Una lunga storia cominciata nel fatidico 1984

Una lunga storia cominciata nel fatidico 1984

Quanta strada insieme

Cambia la veste, ma non lo spirito, di questo giornale che per oltre due decenni ha cercato di raccontare da vicino tutto ciò che riguarda il diabete: le persone che con questa condizione devono convivere, i loro familiari, i diabetologi, i problemi sanitari, sociali e umani, le novità della medicina e della ricerca, le battaglie, le vittorie, i personaggi

Nel 1984, quando apparve per la prima volta un giornale chiamato “Tuttodiabete”, dedicato a tutti i diabetici italiani, chi viveva questa particolare condizione si trovava in una situazione più disagevole di quella odierna: subiva discriminazioni nel mondo del lavoro perché ritenuto non affidabile; doveva sottoporsi a una lunga e sospettosa visita, piena di disagi, prima di ottenere la dovuta esenzione dal servizio militare; di lì a poco avrebbe incontrato grosse difficoltà a ottenere la patente. Non si può negare che oggi le cose siano molto migliorate sotto questi aspetti, così come sul fronte della terapia e della conoscenza generale del problema, mentre altre questioni sono rimaste aperte e di nuove se ne sono presentate. “Tuttodiabete” -sempre sostenuto dalla Divisione diagnostici della Bayer- ha seguito e raccontato gli sviluppi delle vicende che hanno attraversato questo particolare “pianeta”, problematiche inevitabilmente intrecciate a quelle del resto del mondo, ma spesso ingiustamente ignorate o sottovalutate. E ancora adesso, a oltre vent’anni di distanza, questo giornale è qui -con un nuovo abito, ma immutato spirito- a continuare la sua missione di memoria storica e testimonianza vigile di quello che accade.
Accompagnato sempre dalla sicura guida di un autorevole rappresentante della diabetologia italiana -Sergio Marigo, sino alla tragica scomparsa alla fine del 1988, e poi Paolo Brunetti, già presidente della Sid, al nostro fianco ancora oggi- “Tuttodiabete” ha tempestivamente informato sui progressi della ricerca e della terapia e ha tenuto sempre aperta una finestra sul vivace mondo del volontariato. Proprio su questo terreno ha incrociato la sua avventura con quella di Roberto Lombardi, pioniere dell’associazionismo nel campo del diabete, fondatore della Fand nel 1982, la battagliera associazione nazionale dei diabetici che ha condotto sino al 2002 (oggi presieduta dalla moglie Vera Buondonno), alla quale ha dedicato sempre molto spazio, senza però dimenticare altre importanti realtà come la Federazione diabete giovanile di Antonio Cabras o l’associazione degli infermieri diabetologici Osdi.
Fra i primi temi trattati da “Tuttodiabete” ci fu il lungo percorso che condusse all’ormai ben nota Legge 115, per la quale Lombardi si batté cocciutamente, coinvolgendo parlamentari, ministri e autorità, e che vide la luce nel 1987: una normativa che metteva nero su bianco, con la forza della legge, i diritti dei diabetici per porre fine alle ingiuste discriminazioni a loro danno. Qualcosa di unico, senza riscontro in altre nazioni, un testo che ancora oggi rappresenta un punto di riferimento per quanto riguarda i problemi che i diabetici incontrano quando pregiudizi e ignoranza ostacolano il loro pieno inserimento nella società. Un pieno inserimento che non trova ragione di essere negato quando si pensi che -come documentato nel tempo su queste stesse pagine- sono (o sono stati) diabetici un protagonista della Resistenza italiana come Leo Valiani (da noi più volte intervistato), una lunga serie di campioni dello sport (dai tennisti americani Talbert e Richardson al nuotatore Gary Hall, alla bandiera del Manchester United Paul Scholes eccetera), Luciano Pavarotti, e persino Miss America 1999, che sorrideva felice su una nostra copertina di quell’anno.
Abbiamo sempre scritto, sulla scorta di pareri autorevoli e unanimi dei diabetologi italiani e no, che la vita quotidiana di un diabetico può essere del tutto normale, a patto di rispettare alcune regole auree, anche grazie ai lenti ma sostanziosi progressi nei mezzi di cura: in questi due decenni abbiamo visto arrivare nuovi tipi di insulina, non più animale, ma umana, più fisiologica, meglio adattabile ai ritmi dell’organismo, farmaci ipoglicemizzanti più efficaci, misuratori della glicemia sempre più semplici da usare e sempre più accurati nei risultati. E, con l’aiuto degli specialisti -il professor Brunetti, in primis- abbiamo informato i nostri lettori di tutte le novità, quelle vere, accertate, cercando di tenerci ben lontani dagli illusori annunci di miracoli impossibili (una pratica che anzi denunciammo in una tavola rotonda a Milano nel 1989, intitolata “Processo alla stampa”). Spesso, però, abbiamo provato la sensazione che la “normalità” della vita di tutti i giorni per un diabetico fosse resa problematica non tanto da un’eventuale inadeguatezza dell’assistenza medica o della ricerca scientifica quanto piuttosto da rigidità sociali, culturali e normative.
Per esempio, nel 1988 “Tuttodiabete” registrò, con una grande inchiesta, l’”odissea sotto le stellette” di tanti giovani diabetici che, nonostante la legge vigente specificasse che la loro condizione era valido motivo di esenzione dal servizio militare, incontravano difficoltà di ogni genere (non ultime le accuse di simulazione) in quei famosi tre giorni di visita di leva, che spesso diventavano molti di più. Quel documentato articolo, curato proprio da Sergio Marigo, ebbe il positivo effetto di aprire un dialogo fecondo con le autorità militari, che, sia pure in tempi non brevissimi, portò finalmente, nel 1995, alla soluzione più equa e logica: se un giovane è diabetico, basta che presenti una documentazione medica che lo certifichi e non ha più alcun obbligo di sottostare a lunghe e inutili -e non di rado dannose- visite. Ci piace ricordare che quell’obiettivo fu raggiunto senza duri scontri polemici: al contrario, al problema da noi sollevato il direttore generale della sanità militare Agostino Didonna rispose con una cortese lettera che dichiarava piena disponibilità a trovare una soluzione. Una lettera che fummo ben lieti di pubblicare in prima pagina sul numero di luglio-agosto 1988.
Un altro argomento protagonista in prima pagina in questi anni è stato certamente la patente di guida, improvvisamente negata ai diabetici da norme ottuse o per lo meno confuse, nonostante che il parere dei diabetologi e la stessa esperienza acquisita dimostrassero che un buon controllo metabolico rendesse una persona con diabete tranquillamente in grado di condurre un autoveicolo con rischi pari (se non addirittura inferiori) a quelli di una qualsiasi altra persona patentata. A fine anni Ottanta un inopinato decreto aveva introdotto limitazioni e veti che impedivano a tanti diabetici di conseguire la patente o di ottenerne un rinnovo che fino a quel momento era sempre parso pacifico: rinviato all’esame di severissime commissioni provinciali, il diabetico si ritrovava spesso arbitrariamente bocciato o con un permesso di guida di durata molto più breve di quella normale. “Tuttodiabete” ha dedicato per alcuni anni molti articoli e interventi a questo tema, seguendo da vicino il costante lavoro di persuasione e informazione svolto dalla Fand per ottenere una correzione di quelle norme ingiustamente restrittive, fino a poter titolare, nel primo numero del 2001, “Patente: vittoria finalmente!”. Dopo tanti incontri e discussioni, era stato stabilito che il buon compenso metabolico del candidato certificato dal diabetologo curante era più che sufficiente a garantire l’idoneità del soggetto per le patenti A, B e BE, mentre per i mezzi pesanti (le C-D-E) restava obbligatoria la visita in commissione, integrata però dallo specialista.
D’altra parte, chi meglio del diabetologo può sapere come sta un paziente?
”Tuttodiabete” ha perciò sempre dato grande spazio anche ai diabetologi: presentando i congressi annuali delle loro associazioni, Sid e Amd (appuntamenti chiave per fare il punto sullo stato dell’arte della ricerca e dell’assistenza), dando notizia delle loro iniziative (non ultima la creazione del consorzio Diabete Italia, tentativo di costruire una casa comune per tutto l’universo che ruota intorno alla patologia), intervistandoli su temi di maggiore attualità e interesse, dai problemi della maternità, ai benefici dell’attività sportiva, dall’importanza dell’aspetto psicologico alla funzione fondamentale dell’educazione sanitaria, dalla crucialità dell’autocontrollo ai criteri della buona alimentazione. Sulle pagine di “Tuttodiabete” sono passati i presidenti che in questi lustri si sono succeduti al timone della Amd (ricordiamo Morsiani, Coscelli, Noacco, Cucinotta, Comaschi, Vespasiani, Valentini, Arcangeli) e della Sid (Molinatti, Crepaldi, Brunetti, Tiengo, Pagano, Navalesi, Giorgino, Muggeo, di Mario, Pontiroli, Vigneri).
Non sta certo a noi dire se e quanto questo giornale abbia contribuito a migliorare la situazione: quello che, però, possiamo affermare, sfogliandone le annate, è che quella del diabete in Italia sembra una storia di progresso, di piccoli spostamenti all’insù dell’asticella che misura il livello di qualità della vita. E’ vero: c’è ancora chi può essere arbitrariamente licenziato perché diabetico, ma oggi sarà più facile che trovi un giudice del lavoro che imponga la sua immediata reintegrazione. Ci sono ancora difficoltà di accoglienza e di adattamento per i bambini diabetici a scuola, ma l’attivismo delle associazioni -di cui abbiamo spesso dato conto- ha reso gli insegnanti più informati e consapevoli di una questione spinosa soprattutto perché ignorata.
Chiediamo scusa a tutti quelli che, in questo sintetico ritratto di venticinque anni di storia, non abbiamo potuto nominare, ma dei quali ci ricorderemo sempre nel nostro lavoro quotidiano e di cui torneremo volentieri a parlare tutte le volte che sarà necessario. Anche nei prossimi venticinque anni.