PALERMO
Sulla via del trapianto
Si è svolto a Palermo un incontro-dibattito presso l’aula magna dell’Ospedale dei Bambini “G. Di Cristina” sul tema “Il trapianto d’isole pancreatiche” promosso dall’Associazione diabetici della provincia di Palermo “Vincenzo Castelli” (presieduta da Francesco Sammarco) e tenuto dal dottor Federico Bertuzzi, dell’Istituto San Raffaele di Milano, e dal professor Camillo Ricordi, presidente del consiglio d’amministrazione dell’Ismett (Istituto meridionale dei trapianti).
Bertuzzi ha spiegato il metodo di trapianto ideato dal professor Ricordi. Le cellule pancreatiche, estratte dal pancreas dei donatori morti, pulite e preparate, sono trapiantate tramite un catetere nel fegato del diabetico insulino-dipendente, le cui isole pancreatiche sono state distrutte da una reazione auto-immune dei linfociti “impazziti”. Il trapianto è eseguito in centri certificati che seguono i protocolli di sicurezza stabiliti a livello internazionale e non è permesso nei bambini e negli adolescenti prima dei 18 anni. Il numero dei pazienti che adesso raggiunge l’insulino-indipendenza entro il primo anno, è dell’85%. Tuttavia, studi recenti dimostrano senza possibilità di dubbio che dopo 3 anni dal trapianto il paziente deve reintrodurre una quantità crescente d’insulina artificiale. Questo fenomeno è causato dalla scomparsa fisiologica di alcune cellule sotto la pressione della reazione auto-immune, anche se questa è limitata dai farmaci immuno-soppressori. Questi ultimi hanno il compito di bloccare sia la reazione auto-immune sia il rigetto naturale e devono essere presi dal paziente subito per impedire ai linfociti di distruggere le cellule trapiantate, ma costituiscono un pericolo per i possibili effetti cancerogeni nel lungo periodo, in particolare per i reni.
D’altronde, non tutti i centri riportano la stessa percentuale di successi, come quelli americani che arrivano al 50%. Si è accertato inoltre che i vantaggi sono molti nel campo della riduzione delle complicanze in tutti gli organi eccetto che nei reni, dove il trapianto ha portato a un peggioramento, a tal punto che questo non è più fatto in quei pazienti che presentano problemi renali anche piccoli. Il trapianto, in ogni caso, non è per tutti i pazienti ma soltanto per quei pazienti che abbiano complicanze gravi e che abbiano visto il fallimento di tutti gli altri strumenti di cura oggi disponibili. Ricordi ha sconsigliato coloro che sono in buona salute di provare il trapianto, proprio per i risultati non decisivi oggi disponibili. Il professore ha però accennato ai promettenti risultati di una ricerca -che sarà presentata al prossimo congresso mondiale di diabetologia- sulla possibilità di estrarre le cellule pancreatiche superstiti dal corpo degli insulino-dipendenti nelle prime settimane dall’esordio. Poi si procederebbe alla distruzione dei linfociti dannosi, cui seguirebbe il trapianto delle cellule salvate, evitando così il rigetto. Una reazione auto-immune, però, è da ritenersi sempre possibile, poiché si ignorano le cause scatenanti ed è plausibile che tale reazione ritorni in presenza della causa scatenante.
Un’altra novità è data da recenti studi che dimostrerebbero la possibilità che vi siano ancora cellule pancreatiche sopravvissute alla distruzione che si riprodurrebbero di continuo nel corpo degli insulino-dipendenti anche dopo molto tempo. Il problema è che i linfociti impazziti le attaccano con altrettanta foga, creando un braccio di ferro interminabile. Il futuro campo d’azione è, quindi, lo studio delle cause e della loro interazione con la predisposizione dell’individuo, cosa che consentirà di recuperare il funzionamento delle cellule superstiti e prevenire il diabete auto-immune nella popolazione. Il professore ha terminato sostenendo che “i risultati forniti dagli studi assicurano sviluppi interessanti, ma occorreranno anni prima di ottenere risultati clinici decisivi”.