“VOGLIO che vadano controcorrente, se andare controcorrente è la cosa che loro ritengono giusta.
VOGLIO vivere per loro, e assicurarmi che non manchi loro nulla.
NON VOGLIO però fare niente al loro posto, perché solo quando si guadagna qualcosa con fatica se ne capisce veramente il valore.
VOGLIO che conquistino il mondo, che lo assaporino, che lo sentano, che lo vivano ogni giorno.
VOGLIO che vivano con passione.
VOGLIO che gioiscano per le loro vittorie. Voglio che imparino ad accettare le sconfitte”
Ho riportato per esteso questa citazione di Silvia Purpuri, che appare in “Amico Micro”– il suo secondo libro sul diabete, dopo “Dolce amore” – perché prima di essere una citazione, è la risposta all’ultima domanda della nostra intervista:
«Cosa vorresti per i tuoi figli? Come te lo immagini il loro futuro?», le ho chiesto.
E se lo immagina così. Anzi lo vuole. E lo vuole con forza, tenacia, caparbietà. Lo vuole in maiuscolo.
Silvia ha due figli: Alessio e Aurora.
Alessio ha avuto l’esordio a ventiquattro mesi. Due anni sembrano troppo pochi per qualsiasi cosa. Immaginarsi se si parla dell’ingresso di una patologia cronica che stravolge la vita dall’oggi al domani, senza concedere nessun compromesso, nessuna revoca, nessuna periodo di prova. Purtroppo “soddisfatti e rimborsati” è una formula che funziona solo per il marketing e che non ha nulla a che vedere con la vita reale, che invece, in momenti come questi sembra dire soltanto: «Armati di una forza inaudita e vai avanti».
Silvia e suo marito l’hanno fatto. Lontano dai nonni (Silvia vive a Trento ma è friulana di origine), lontano da parenti e amici che potessero sostenerli, si sono armati di una forza inaudita e hanno proseguito. Dopo dieci giorni d’ospedale sono tornati a casa. Nuove coordinate spazio-temporali ad attenderli. Un tempo definito dai cali ipoglicemici e dalle iperglicemie, dai continui controlli, dalle unità di insulina, dalla conta dei carboidrati. Uno spazio che il diabete riesce a riempire, quasi si trattasse di un entità corporea con un suo peso specifico.
E ce l’ha. Ha un peso specifico.
Poco prima dei tre anni il primo sollievo, grazie al micro. La possibilità di passare da mezza unità di insulina a 0,35.
Poi, un inserimento molto positivo all’asilo, «La maestre avevano già avuto un caso prima di Alessio e sono state seconde mamme. Mi hanno dato una finestra di serenità».
Nel frattempo arriva Aurora, e fedele al nome che porta in dote, illumina ogni cosa.
«Alessio ha sempre avuto un rapporto molto bello con la sorella. Io ho ricordi di lei piccolissima, avrà avuto un anno e mezzo che, se sentiva il sensore suonare, barcollando nelle sue gambe ancora instabili, mi portava cotone e disinfettante. Aveva associato quel suono a quella specifica azione».
Alle elementari la situazione è più complessa. Alcune maestre si mostrano collaborative, altre no. La questione è sempre la stessa e si può facilmente riassumere in un’unica frase: “E se poi succede qualcosa?”. Quella responsabilità, c’è poco da fare, o te la prendi oppure no.
E spesso è Alessio stesso a dover rassicurare le sue maestre in caso di iper o ipoglicemia. In quarta elementare trascorre un pomeriggio al San Raffaele, nel quale gli spiegano per filo e per segno quali sono i filoni di ricerca portati avanti sul diabete. Lui prende carta e penna e si segna tutto. Torna a scuola e riempie la lavagna per insegnarlo, a sua volta, alla classe e in lui si fa ancora più forte l’idea che farà il ricercatore.
«Ora che è alle medie, una volta mi ha detto che gli sembra quasi di non averlo più il diabete. Attraverso il sensore io leggo i suoi valori sul cellulare. E questo è stato un cambio molto importante in termini di serenità e gestione».
A sei anni Aurora diventa celiaca. Silvia e il marito devono di nuovo confrontarsi con quel senso di rabbia e impotenza che conoscono bene. Ma conoscono bene anche il percorso per uscirne. Ci vuole tempo. L’accettazione non arriva dall’alto, non è una folgorazione. Ha piuttosto le sembianze di un lavoro faticoso, al quale devi dedicare sforzi continui, abnegazione e fiducia.
Bisogna di nuovo fare i conti con sé stessi.
Riuscire ad arginare quelle domande che esplodono in testa: Perché io? Perché noi?
Bisogna far pace con le cose che tormentano. Con quelle volte in cui tuo figlio ti ha chiesto di togliergli il diabete e gli hai dovuto rispondere che non potevi.
Oppure, chissà, si tratta di trovare pace all’interno della tempesta. E creare un quotidiano.
E riprendere i rapporti con gli altri. E rendersi conto che probabilmente le persone che ti scelgono non sono quelle che amano le cose facili. Se tra le mani porti diabete e celiachia è possibile che qualcuno si faccia da parte, che non ne voglia sapere niente di quel fardello.
Però, e questa è la meraviglia verso la quale puoi incappare, ci sarà anche qualcuno che se lo prende. Perché se oltre quel fardello ci sei tu, il gioco vale la candela.
Chi ti sceglie non si chiede: “E se poi succede qualcosa?”, perché chi ti sceglie più che domande ha voglia di produrre risposte e quindi, molto probabilmente, quello che uscirà dalla sua bocca sarà: “Se succede qualcosa troveremo una soluzione”.
Sono contenta di aver intervistato Silvia e di poter raccontare la sua storia che potete trovare anche qui: lanostravitaconildiabete.wordpress.com
E concludo quest’articolo con la seconda parte di ciò che Silvia vuole per i suoi figli, perché chi vuole con le lettere maiuscole, mi ricorda che volere è una faccenda seria, verso la quale dedicare una sola parte di noi stessi non può mai essere abbastanza.
“Io desidero quello che la maggior parte dei genitori desidera per i propri figli. Ma VOGLIO anche qualcosa di più.
Io VOGLIO scontrarmi con l’ignoranza delle persone, con la superficialità, con la cattiveria di chi non conosce e non conoscendo giudica, con chi dispensa sempre consigli e non ne approfitta mai per tacere, con chi generalizza, con chi “la fa facile”, con tutto quello che non va. Con chi potrebbe fare ma non fa, con chi non partecipa ed è indifferente a questa lotta pur combattendo la stessa battaglia, con chi si mette in mostra e regala dubbie verità. Con chi, «per il tuo bene», esprime dissenso nelle tue scelte, ma solo per giustificare le proprie…
VOGLIO cercare, studiare, scoprire, provare, sbagliare, cadere, rialzarmi e riprovare. Io NON VOGLIO arrendermi, perché solo chi si arrende è davvero perduto”.
A cura di Patrizia Dall’Argine