Alessio Fresco, storia di un uomo che ha deciso di allearsi al suo più grande nemico: il diabete

Non so voi, ma io sono sempre alla ricerca di maestri.
Viaggiando ne ho incontrati. Restando, anche.
C’è chi sostiene che i maestri arrivino esattamente quando hai bisogno di loro.
C’è chi afferma che tutto ciò che abbiamo intorno è maestro. Dall’albero, alla finestra, al tavolo, alla pietra.

E ora ho anche la versione di Alessio Fresco, che, durante una telefonata nella quale mi racconta i fatti più salienti della sua vita, conclude: “Il diabete per me è un maestro”.
“Un maestro severo” aggiunge. Doveroso questo aggettivo; doveroso perché quello del diabete non è un tipo di insegnamento benevolo e comprensivo. Piuttosto: rigido, intransigente, duro.
Eppure gli ha insegnato uno stile di vita sano, l’importanza di prendersi cura di sé e di seguire un’alimentazione equilibrata.
Tutte cose che dovrebbe apprendere ogni singolo essere umano, col diabete o no.
Certo è, che prima di vederlo come un alleato, di acqua sotto i ponti ne è passata.

Ora, a distanza di molti anni dall’esordio, Alessio ripercorre tre passaggi emotivi che lo hanno attraversato: shock e rifiuto della malattia, impotenza e ira, depressione e ansia.
Ricorda i genitori, spaventati e sorpresi; divisi tra apprensione e comprensione, verso i desideri di un figlio che si portava appresso un tale fardello.
Racconta Alessio che la prima preoccupazione, quando ancora tutto era nebuloso e nuovo, l’aveva avuta nei confronti dello sport. Voleva proseguire con le arti marziali ma, al tempo, il medico l’avevo escluso. Solo passeggiate e che non siano troppo faticose, gli aveva risposto.
Basta poca fantasia per prevedere quello che è seguito dopo: isolamento volontario, depressione, senso di inadeguatezza.
La difficoltà costante nel cercare di aprirsi agli altri; il senso di colpa e di vergogna che avanzavano all’unisono.
“Anche vivere era diventato un calcolo matematico” mi dice.
I numeri entrano a far parte della vita in maniera così massiccia, così imponente, che tutto sembra ridursi a un’operazione algebrica. Un’operazione in grado di definire la quantità di benessere e malessere prodotta quotidianamente. Anche la gioia e la tristezza vengono pianificate.

“C’è il rischio che il diabete ti distragga a tal punto da convincerti di essere tutta la tua vita, non una parte di essa”. Ma non è così. E Alessio l’ha capito.
Si è avvicinato alle discipline orientali. Con lo yoga ha riattivato la connessione col suo corpo. Ha ripreso a respirare. Si è riconosciuto, finalmente, in quel respiro.
“Ho iniziato ad ascoltare le mie emozioni, che negavo e reprimevo per paura di essere giudicato, di essere diverso. Finalmente potevo sentirmi triste e non c’era nulla di male.”
“E la rabbia” continua “non doveva più essere scaricata su me stesso, dovevo indirizzarla su altro”
E così inizia a correre. Frequenta un’accademia per lo sport e diventa istruttore. Conosce ANIAD (Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici) e gli si apre il mondo delle gare, della competizione e dell’agonismo.
Partecipa all’Ironman di Pescara. E quest’anno, al tour del Triveneto in bicicletta.

Non si ferma più.
Perché può farlo. Perché sa farlo. Perché per arrivare a questa consapevolezza ha dovuto attraversare un burrone, ma ora è dall’altra parte.
Non si finisce di imparare. Il diabete non si impara una volta per tutte, ma ogni giorno, pazientemente.
“Ognuno può raggiungere le mete più alte. Ma tutti abbiamo bisogno di aiuto. Tutti noi dobbiamo essere protagonisti nell’assistenza reciproca. Condividerla significa dare conforto. Solo parlando si può superare lo scoglio dell’accettazione”.

A cura di Patrizia Dall’Argine