Si è guadagnato il il diritto di accesso, alla Maratona di New York che si terrà il 4 novembre 2018.Il diritto di accesso che normalmente si paga, così come l’iscrizione.
E questo è accaduto grazie agli straordinari risultati ottenuti in altre maratone. In quella di Firenze, di quest’anno, ha coronato il sogno di chiudere sotto il muro delle 3 ore.
Ma c’è di più… Si è qualificato anche al mondiale XTERRA (triathlon con MTB e corsa trail) a Maui, Hawaii, che si terrà il 28 ottobre 2018, grazie al podio conquistato a Cipro il 22 aprile.
Insomma, le sue gambe funzionano bene. Ma per reggere fatiche del genere sappiamo che anche la testa deve rispondere, altrimenti c’è poco da fare.
“Devi avere rispetto di una maratona… Devi rispettare la fatica, gli allenamenti. E devi rispettare anche te stesso.”
E in effetti, mentre parlo con Simone la parola che mi viene in mente è rigore.
Ma non nell’accezione più ingessata del termine, che sembra spazzar via ogni barlume di fantasia.
Questo è il rigore dell’atleta, è il rigore della disciplina. È un rigore che ha bisogno di creatività, di visioni, di lungimiranza e allo stesso tempo di attenzione costante al presente.
Quando il diabete è arrivato, Simone aveva 17 anni e viveva ad Agrigento.
Giocava in serie D, a pallavolo. “Mio padre era allenatore di pallavolo in serie A. Da lui ho ereditato la grande passione per lo sport. Poi ho iniziato a star male. Mia madre era infermiera e i sintomi erano chiari… Solo che forse la sua mente di mamma ha rigettato l’idea”.
E non è difficile crederlo…
“Subito io e il diabete ci prendevamo a botte, ma poi ho dovuto farmelo amico. E se lo fai, riesci a trarne anche benefici. Il diabete mi ha raddrizzato. Mi ha dato, oltre ad avermi tolto. Non mi piango addosso. Non ne faccio una malattia, anche se in realtà la è.”
E quindi è iniziata una convivenza nel suo corpo, dove era lui a gestire il diabete e non il contrario.
E lui che ha studiato Pianificazione Territoriale all’università, ha fatto una pianificazione anche dei suoi ritmi, degli allenamenti, del modo più corretto nel quale alimentarsi… Insomma, ha imparato a conoscersi, a fondo. Per tentativi, sbagliando, riprovando, sbagliando di nuovo e riprovando di nuovo.
Su di lui sembra cucita addosso la famosa frase di Samuel Beckett: “Ever tried. Ever failed. No matter. Try again. Fail again. Fail better.”
Si sveglia alle 6 di mattino, nuota, e alle 6 di sera ricomincia con la corsa o la bicicletta.
D’accordo, non è per tutti. È per chi ha in mente di farsi il mezzo Ironman di Lussemburgo a giugno, o ancora per chi si cimenterà nella maratona dles Dolomites quest’estate e nel triathlon di Mallorca nel 2019. Per tutti quelli che, come lui, hanno il rigore nel sangue e l’elettricità nelle gambe.
“Ma perché ti definisci un diabetico sbruffone?”, gli chiedo.
Ride. “Perché sono un estroverso e mi piace condividere i risultati delle gare… Mi carica. E poi sono di natura scherzosa e mi piace buttarla sul ridere. Anche se so bene che col diabete si gioca duro, ma non si scherza”.
E infatti ci tiene a precisarlo, il suo modo di affrontare il diabete non è basato sull’ottimismo, ma su basi scientifiche.
Ha studiato molto per capire cosa gli stesse succedendo. Si è informato costantemente. Ha attinto da altri. Si definisce curioso, sempre alla ricerca di nuovi stimoli ed esperienze. Ha condiviso e condivide sulla sua pagina Facebook.
“Prima non sentivo la necessità, ma ora credo sia doveroso condividere le proprie esperienze.”
Non fare muro, insomma ma rete.
E l’ANIAD (Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici) questa rete la mantiene salda.
“Il cambiamento deve partire da te. È tutto nelle tue mani”, conclude.
Così semplice, così complesso.
A cura di Patrizia Dall’Argine