Farmaci sempre più innovativi: ma è l’adesione alla terapia a essere essenziale

 

Contro il diabete abbiamo a disposizione tecnologie sempre più sofisticate e precise, sempre più personalizzabili in modo da rendere la terapia perfetta per l’individuo. Ne consegue quindi che districarsi tra queste possibilità non sia un processo semplice, ma soprattutto spesso non è nemmeno possibile scegliere veramente: i costi di alcune terapie innovative sono infatti proibitivi. Il fatto che l’American Association of Clinical Endocrinologists abbia da poco pubblicato nuove linee guida per la cura del diabete di tipo 2, aprendosi anche all’uso di questi farmci fin dalle prime fasi della malattia fa discutere, soprattutto quando il diabete è diffuso in modo massiccio.

Molti sono i commenti da parte di medici diabetologi: «molte nuove molecole riducono il rischio di ipoglicemie, motivo di tanti accessi in Pronto soccorso: possono essere inizialmente costosi, ma a lungo termine potrebbero ridurre la spesa per le complicanze – osserva Nicoletta Musacchio, presidente dell’Associazione Medici Diabetologi (Amd) -. La sostenibilità del sistema va salvaguardata, ma c’è spazio per agire risparmiando dove possibile e garantendo al contempo la terapia migliore per ciascuno. L’importante è stabilire una strategia efficiente fin dalla diagnosi, per riportare quanto prima il paziente in controllo metabolico». Secondo Enzo Bonora, presidente della Società Italiana di Diabetologia (Sid) un problema da non sottovalutare risiede anche nel rapporto tra diabetologi e persone con diabete: nel corso degli anni il numero di questi ultimi è cresciuto senza che vi fosse un aumento di medici. Senza contare tutte quelle situazioni particolari come il diabete gestazionale, le complicanze, etc… «I farmaci innovativi sono spesso molto efficaci nelle fasi iniziali di malattia, mentre incidono meno se si sono già instaurate complicanze – commenta Enzo Bonora -. Nel Nord Europa li usa il 20% dei diabetici di tipo 1, da noi il 5%: stiamo perdendo l’opportunità di sfruttare appieno tutte le armi che abbiamo».

La certezza è una: la cura deve essere individata in modo preciso e personale, come un vestito su misura, in questo caso della persona con diabete. Possiamo avere l’anziano, il bambino, la donna incinta, ma anche persone che esercitano professioni particolari, il cui stile di vita influisce sulla patologia o sulla terapia scelta. Quello che va evitato sono la complicanza e la crisi ipoglicemica e lo si può fare solo se la terapia è precisa e accettata da chi convive con il diabete. La somministrazione di insulina – dal punto di vista terapeutico – resta il nodo critico: per molti è difficile da gestire, viene abbandonata, non si ha adesione, nonostante gli strumenti siano sempre più indolori e discreti. E a volte anche meno costosi rispetto al passato. Per esempio alcuni nuovi anti-diabetici fanno perdere peso, abbassano la pressione e riducono il rischio di ipoglicemie. Altri possono essere assunti una volta alla settimana, facendo quasi “dimenticare” la cura anche se si tratta di medicinali da iniettare

Quello a cui si tende quindi è sia efficacia sia adesione da parte della persona che ha il diabete: «bisogna puntare su trattamenti che possano essere seguiti senza intoppi, ma perfino il farmaco migliore è inutile se il paziente, oltre a non comprenderne fino in fondo l’utilità, non è consapevole della sua malattia e non cambia stile di vita: sana alimentazione e movimento restano un pilastro imprescindibile in qualunque terapia del diabete, a qualunque stadio», conclude Musacchio.

Eleonora M. Viganò

Fonte: Il Corriere della sera