Il segreto per evitare le complicanze del diabete sta nella capacità di monitoraggio e auto-gestione: per questo motivo è necessaria un’educazione capace di trasmettere non solo informazioni, ma anche competenze di problem solving nelle sfide della vita quotidiana. Un’educazione di questo tipo può essere resa ancora più efficace da forme di supporto continuativo tra pari: fanno parte di questo tipo di intervento i gruppi in cui si promuove lo storytelling e la condivisione di storie personali.
In che modo la condivisione di storie può migliorare l’aderenza terapeutica ed evitare le complicanze? Uno studio canadese ha descritto le caratteristiche del processo e i benefici percepiti dai partecipanti in un intervento di storytelling: lo studio ci permette di gettare uno sguardo su questi aspetti per comprendere quale sia la funzione e l’importanza del raccontare la propria storia di malattia.
Il laboratorio di storytelling
I laboratori di storytelling considerati erano organizzati in 8 incontri di circa 2 ore ciascuno, due volte al mese. Durante il primo incontro i partecipanti hanno definito un “regolamento” interno (rispetto per le opinioni di tutti, evitare giudizi, si parla uno per volta, ecc.) e hanno stabilito un argomento di discussione per ciascun incontro. Sono poi stati istruiti su come si costruisce una storia, con un obiettivo preciso, un inizio e una fine, all’interno della quale descrivere sé stessi, le proprie emozioni, le situazioni vissute, le sfide e le difficoltà affrontate. Con queste indicazioni i partecipanti hanno scritto su un quaderno una storia per ciascuno degli argomenti scelti, in modo da poterle condividere durante gli incontri.
La ricerca non si è concentrata sui racconti scritti, ma sulle dinamiche di condivisione nel gruppo e sulle opinioni dei partecipanti: i ricercatori hanno registrato e trascritto le discussioni dei gruppi e hanno intervistato i partecipanti e i conduttori con dei focus group. I dati così raccolti sono stati analizzati con un approccio qualitativo: i ricercatori si sono concentrati sul contenuto cercando di far emergere alcune categorie comuni, per comprendere in che modo lo storytelling influenzi la gestione del diabete.
Nell’analisi delle dinamiche di gruppo hanno individuato come temi principali lo scambio di informazioni, l’apprendimento cooperativo, la riflessione e la costruzione di significato.
Nell’analisi dei focus group i benefici percepiti rientravano nelle categorie dell’ambiente di apprendimento supportivo, del supporto tra pari, dell’empowerment e dell’engagement nella gestione del diabete.
Cosa succede nei gruppi che condividono le storie
I gruppi di storytelling diventano un’occasione per acquisire nuove informazioni, o, per le persone “esperte” nella gestione della malattia, per chiarire dubbi, rinforzare le certezze o far emergere potenziali fraintendimenti ed errori.
Il processo di apprendimento è cooperativo, non fondato sull’insegnamento di un operatore sanitario, anche se la presenza di un operatore all’interno del gruppo evita che vengano condivise informazioni errate. Le storie personali offrono informazioni su situazioni concrete che gli operatori sanitari potrebbero non prendere in considerazione e che rispecchiano meglio le complesse esperienze e i contesti di vita delle persone. Si trasmette così un sapere “pratico”, basato sull’esperienza piuttosto che su astratte descrizioni mediche.
Un processo fondamentale facilitato dalla condivisione delle storie è quello della riflessione e della costruzione di nuovi significati rispetto alla propria esperienza di malattia. Ascoltando le storie degli altri, ciascuno ha l’occasione per riflettere sulla propria storia e sulla propria esperienza. Queste riflessioni aiutano le persone a capire o confermare di aver bisogno di apportare alcuni cambiamenti nello stile di vita. La riflessione condivisa permette al gruppo di costruire un’idea chiara di che cosa significa una buona gestione del diabete.
I benefici dal punto di vista delle persone con diabete
Dai focus group i ricercatori hanno individuato i benefici descritti dai pazienti e dai conduttori, che in gran parte confermano quanto emerso dall’analisi delle sessioni: secondo i partecipanti, i gruppi di storytelling rappresentano un ambiente favorevole all’apprendimento. Il supporto dei pari, in un ambiente non giudicante, diventa l’occasione per superare il senso di isolamento che spesso si accompagna al diabete: si crea un legame, un senso di comunità vissuto in maniera particolarmente positiva e differente dal legame con i familiari. Infatti, spesso le persone con diabete temono di pesare troppo sui familiari condividendo le proprie difficoltà, mentre nel gruppo dei pari questo non succede.
I partecipanti ritengono che i gruppi di storytelling permettano un cambiamento nell’atteggiamento verso il diabete, verso il suo significato e le pratiche necessarie per tenerlo sotto controllo. Si sentono più ottimisti rispetto al futuro e diventano più proattivi, più disposti al cambiamento, per stabilire nuovi obiettivi e a trovare nuovi momenti di confronto con i curanti.
Nel gruppo, i partecipanti si incoraggiano e si sostengono a vicenda, innescando una spirale positiva. Nel gruppo costruiscono una nuova identità collettiva: chi sono le persone con diabete? Non sono persone isolate, sono persone che sanno collaborare per risolvere problemi pratici, che sanno prendersi cure di sé stessi e raggiungere obiettivi importanti e condivisi.
Le storie di persone che vivono la stessa esperienza di diabete permette un confronto che non è possibile con chi non vive sulla sua pelle questa malattia: nei gruppi i partecipanti si impegnano insieme nel cercare soluzioni a problemi comuni, scoprono nuove strategie per affrontare le difficoltà, ascoltando quelle che usano gli altri, immaginano sé stessi in situazioni che non hanno vissuto, ma che potrebbero dover affrontare.
Anche per i curanti questi momenti di condivisione possono essere utili in quanto forniscono insight sul mondo vissuto delle persone, che permettono di offrire informazioni più concrete sulla gestione e il monitoraggio.