Un gruppo di ricercatori della Monash University di Melbourne (Australia) ha identificato una proteina coinvolta nell’insorgenza del pre-diabete, chiamata Fetuin B e presente in alti livelli nelle persone con la steatosi epatica non alcolica, malattia che precede il diabete di tipo 2.
Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire cosa sia il prediabete. Il pre-diabete è una malattia in cui la glicemia è più alta rispetto alla norma, ma non è così alta da permettere al medico di diagnosticare il diabete. Una sorta di limbo, in cui tuttavia gli effetti negativi del diabete si fanno sentire, soprattutto per quanto riguarda i rischi associati ad altre patologie di tipo cardiovascolare.
Una delle spie del pre-diabete è, come abbiamo detto, la steatosi epatica. Il 60% delle persone obese va incontro a questa malattia del fegato. Si tratta di un accumulo di grasso nelle cellule epatiche, non dovuta però al consumo eccessivo di alcol o a infezioni virali né a malattie autoimmuni. Possiamo considerarla una sorta di campanello d’allarme, poiché indica che si sta conducendo una vita sedentaria, con un’alimentazione scorretta e un eccesso di grassi. Il grasso negli organi infatti è pericoloso ed è diverso da quello che si accumula sottocute: a causa della sua localizzazione può influire sulla funzionalità stessa dell’organo provocando alterazioni metaboliche e quindi portando l’individuo anche verso il diabete di tipo 2.
I ricercatori hanno identificato la proteina Fetuin B e hanno scoperto che compromette l’azione dell’insulina. Così facendo hanno anche ipotizzato che possa essere la causa di questo pre-diabete e di tutti i suoi sintomi ed è quindi anche un possibile target terapeutico. Gli alti livelli riscontrati erano presenti solo in persone diabetiche o pre-diabetiche, mentre erano normali in chi era obeso, ma non diabetico. Nei test condotti su modelli sperimentali, infine, i ricercatori hanno notato come, riducendo i livelli di Fetuin B nel fegato e nel sangue, migliorasse il metabolismo del glucosio.
Si tratta di una scoperta importante: mette in luce un altro pezzo del complesso puzzle che regola le malattie metaboliche.
Fonte: Humanitasalute