell’appetito dimostrati per il GLP-1.
Riprodotta per sintesi e denominata Exenatide è stata registrata come farmaco ipoglicemizzante e utilizzata in clinica per via sottocutanea alla dose di 5 o 10 µg due volte al giorno. L’Exenatide è stata ampiamente impiegata in diversi studi clinici in diabetici con fallimento secondario della terapia ipoglicemizzante orale con sulfoniluree e/o metformina. In uno studio a 30 settimane, l’Exenatide ha prodotto una riduzione media dello 0.8% dell’emoglobina glicata, che, al termine del periodo di trattamento, è risultata attestata al di sotto del 7% in oltre il 40% dei pazienti.
La tollerabilità si è sempre rivelata ottima, con una bassa incidenza di ipoglicemia lieve e, comunque sia, soltanto nei pazienti in terapia combinata con sulfoniluree. Unico effetto collaterale, peraltro di modesta entità, una sensazione di nausea, osservata nel 2-3% dei pazienti trattati e generalmente limitata alle prime settimane di terapia.
Di grande interesse, la riduzione costante e progressiva del peso corporeo, osservata malgrado il netto miglioramento del compenso metabolico, nell’ordine di 2-3 Kg nell’arco delle 30 settimane di trattamento. Nella estensione di questo come di altri studi, per circa due anni, si è osservata una ulteriore progressiva riduzione del peso corporeo e un ulteriore miglioramento con stabilizzazione a lungo termine del controllo metabolico. La riduzione del peso ottenuta con la somministrazione di Exenatide ha suscitato un grande interesse e ha aperto la porta a una possibilità di impiego del farmaco nella terapia dell’obesità.
La conclusione che si ricava da questi studi è che l’Exenatide (Exendina 4), a differenza delle altre classi di ipoglicemizzanti finora disponibili, è in grado di modificare la storia naturale del diabete di tipo 2, arrestando la perdita di massa β cellulare e, anzi, reintegrandola, favorendo la differenziazione di cellule progenitrici presenti nell’epitelio dei dotti pancreatici. Si ottiene così il recupero e la conservazione nel tempo di una quota importante di secrezione insulinica.
Gli effetti sulla velocità di svuotamento gastrico, sulla inibizione della secrezione di glucagone e sulla riduzione dell’appetito completano il quadro degli effetti favorevoli del farmaco.
La terapia con Exenatide ha il limite della somministrazione iniettiva sottocute in due dosi giornaliere. Ciononostante, viene accettata senza remore dai pazienti, incoraggiati dai risultati e dalla sensazione che, attraverso questo trattamento, si agisce in profondità sulla condizione diabetica migliorando o normalizzando il controllo metabolico e riducendo in maniera evidente il peso corporeo. L’assenza di ipoglicemia e dei fenomeni di intolleranza che possono ostacolare l’impiego della metformina contribuiscono a condizionare il grado di soddisfazione manifestato dai pazienti.
E’ attualmente allo studio un preparato di Exendina 4 ad azione ritardata che potrà essere somministrato in una unica iniezione settimanale e che finora dimostra di ritenere le stesse proprietà terapeutiche della molecola originaria.
Inibitori della DPP IV. Come si è detto in precedenza, le proprietà del GLP-1 non possono essere utilizzate in terapia per la rapidissima degradazione cui la molecola va soggetta a opera dell’enzima Dipeptidil Peptidasi IV (DPP IV). Per questo, sono state sviluppate molecole capaci di inibire l’azione della DPP IV (Vildagliptina, Sitagliptina), attualmente in una fase avanzata di sperimentazione. Gli inibitori hanno il grande vantaggio di poter essere somministrati per bocca, ma non è ancora certo che possano condividere tutti gli effetti positivi della Exenatide e del GLP-1.
I MEDICINALI DA USARE, PASSO DOPO PASSO
La terapia di domani
In questi ultimi anni i modelli di terapia del diabete di tipo 2 sono andati soggetti a una rapida e profonda trasformazione. In primo luogo, sono stati ben definiti gli obiettivi di una terapia che possa definirsi efficace nella prevenzione delle complicanze micro e macrovascolari della malattia. E’ ormai bene acquisito che la glicemia sia pre che postprandiale debba essere riportata a valori quanto più possibile prossimi alla norma, con un valore target di emoglobina glicata inferiore a 6,5-7%. Per ottenere e raggiungere questo obiettivo, è necessario applicare, fin dall’inizio, una terapia intensiva, ricorrendo, ove necessario, a una terapia combinata e integrando rapidamente lo schema terapeutico, ogni qual volta si osservi un innalzamento della HbA1c al di sopra del limite prefissato.
Considerando il ruolo predominante che, nella fase iniziale della patologia, riveste la resistenza insulinica, sarà buona norma iniziare la terapia con farmaci insulino-sensibilizzanti, metformina e tiazolidinedioni in terapia singola o combinata. Il gradino successivo può prevedere l’impiego di farmaci insulinostimolanti e, in questo ambito, può essere opportuno dare la preferenza alle sulfoniluree a breve durata di azione o alle glinidi, meno gravate, rispetto ad altre sulfoniluree, del rischio di ipoglicemia. Non possiamo ancora disporre del GLP-1 e dei suoi derivati e, particolarmente, della Exenatide, usata finora con tanto successo negli Usa. E’ assai verosimile che, con la futura disponibilità della Exenatide o dei prodotti similari, il secondo gradino della terapia del diabete di tipo 2, dopo l’impiego dei farmaci insulinosensibilizzanti, sarà rappresentato proprio dalla utilizzazione di questa nuova classe di molecole. (P.B.)
CHE COSA ACCADE NEL DIABETE DI TIPO 2
Quando il pancreas
taglia l’insulina
Lo studio Ukpds ha chiaramente dimostrato la stretta dipendenza delle complicanze micro e macrovascolari dall’esposizione a valori elevati di glicemia e di emoglobina glicata. D’altro canto, lo studio ha anche dimostrato, negli oltre 10 anni di osservazione, che, nel diabete di tipo 2, dopo un iniziale miglioramento del controllo metabolico ottenuto con la terapia intensiva con sulfoniluree, metformina o insulina, si assiste a un progressivo incremento dei valori della glicemia e della emoglobina glicata. Alla base di questo progressivo peggioramento, vi è la perdita progressiva di secrezione insulinica. In effetti, già al momento della diagnosi, i diabetici di tipo 2 presentano una marcata riduzione della secrezione insulinica che tende ad accentuarsi ulteriormente nel corso degli anni fino a richiedere una terapia insulinica sostitutiva.
La storia naturale del diabete è infatti caratterizzata dalla comparsa iniziale di una resistenza all’azione insulinica, condizionata, oltre che da fattori genetici, da fattori ambientali che appaiono determinanti, quali l’obesità, connessa a un eccesso di alimentazione e a una eccessiva sedentarietà. Alla resistenza insulinica fa poi seguito il deficit secretivo β cellulare. Il diabete compare quando le β cellule non sono più in grado di compensare con un eccesso di secrezione insulinica la resistenza all’azione dell’ormone.
Studi anatomopatologici condotti in modo assai accurato hanno dimostrato come, alla perdita della secrezione insulinica che caratterizza il decorso del diabete, faccia riscontro, sul piano morfologico, una perdita di massa β cellulare e come questa sia dovuta a un eccesso di apoptosi rispetto alla capacità rigenerativa delle β cellule. L’apoptosi, cioè la morte delle cellule β, consegue agli effetti tossici esercitati da un accumulo di acidi grassi e di lipidi complessi da questi derivati e dall’aumento della stessa glicemia (lipo e glicotossicità).
I farmaci tradizionali non sono in grado di antagonizzare questi meccanismi, che invece sono arrestati e invertiti dal Peptide Simil-Glucagone o GLP-1, l’ormone di cui parliamo in queste pagine.
(P.B.)