La storia di Elisa: pane (senza glutine), amore e fantasia

La storia di una famiglia, di diabete, di celiachia e di un camper.

Sapete una cosa? Poteva andare peggio.
Chi non se l’è sentito dire, almeno una volta nella vita?
Quasi una zampata, che ti rimette al tuo posto. Hey! È vero t’è successo questo e questo e anche questo, ma diciamo la verità, c’è chi è messo peggio.

E sì, potremmo continuare all’infinito tra proverbi e modi di dire, che spesso contengono una saggezza antica, della quale però ti fai poco o niente, se quello di cui hai bisogno veramente è piuttosto una manciata di empatia, è piuttosto un abbraccio, una stretta, uno sguardo che non si abbassa e che sostiene quello che stai sostenendo tu. A volte hai bisogno di sentire che qualcuno si siede vicino a te e ti dice: “Non ho idea di cosa tu stia provando, ma se vuoi condividerlo, sono qui”.

Ecco Elisa, nel mio piccolo, io non ho idea di cosa tu abbia provato, ma adesso lo condividiamo, vuoi?

Elisa è una delle protagoniste di questa storia. Un mare di capelli lunghissimi… Sembra una sirena, sguardo dolce, sorriso incantevole. Una siciliana trasferita in toscana con un miscuglio di accenti irresistibile.

“E insomma mi dicevo: il figlio lo fo’ o non lo fo’, lo fo’ o non lo fo’…”
E alla fine, sì, l’ha fatto. Ed ecco, un regalo per il mondo: Amelia.

Ma facciamo un passo indietro. Elisa ha il diabete da quando è bambina. È una cosa che è lì e che è sua. Punto. Il vero cambiamento però avviene una volta a Firenze, verso i 18 anni. Comincia a frequentare il Mayer, comprende che il diabete può essere gestito con meno rigidità, con una organizzazione più aperta, meno ansiosa, che non le impedisca di fare le cose che ama, dal teatro in avanti. Comprende poi che è il giudizio altrui il fardello più pesante da portare. Una volta superato anche quello, le cose si stabilizzano. Dentro e fuori. Mi racconta della sua tesi in Antropologia Medica. Mi racconta dei malati psichiatrici, delle loro storie, di storie che parlano di tutti, con un’universalità di fondo che volenti o nolenti ci appartiene.

“Sono andata lontano per tornare vicino”, mi dice. E devo soffermarmi un attimo, perché questa è una frase preziosa.

E poi entra in gioco l’amore, proprio perché si sa, l’amore in gioco ci vuol sempre stare.
Emiliano è l’uomo di cui si innamora. E Amelia è la loro bambina. Il 2% di probabilità che fosse diabetica a sua volta. “Non accadrà”, si dice Elisa. E invece accade.

La testa in certi casi fa click, una notizia così non la vuole assorbire. Non si vuole arrendere a questa realtà. Non ne ha proprio nessunissima intenzione.

Ci vuole un po’ di tempo. Ci vuole un po’ di spazio. Tra i pensieri. Tra le cose. Tra la pelle che deve accogliere nuove tecnologie, su un corpicino piccolo piccolo. Microinfusore, sensore, punture.

Ci vuole tanto coraggio. Più di un po’. Bisogna proprio stringersi forte, mi vien da pensare.
E la bella notizia è che loro lo hanno fanno.

Sapete una cosa? Noi decidiamo di essere felici.
Diversamente felici, come dicono loro.

“Sapete un’altra cosa? Lo decidiamo anche quando arriva per Amelia la celiachia. – quante eredità pesanti per una bimba di 21 mesi! – Lo decidiamo perché questa è la nostra vita ora, ci costruiamo una routine nuova e la facciamo bella, più bella che possiamo”.

Di vita ne ho solo una. L’ottica di chi ha una malattia è differente. Ogni cosa è un regalo. Mangiare insieme un gelato, un momento di pace, un tramonto… E noi ce li prendiamo tutti, e godiamo di questo, di quello che abbiamo di quello che possiamo scegliere e cambiare. Siamo tutti diversamente normali, in un modo o nell’altro”.

Oh sì, cara Elisa, è proprio così. Sacrosanto.
Ora se pensate che questi tre se ne staranno a casa buoni e tranquilli, impauriti e disillusi, beh, no, vi garantisco che non faranno questo.

Hanno altri progetti. Hanno un’idea, che è già sogno, che vuole diventare reale, per poter essere chiamata esperienza, vita vissuta, oggi.
Vogliono un camper, con una cucina perché Emiliano cucina il pane senza glutine per Amelia e tante altre prelibatezze e poi ci vuole il frigo per l’insulina e poi ci vuole l’avventura.

Loro partono, noi possiamo aiutarli a partire, sostenendoli. Sostenendo, se ne abbiamo voglia, tutti i diversamente felici che popolano la terra e che la rendono così affascinante, colorata e folle. Sostenendo l’avventura, la fame di vita e di cibo (rigorosamente senza glutine).

Qui c’è il loro blog: www.potevandarepeggio.com e la loro pagina Facebook: www.facebook.com/potevandarepeggio/

Poteva andare peggio. E invece, sta andando tutto bene.

Patrizia Dall’Argine