SNOWDIAB 2006: LA RELAZIONE CONCLUSIVA
L’idea
L’idea dello SNOWDIAB è nata 4 anni fa assieme a quella del DIABTREK e, di base, è un’idea semplice: offrire ai ragazzi nella fascia di età adolescenziale la possibilità di provare alcuni tipi di attività sportiva alpina che normalmente ai diabetici sono precluse o quantomeno sconsigliate. |
Proporre ai ragazzi ciò che i membri del gruppo ADIQ sanno fare meglio, come l’escursionismo avanzato sulle alpi con percorsi complessi che includono vie ferrate anche molto difficili; l’arrampicata sportiva in falesia (una delle prossime attività); lo sci alpino con la tavola, come quest’anno, o prossimamente, anche lo sci nordico.
Perché fare queste cose? Perché noi crediamo che fare un’attività fisica (qualunque) sia di grande beneficio nella gestione del diabete. D’altronde non siamo noi soli a dirlo, è ormai un dato scientificamente provato. Noi proponiamo di fare attività fisica basandoci sul nostro patrimonio di esperienze personali e di gruppo. Ognuno di noi ha la propria passione: chi per l’arrampicata, chi per lo scialpinismo, chi per lo sci nordico, chi per l’escursionismo o per un mix di queste, ma ci accomuna senz’altro l’amore per la montagna, la cui frequentazione ci ha grandemente aiutato a vivere meglio il rapporto con questa malattia. Da questa fonte scaturiscono le nostre proposte. La preparazione
I giorni deputati allo svolgimento dell’attività sarebbero stati i 4 giorni dell’ultimo ponte natalizio, quello dell’epifania.
L’incontro con gli altri
Abbiamo avuto una mancanza dell’ultimo momento, Anastasia, a causa della febbre, non ha potuto unirsi al nostro gruppo e questo ci è dispiaciuto parecchio. Così da 13 (8 ragazzi e 5 ragazze) siamo rimasti in 12. A parte questo dobbiamo dire che sembrava si fossero conosciuti da sempre nonostante il range di età spaziasse dai 13 ai 18 anni. |
È forse inevitabile che l’esuberanza propria di questa età facesse sì che spesso, forse un po’ troppo, le baraonde notturne smorzassero un tantino la gagliardia in pista ma comunque non possiamo che apprezzare la buona armonia che si è mantenute in questi 4 seppur brevi giorni. Il vero primo incontro è stato in albergo verso le 17 di giovedì. Se la gran parte sono arrivati insieme, il dr. Aldo Maldonato era già lì dalla sera precedente, Carlo e Alessandro sono arrivati direttamente ad Arabba, e Daniele di ADIQ è arrivato un po’ più tardi nel pomeriggio. Si era dunque deciso di cominciare con il primo incontro dove tutti ci siamo concretamente presentati: Elisa, Marzia, Emanuele, Simone, Carlo, Francesco, Fabrizio, Davide, Massimo, Alessandro, Gloria, Federica, poi noi di ADIQ, Marco, Mattia, Daniele, gli educatori (solo per usare un termine sintetico) Giannermete e Natalia, il dr. Massimo, diabetologo, il dr. Aldo, diabetologo educatore, e il dr. Andrea, diabetologo osservatore.
L’attività sulla neve
Raccontiamo prima di tutto la giornata tipo: colazione alle 8.30, poi il corso di sci per snowboard per 3 ore, un panino veloce al sacco o al bar e poi ancora nel primo pomeriggio una ciaspolada (camminata con le racchette da neve) e rientro in albergo intorno alle 17.00. Un’oretta di decompressione e relax, magari con sauna e doccia ghiacciata per chi voleva, per poi cominciare un lavoro di gruppo intorno alle 18.00 con Giannermete e Natalia. Sostanzialmente le cose sono andate proprio così. Con l’eccezione del primo giorno quando, dal raggruppamento a Vicenza Ovest, si è raggiunta Arabba circa alle 13.00. |
La sistemazione in albergo, il noleggio delle tavole da snowboard e relativi scarponi hanno poi occupato buona parte del pomeriggio.
La prima giornata sulla neve è stata effettivamente venerdì 6 gennaio, il giorno dell’epifania. Tempo coperto ma senza vento, non fa freddo. I maestri (due) cominciano subito a spiegare le tecniche base per muoversi con la tavola ai piedi per poi cominciare con le prime scivolate sulla pista baby. In qualche modo bisogna pur cominciare! Al pomeriggio, dopo un panino ristoratore, si fa il primo giro con le ciaspe. Qui cominciano i dolori perché, forse a causa dello scarso sonno notturno (Ahimè! Su questo punto al prossimo campo bisognerà adottare provvedimenti un po’ più restrittivi) i ragazzi mostrano già dopo poco, circa cento metri di dislivello, stanchezza e riluttanza a proseguire.
Siamo dunque di ritorno dopo un’ora e mezza verso le 17.00. Sabato la giornata si ripete pressoché invariata solo che per la ciaspolata optiamo per un percorso facile dal passo Pordoi verso l’ossario, severo monumento alle vite perdute sulla montagna durante la Grande Guerra. Per gli eroici escursionisti ci sarà in un bar del passo una tazza di cioccolato caldo ad attenderli al ritorno.
Domenica, giornata di addii e qualche lacrima, si fa solo l’ultima lezione con la tavola fino a mezzogiorno, con l’eccezione dei ragazzi giunti in treno, Marzia, Elisa, Francesco e Fabrizio che facciamo partire un po’ prima per evitare i rischi dei ritardi causati dalle code del rientro.
L’incontro con se stessi: la narrazione autobiografica
Durante le precedenti edizioni di DIABTREK ci rendemmo conto che nell’approcciare i ragazzi mancava qualcosa al mero sport all’aria aperta come unico strumento educativo e che la vicinanza tra noi e i ragazzi non poteva essere, da sola, uno stimolo sufficiente a curarsi meglio. Così ci ricordammo di quanto avvenuto nel 2002, in occasione di DISK, la spedizione dei diabetici italiani sul Kilimanjaro. Lì avemmo modo di conoscere il dr. Maldonato, diabetologo esperto di educazione, che laggiù ci fece delle interviste in gruppo: “Il ricordare le vostre storie e condividerle con gli altri“, mi disse, “fu un momento credo di crescita personale e un passo avanti nella conoscenza di sé e degli altri in relazione a un evento così dirompente come l’irruzione del diabete nella storia personale di ciascuno.” |
Fummo davvero impressionati dalla validità di quell’approccio. Tutti, ognuno a modo proprio, ci sentimmo più sereni nella vita quotidiana di diabetici.
“Forte di quella esperienza, provai a riprodurla con gli adolescenti al campo-scuola l’anno seguente… e fu un fallimento totale. I ragazzi chiamati all’intervista la prendevano come una purga, ripetevano le solite quattro frasette stereotipate, desiderosi di alzarsi al più presto da quella sedia. Ancora una volta, dopo tanti anni di campi-scuola, non ero riuscito a rompere la barriera che rendeva i ragazzi e le ragazze impenetrabili ad ogni discorso appena appena un po’ serio.”
Descrivere esaustivamente in cosa consiste la narrazione autobiografica applicata da Natalia e Giannermente non è cosa semplice se non la si prova come mi aveva saggiamente avvertito il dr. Aldo Maldonato. Userò allora ancora una volta le sue stesse parole dato che questa mi sembra la cosa migliore:”Il “miracolo” è avvenuto l’anno scorso, grazie all’apporto di una pedagogista (Natalia Piana) che adotta l’approccio narrativo autobiografico nella formazione degli adulti. Per lei e per il suo compagno (Giannermete Romani), attore dilettante e animatore di gruppi di ragazzi, portare l’autobiografia fra gli adolescenti è stata una grossa sfida, che hanno affrontato con responsabilità e grande intelligenza. Il risultato è stato spettacolare… i ragazzi, prima esitanti a scrivere – puoi immaginare – si sono poco alla volta sciolti e hanno rivelato prima a se stessi e poi agli altri nelle restituzioni collettive delle loro scritture anonime, quello che il diabete rappresenta veramente per loro. Non ho dati quantitativi dei risultati ottenuti sul piano metabolico (come qualche diabetologo e forse qualche ingegnere vorrebbe vedere) e d’altra parte ciò non rientra negli obbiettivi della medicina che fa uso delle narrazioni dei pazienti. Ma di una cosa sono sicuro: l’impatto di quel campo sulla vita dei ragazzi – anche dal punto di vista delle conoscenze biomediche acquisite – è stato molto maggiore di tutti gli altri, grazie all’uso attento e appropriato della scrittura autoboigrafica.”
Conclusioni
L’incontro con i ragazzi e con gli educatori ci ha insegnato che non esiste una soluzione semplice a un problema complesso come la gestione del diabete.
Il nostro punto di partenza, l’attività fisica come complemento indispensabile alla terapia, all’autocontrollo e alla dieta, non è una ricetta universale e da solo non è una proposta sufficiente a motivare una persona a gestire meglio la propria condizione. |
Noi però diamo la possibilità di provare attività fisiche particolari e ci sforziamo di dare almeno la suggestione di quanto potrebbe giovare una buona attività fisica non solo al corpo ma anche allo spirito e alla stima di noi stessi.
Il supporto che abbiamo ricevuto con i ragazzi, anche noi come diabetici “senjor”, per rivivere e confrontare con gli altri la nostra storia di vita e di diabetici, è un compendio fondamentale per comprendere a tutto tondo la complessità dell’essere diabetici.
Fare un bilancio dei benefici che i ragazzi possono e potranno avere dall’attività sviluppata è quasi impossibile. I frutti, che tutti ci auguriamo, non possiamo quantificarli. Forse qualcuno grazie ai nostri suggerimenti sportivi adotterà comportamenti che migliorano il suo metabolismo sviluppando solo tardivamente certe patologie? E’ una speranza. Intanto ci accontentiamo di lasciare ai ragazzi un buon ricordo e una buona ispirazione.
(Venerdì 12 Gennaio 2006)