Ormai quindici anni fa, il progetto Genoma Umano aprì le porte a ciò che chiamiamo medicina personalizzata e ora – più di recente – di precisione. Sono due concetti diversi, ma che si basano sempre sulla genetica e le conoscenze maturate nel corso di anni per scoprire terapie sempre più efficaci e studiate ad hoc per il paziente, non più solo per la malattia in generale. Lo stesso vale per la diagnosi precoce, che ancora prima si affianca all’idea di prevenzione. Nel caso del diabete, purtroppo, sembra che i farmaci anti-iperglicemizzanti siano ancora lontani dal raggiungimento di questo obiettivo di personalizzazione e precisione, mantenendo tutti gli effetti collaterali che la terapia classica comporta. Certo, di passi avanti ce ne sono stati e hanno migliorato la qualità di vita delle persone con diabete.
Quello che purtroppo sembra ancora lontano, come è emerso al congresso Panorama Diabete organizzato dalla Sid a Riccione, sono le scoperte in campo farmacogenomico. “Interpretare gli studi di farmacogenomica, anche nel campo del diabete – ammonisce con fermezza Vincenzo Trischitta, dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma e Laboratorio di Ricerca Diabetologica ed Endocrinologica, Irccs ‘Casa Sollievo della Sofferenza’, San Giovanni Rotondo (Foggia) – è una faccenda molto seria. Le risposte che abbiano acquisito finora non sono tali da poter impattare in modo significativo l’attività clinica quotidiana. Anche se la speranza di tutti naturalmente è che questi studi, negli anni a venire, possano acquisire una rilevanza clinica. In questo momento però abbiamo in mano solo informazioni pre-cliniche”.
Ciò significa che se i ricercatori sono su una strada buona, interessante e con ottime promesse; i medici, interessati al dato clinico tanto quanto chi soffre di diabete, sono invece lontani dai vantaggi terapeutici. La pazienza è la sola arma a disposizione, affinché la ricerca faccia il suo corso fino a quando potrà davvero tradursi in un prodotto. “Insomma, non è ancora arrivato il momento – ribadisce Trischitta – di utilizzare nell’ambulatorio del medico tutte le informazioni genetiche acquisite finora sulla risposta ai farmaci per il diabete. E a maggior ragione, andare a buttar via soldi per fare delle analisi genetiche, la cui offerta è sempre più pressante sul mercato, non ha veramente senso”.
Tuttavia, è sempre utile fare il punto della situazione e parlare anche delle conquiste e dei risultati positivi. Per esempio gli studi sulle proteine che trasportano la metformina, un ipoglicemizzante orale. Jose Florez è il guru del settore e lavora a Boston, presso la Harvard Medical School. Florez studia le differenze a livello genetico per comprendere come possano influire sulla risposta ai farmaci contro il diabete, appunto come la metformina. Ma non basta, si stanno studiando anche i geni direttamente coninvolti nel diabete, che “predispongono” alla patologia, oppure – come nel caso del lavoro di Florez – che interferiscono con i farmaci. Alcuni nomi? Il gene TCF7L2 è quello individuato come il più importante nel conferire una predisposizione al diabete di tipo 2. Un gruppo di ricercatori scozzesi ha dimostrato che questo stesso gene modula una diversa risposta del paziente al trattamento con un’altra classe di farmaci, le sulfaniluree.
Queste e tante altre piccole o grandi conquiste nel mondo della ricerca sono indispensabili e imprescindibili per arrivare un giorno a qualche terapia più mirata e precisa contro il diabete. Nel frattempo non ci resta che fare il tifo ed esserne soddisfatti.
Fonte: QuotidianoSanità