Diabete di tipo 2: cosa spinge al cambiamento dello stile di vita?

Nelle sue “Conversazioni di profughi tedeschi”, lo scrittore tedesco Johann Wolfgang Goethe ci regala un’affermazione potente: “la vita è per chi la vive, ma chi la vive deve essere pronto ai cambiamenti“. In effetti, il processo di cambiamento e la capacità di adattarsi a nuove condizioni è una parte necessaria della nostra esistenza. Senza cambiamento non può esistere una qualsiasi progressione o evoluzione, e quindi, parafrasando Goethe, non può esserci la vita: anche a livello biologico, la vita è intrinsecamente un continuo cambiamento. Questo concetto si estende anche al nostro benessere, specialmente quando si tratta della prevenzione di malattie croniche come il diabete di tipo 2. Cambiare le abitudini legate allo stile di vita è fondamentale per prevenire l’insorgenza di tale condizione, per mitigarne i sintomi e le complicanze e, in generale, migliorare la qualità della vita di chi ne è affetto. In particolare, il prediabete, lo stadio che precede il diabete di tipo 2, è una fase fondamentale, in quanto si tratta di un momento in cui, agendo sullo stile di vita, è possibile evitare il progredire verso la malattia vera e propria. Questo, purché le persone con prediabete siano disposte a intraprendere e mantenere un cambiamento significativo all’interno delle loro vite. Ma cosa motiva le persone a cambiare? È quanto si è chiesto un gruppo di ricercatori dell’Università di Oslo, che in un recente studio ha indagato le percezioni sulle sfide e sui fattori che aiutano le persone affette da prediabete a modificare il proprio stile di vita.

Una fase critica, ma anche un’opportunità

Facciamo un passo indietro: con il termine “prediabete” ci si riferisce a quella condizione condivisa dalle persone che sono a rischio di sviluppare il diabete di tipo 2, caratterizzata da livelli di zucchero nel sangue più alti della norma, ma non abbastanza elevati per essere considerati diabete. Si stima che circa il 70% delle persone con prediabete alla fine sviluppi la malattia conclamata. Pur trattandosi di una condizione associata a un aumentato rischio cardio-metabolico, il prediabete è generalmente considerato una fase sì critica, ma anche un’opportunità, in quanto reversibile: per una buona parte dei casi di prediabete è infatti possibile scongiurare o ritardare l’insorgenza del diabete vero e proprio agendo principalmente sul modo in cui si vive. In effetti, il rischio di prediabete e diabete aumenta con sovrappeso, vita sedentaria, età e storia familiare di diabete; agire su ciò che è modificabile, ovvero cambiando lo stile di vita attraverso una dieta sana, attività fisica regolare e mantenimento del peso corporeo è cruciale per prevenire o ritardare l’insorgenza del diabete di tipo 2.

Gli interventi sullo stile di vita hanno infatti dimostrato di ridurre significativamente il rischio di sviluppare il diabete, con una diminuzione compresa tra il 36% e il 54% nelle persone con prediabete. Tuttavia, nonostante i programmi di modifica dello stile di vita siano molto efficaci nel breve termine, diversi studi hanno evidenziato come si riveli difficile mantenere i miglioramenti ottenuti nel lungo periodo. Ecco perché è importante trovare modi che ci motivino a lungo termine e che consentano di superare le barriere che ci separano dal cambiamento.modulo

Lo studio e i risultati

Nonostante l’importanza di questo aspetto, finora non era stato ancora condotto uno studio ad ampio raggio che esaminasse ciò che spinge le persone a rischio di diabete di tipo 2 di cambiare il loro stile di vita. Lo studio norvegese, quindi, si è concentrato proprio su questo: i ricercatori hanno eseguito una meta-sintesi della letteratura scientifica, esaminando i dati provenienti da venti studi qualitativi che coinvolgevano un totale di 552 persone con prediabete. Dall’analisi dei dati raccolti è emerso che le motivazioni personali legate alla consapevolezza della propria salute giocano un ruolo chiave nel promuovere e mantenere un cambiamento nello stile di vita. In particolare, le persone hanno interpretato la diagnosi di prediabete come una minaccia alla loro salute (“C’è un grande elemento di preoccupazione. . . come se fossi su un treno e non potessi fermarlo. Hai la preoccupazione di “sarai in grado di impedire che la situazione peggiori? Non voglio diventare diabetico, questa sarebbe la mia preoccupazione principale” riporta un paziente). Dopo la diagnosi, molti hanno sperimentato sensi di colpa, assumendo una responsabilità personale per gli esiti di salute, ma al tempo stesso trovandosi in una sorta di lotta interna, emersa soprattutto nell’affrontare cambiamenti nella dieta (“Come farò a farlo? So che idealmente dovrei perdere cinquanta chili per tornare al mio peso ideale, ma sembra una montagna così insormontabile da scalare che perché provarci?”). D’altro canto, miglioramenti nella condizione fisica e nel benessere mentale hanno incentivato molti a continuare gli sforzi, specie per quanto riguarda l’esercizo fisico. Analogamente, avere sensazioni positive sulla propria salute attraverso cambiamenti nella dieta ha portato molti pazienti a una sensazione di padronanza e autocontrollo, facilitando il mantenimento di un nuovo stile alimentare.

Un altro dei temi fondamentali emersi è quello legato alle strategie per avviare e mantenere il cambiamento: fissare obiettivi realistici, pianificare e acquisire nuove abilità sarebbe cruciale per questo scopo (“Ho stabilito un obiettivo. Mi costringo a fare tre giri, non importa quanto mi sento lento. . . Se corro oggi, sento di aver prestato attenzione alla mia salute e mi sento in pace”). Inoltre, le relazioni familiari e il supporto sociale giocano un ruolo rilevante nel supportare il cambiamento. In particolare, l’inclusione delle famiglie nei programmi di intervento può migliorare il senso di supporto (“I miei figli diranno: ‘mamma, è salato, non mangiare’ oppure, diranno ‘questo è troppo grasso, non mangiare’. Me lo ricorderanno e terranno d’occhio la mia dieta”), mentre l’utilizzo della tecnologia mostrano potenziale motivante e stimolante (“Ho un contapassi che semplifica le cose, perché mi piace sfidare me stesso per assicurarmi di fare i miei passi ogni giorno. Quindi, molte volte, torno a casa la sera e li vedo a 9000, mi piace uscire e camminare su e giù per il vialetto”). Infine, lo studio ha sottolineato come tutti questi fattori, da quelli personali a quelli legati più alla società, alla cultura e alla politica sanitaria, siano strettamente interconnessi tra loro.

In sintesi, la consapevolezza del prediabete e la percezione dei rischi influenzano la volontà di cambiare lo stile di vita nelle persone a rischio di diabete di tipo 2, ma questa consapevolezza non sempre si traduce in effettivi cambiamenti nello stile di vita. I fattori che aiutano o ostacolano il cambiamento sono influenzati da una complessa interazione tra diversi fattori, tra cui quelli ambientali, relazionali e personali. I risultati di questo studio, quindi evidenziano la necessità di fornire sostegno psicologico, sociale e ambientale a chi è a rischio di diabete per creare strategie efficaci e promuovere un cambiamento positivo nello stile di vita. L’obiettivo finale? Quello di sostenere le persone con il prediabete nel loro percorso verso uno stile di vita più salutare, riducendo così il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2.

A cura di Chiara di Lucente


Fonti:

Skoglund G, Nilsson BB, Olsen CF, Bergland A, Hilde G. Facilitators and barriers for lifestyle change in people with prediabetes: a meta-synthesis of qualitative studies. BMC Public Health. 2022 Mar 21;22(1):553. doi: 10.1186/s12889-022-12885-8. PMID: 35313859; PMCID: PMC8935766.