Alimentazione
INTERVISTA AL DIABETOLOGO MARIO PUPILLO
A tavola nessuna penitenza
Non esistono cibi proibiti per i diabetici e le raccomandazioni che valgono per loro sono quelle valide per tutti. E’ tutta questione di quantità, equilibrio e stili di vita. Ce ne parla il curatore del nuovo supplemento dedicato alle ricette, che debutta su questo numero
Il dottor Mario Pupillo, responsabile dell’Unità operativa di diabetologia e Malattie metaboliche dell’Ospedale di Lanciano (Chieti), cura, a partire da questo numero di “Tuttodiabete”, un supplemento dedicato alle ricette sane, buone per tutti, diabetici e no, e scaturite dal Progetto Chef Nutrizionista, un’iniziativa che da anni forma cuochi attenti ai principi della corretta alimentazione. Il progetto, di cui il dottor Pupillo è parte essenziale, è descritto nei particolari nell’introduzione del supplemento. In questa intervista abbiamo parlato più in generale di diabete e buona tavola, arrivando alla conclusione che non sono affatto due entità incompatibili
Dottor Pupillo, da quanto tempo lei si occupa di diabete e in particolare della
corretta alimentazione in caso di malattie metaboliche?
Ho cominciato a interessarmi di diabetologia dal 1984. Pertanto, ho festeggiato da poco, con i miei collaboratori e l’Associazione diabetici frentani, il ventennale. Nel corso degli anni la nostra struttura diabetologica ha acquisito personale e nuovi spazi con la istituzione di Unità operativa dipartimentale. Da quasi quindici anni collaboro con l’Istituto alberghiero di Villa Santa Maria, in Val di Sangro, nell’ambito dell’alimentazione e ristorazione, nel progetto Chef Nutrizionista (illustrato nell’introduzione del supplemento-ricette – ndr)
Una delle paure che affliggono coloro a cui è diagnosticato il diabete è quella di doversi sottoporre a un regime alimentare deprimente e punitivo. Possiamo sfatare questo luogo comune?
E’ un retaggio culturale difficile da rimuovere nei nostri pazienti e nei familiari delle persone affette da diabete. Alcuni decenni fa il paziente era ghettizzato e costretto a cucinarsi il cibo separatamente, a privarsi di molti alimenti di uso comune, a seguire le famose diete “in bianco” o “leggere”. L’educazione e le campagne di sensibilizzazione effettuate dai diabetologi hanno contribuito a ridimensionare il problema. Le nostre conoscenze scientifiche basate sull’evidenza, hanno permesso di rovesciare i termini del problema: sono ormai le persone “normali” a dover seguire le indicazioni nutrizionali raccomandate alle persone affette da diabete.
Vi sono ancora proibizioni assolute, in tema di cibo, per i diabetici?
Non esiste nessun alimento “pericoloso”. Anche il saccarosio, una volta demonizzato, può essere utilizzato in dosi limitate di circa 20 grammi. I dolci e il gelato, in piccole quantità, possono essere consumati, se il paziente è compensato ed è consapevole del contenuto di carboidrati che contengono. Può pertanto bilanciare la sua alimentazione rinunciando o riducendo qualche alimento equivalente previsto nel suo piano nutrizionale.
In che cosa è sostanzialmente diversa l’alimentazione del diabetico da quella considerata sana per tutti?
Il rapporto carboidrati, grassi, proteine è identico. L’introito calorico è l’unico elemento caratterizzante. Il paziente diabetico deve contenere le calorie introdotte per mantenere o raggiungere un peso ragionevole e impedire che il sovrappeso elevato e l’obesità peggiorino l’equilibrio metabolico. Nel diabetico di tipo 2, in particolar modo, è questo il vero problema. La sedentarietà e gli alimenti ad alta densità calorica, sempre molto palatabili e spesso ricchi di sale, contribuiscono ad accentuare il problema.
A proposito del Progetto Chef Nutrizionista, pensa che in prospettiva possa arrivare a interessare anche la ristorazione commerciale, dove, ordinariamente, non vi è un¹attenzione particolare per le esigenze di clienti diabetici o con problemi metabolici?
Il Progetto Chef Nutrizionista è nato proprio per conciliare le necessità nutrizionali corrette con la buona cucina. Gli chef dell’Istituto Alberghiero di Villa Santa Maria sono riusciti a raggiungere l’obiettivo di cucinare sano senza perdere le loro grandi capacità culinarie. E’ un cambiamento culturale importante. Il processo di sensibilizzazione è più facile da far passare nella ristorazione collettiva: possiamo immaginare, infatti, un campo scuola per diabetici gestito da uno chef nutrizionista, o una mensa aziendale. Oppure in ambito ospedaliero: il paziente in ospedale può essere facilmente assoggettato a una cultura ristorativa, oltre che monotona, anche penalizzante. La capacità di uno chef allenato a trattare il “cliente” affetto da patologie metaboliche non imbavaglia la fantasia e la creatività, ma la esalta, dando vita a una proposta culinaria capace di attenuare i disagi di una degenza e di una malattia.
Nella ristorazione commerciale è più difficile per la scarsa sensibilità degli operatori, che sottovalutano le esigenze del cliente, il quale, per la verità, spesso si concede una deroga. Sicuramente si arriverà a poter sviluppare corsi di formazione anche per i ristoratori e gli chef del territorio per accrescere la loro sensibilità e articolare l’offerta ai portatori di diabete e altre malattie metaboliche. Il prossimo impegno sarà proprio in questo ambito.
Non è quindi vero che a tavola ciò che è sano non è buono e ciò che buono fa male alla salute?
Saper cucinare sano diventa stile di vita, impostazione culturale, controllo delle proprie pulsioni creative e infine sconfessione dell’asssociazione: “Buona tavola-cattiva salute”. Per molto tempo lo chef è stato un avversario più o meno consapevole di medici e dietisti, vanificando, con le sue “intemperanze culinarie”, le prescrizioni nutrizionali. Con il nostro Progetto formiamo finalmente uno chef in grado di essere un alleato utilissimo per compensare in qualità quello che la prescrizione dietetica potrebbe far perdere in quantità.
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