Anno 21 – n.3
Ottobre-Dicembre 2004
DIABETE E SPORT
BREVETTO DI IMMERSIONE SUBACQUEA PER UN GRUPPO DI DIABETICI
Sott’acqua senza più tabù
Una rivoluzionaria iniziativa nata all’Ospedale milanese di Niguarda: un corso di preparazione e una certificazione scientifica di idoneità alla pratica di un’attività per anni considerata ingiustamente proibita per i diabetici. Una decina di giovani insulinodipendenti ha superato brillantemente la prova. E ora i promotori puntano a un riconoscimento ufficiale
Miriam non ha esitazione: “Non devo fare niente di più di quello che faccio di solito per una partita di tennis: controllare la glicemia prima e dopo, mangiare in modo equilibrato -dice- E’ tutto molto semplice. E poi ci si diverte un sacco. Spero proprio di poter continuare”. Eppure, ciò di cui ci parla con tanto entusiasmo la nostra giovane graziosa interlocutrice è uno sport tradizionalmente messo all’indice come “vietato ai diabetici”: l’immersione subacquea, da sempre considerata un autentico tabù. E’ forse dunque giunto il momento di demolire un’altra barriera e di affermare serenamente che l’immersione subacquea non è un’attività sportiva proibita per chi abbia un diabete ben controllato, a ulteriore dimostrazione del fatto che chi impara a gestire bene la propria condizione può fare tutto ciò che fanno gli altri.
E’ da questa convinzione che è partito, infatti, il Progetto Diabete Sommerso, promosso dal dottor Matteo Bonomo, medico del Centro di diabetologia dell’Ospedale milanese Niguarda Ca’ Granda (e appassionato di immersione), che ha portato Miriam e una decina di altri giovani diabetici insulinodipendenti a conseguire il brevetto per praticare questo sport. Il brillante esito dell’iniziativa -sostenuta attivamente dall’Associazione diabetici della provincia di Milano, sempre guidata da Maria Luigia Mottes, e dal contributo di Bayer e Medtronic Italia- potrebbe finalmente mettere in discussione quel pensiero unico ufficiale che ha sempre iscritto l’immersione subacquea tra le attività che i diabetici non possono fare. “Si tratta di una esclusione ingiustificata -commenta Bonomo- frutto di una convinzione priva di fondamenti scientifici. Io, che seguo soprattutto il diabete giovanile, ho verificato che pazienti ben compensati e correttamente trattati non hanno ragione di essere esclusi da attività come la subacquea: volevamo sdoganare questo sport, e ci siamo riusciti, anche se qualcuno aveva giudicato balzana l’idea. Un diabetico che fa sport deve potere teoricamente arrivare sino alle Olimpiadi: se c’è un buon autocontrollo, nessun traguardo è precluso”
Così, Matteo Bonomo, sostenuto dalla direzione e dalle strutture dell’Ospedale di Niguarda, ha lanciato la proposta e ha cominciato a selezionare i candidati al corso per il rilascio del brevetto. Sono stati infine scelti come idonei nove diabetici insulinodipendenti, sotto i 30 anni, con buon controllo glicemico e metabolico, senza complicanze, senza controindicazioni generali (come alcolismo, epilessia, segnali di microangiopatia) con valori di emoglobina glicata intorno al 7,2%. La preparazione ha richiesto una serie di sedute, distribuite nell’arco di qualche mese, durante le quali i giovani hanno seguito un corso-pilota “Open Water Diver” basato sulla classica didattica Padi, (dal nome dell’Agenzia internazionale di addestramento subacqueo Professional association of diving instructors, nata in Usa nel 1966 e presente in tutto il mondo), integrata con elementi teorico-pratici riguardanti la condizione diabetica (prevenire e riconoscere l’ipoglicemia, sapersi alimentare correttamente), e un successivo programma di immersioni in acque libere (con l’ausilio di istruttori specializzati), con studio delle interferenze con equilibrio metabolico e complicanze d’organo. Per ragioni di sicurezza, il massimo di profondità prevista era di 18 metri.
La prova finale si è svolta lo scorso giugno a Bergeggi, un’isoletta della Riviera Ligure, non lontana da Savona. Tutti i candidati hanno felicemente superato le prove, senza incidenti né problemi, mantenendo un ottimo controllo della glicemia (soltanto qualche caso di picco iperglicemico all’inizio, dovuto a stress ed emozione, del tutto comprensibili).
A ogni modo, tutto era stato organizzato in maniera tale da poter affrontare qualsiasi eventuale difficoltà. Ogni sub aveva la sua dotazione di glucosio in gel nel giubbotto per superare possibili episodi di ipoglicemia. Nel caso che questa si manifestasse sott’acqua, dato che il protocollo didattico prevede anche che si scenda sempre in due, era stato predisposto un sistema di allarme per comunicare al compagno il problema e poter risalire subito in superficie insieme. Per poter fare ciò senza affanno, meglio non scendere sotto i 18 metri: “D’altronde -aggiunge il dottor Bonomo- a quella profondità è bello lo stesso, si vedono scenari stupendi, anche perché c’è più luce e non c’è quella sensazione di ostilità ambientale che può essere avvertita scendendo di più”.
“La pratica subacquea con autorespiratore -continua Bonomo- non è in sé particolarmente dura, i rischi (barotrauma, narcosi da azoto, malattia da decompressione) esistono, ma sono modesti (hanno una frequenza non superiore a quella del bowling) e non aumentano in caso di diabete. Il pericolo specifico per un diabetico è l’ipoglicemia, che può causare debolezza e, al limite, perdita di coscienza: in questo senso c’è un rischio maggiore che in una partita di calcio. Quindi, è indispensabile un buon controllo, ma, senza complicanze e con un compenso ottimale, possibili reazioni ipoglicemiche sono facilmente prevenibili con una corretta preparazione del paziente e con l’adozione di misure precauzionali adeguate”.
La scelta di questo particolare genere sportivo non è motivata soltanto dal desiderio di abbattere un pregiudizio. Spiega infatti il dottor Bonomo: “Non si può dire che l’attività subacquea in sé faccia bene clinicamente: non migliora il controllo metabolico, non riduce l’incidenza di complicanze. Ma la scelta di dedicarsi a questo sport si giustifica non in termini strettamente medici, ma sotto l’aspetto psicologico: il traguardo raggiunto dà autostima, rafforza l’autocontrollo, responsabilizza la persona. E’ anche importante il fatto che si tratti di un’attività che si svolge in coppia: si scende in due e l’uno deve essere pronto ad aiutare l’altro, se necessario. Andare sott’acqua può creare disorientamento iniziale, ma è un’esperienza affascinante. Confrontarsi con uno sport che richiede efficienza fisica, precisione, affidabilità e capacità di autocontrollo in un ambiente estraneo può rivelarsi straordinariamente positivo. In questo senso, allora, potremmo dire che questo tipo di attività fa bene al diabetico, e forse fa bene anche al diabete”. Ora Miriam, Valentina, Ingrid, Simone, Nicola e gli altri loro amici hanno in mano una certificazione scientifica di idoneità alla pratica di questo sport, che consente loro di recarsi in un qualsiasi diving center e immergersi, senza problemi di ordine medico-legale. Ma la faccenda non finisce qui. Il Progetto Diabete Sommerso in realtà ha un obiettivo più ampio.
“Adesso che abbiamo dimostrato che si può fare -prosegue Bonomo- vogliamo andare avanti, coinvolgere altre persone e poi arrivare a un riconoscimento ufficiale da parte delle principali associazioni preposte alla didattica (Padi, Acuc, Fias) e alla sicurezza (Dan, Divers Alert Network) per giungere alla definizione di un protocollo discusso e condiviso con le società scientifiche e professionali”. Questo ulteriore fondamentale passo sarebbe importante per tutti i diabetici italiani che oggi non fanno immersione, ma lo vorrebbero, e per quelli che la fanno, nascondendo però la loro condizione, e per far compiere un ulteriore progresso alla diffusione del principio che con il diabete si può fare una vita normale. Bonomo ha già dalla sua il sostegno dell’Associazione diabetici della provincia di Milano e della Aniad, l’Associazione nazionale atleti diabetici diretta dal dottor Gerardo Corigliano. Pareri favorevoli all’iniziativa sono stati espressi anche dai rappresentanti della Sid (Umberto Raggi) e della Amd (Giulio Mariani) intervenuti alla conferenza stampa tenutasi a Milano, in luglio, per la consegna dei diplomi.
D’altra parte, come ricorda Bonomo, “all’estero diverse organizzazioni scientifiche hanno già riveduto negli ultimi anni la loro posizione tradizionalmente contraria ad autorizzare la pratica delle immersioni ai pazienti diabetici, riconoscendone la ammissibilità, in presenza di determinate condizioni di sicurezza. Si possono citare la Association de langue française pour l’étude du diabète et des maladies métaboliques” (Alfediam) e la American diabetes association (Ada), che hanno pubblicato raccomandazioni precise al riguardo, suggerendo sia le modalità di selezione dei pazienti, sia il protocollo da seguire nelle diverse fasi delle immersioni. Una maggiore apertura in questo campo si è effettivamente affermata negli ultimi anni negli Stati Uniti e in Inghilterra, in ambito scientifico e professionale”. Grazie a Diabete Sommerso, forse anche per l’Italia è arrivato il momento di allargare i propri orizzonti.