Molti anni fa – ero una ragazzina, un’adolescente – ho incontrato una signora. Mi ha guardato intensamente e, con molta naturalezza, dopo alcuni istanti ha detto: “Vuoi sapere qual è il modo più economico per essere bella? Sorridere.”
Mi aveva fulminato. Non parlava a parer mio di una questione prettamente estetica. Io credo, ho sempre creduto, che si riferisse a un altro tipo di bellezza, a un altro tipo di livello.
Sorridi alla vita, mi stava dicendo, vedrai che bella che diventi.
Ho intervistato, pochi giorni fa, un uomo che del sorriso ha fatto uno dei perni della sua esistenza.
Non è sempre stato così, intendiamoci. C’è stato un momento difficile, quello che lui definisce “la fase oscura della gestione della terapia”. Oscura perché non era nelle sue mani. Affidatosi per anni a cure private, era abituato a sentirsi dire quanta insulina farsi e quando. Era come cieco, si lasciava condurre. Poi il risveglio, grazie a una comune visita ospedaliera: la conta dei carboidrati, la gestione delle dosi, l’indipendenza, l’autonomia.
Ma davvero funziona così? Sì davvero funziona così. Perché parlando con Biagio, si intuisce subito che non si tratta tanto di aver il diabete (e per inciso, il morbo di Crohn) si tratta di avere in mano la situazione. Di avere voce in capitolo. Di poter dire: non posso scegliere se avere il diabete oppure no, ma posso comprenderlo. E se lo comprendo, scelgo come condurre la mia vita.
Il sorriso è tornato, lo garantisco. E un’energia che si respira dalle sue parole e anche dai social dove è sempre molto attivo, perché tra i primi ha intuito l’importanza di parlare di una patologia invisibile eppure così presente. Di alzare la mano e dire: so cosa significa.
Fare rete. Una rete grande. Una condivisione totale. Un luogo nel quale poter dire “ho paura” e trovare qualcuno, nello stesso luogo, che ti dica “stai tranquillo, non averne”.
“Che cos’è la paura?” gli chiedo
“È mancanza di motivazione e determinazione nel superare i limiti evidenti di ciascuno di noi”.
Leggendo questa frase in altri termini, ribaltandola quasi, sembra quasi voler dire: se sei determinato, se sei motivato, la paura non ti guarderà nemmeno.
Sì, ma che fatica, però, viene da dire.
Certo, che sia facile non può affermarlo nemmeno un ottimista come lui.
Ma recita, quasi come un mantra: “Lotterai, l’otterrai, lo terrai”.
Mi dice di averlo letto per caso e di averlo sentito suo, come un vestito fatto su misura.
“Mi sembra che bene racconti il concetto di resilienza. Non si tratta solo di riuscire ad ottenere un risultato, si tratta di non perderlo e non perderlo di vista”
Sacrosanto.
Tenere con sé ciò per cui si è lottato, come l’emozione di aver portato a termine – a 48 anni – il triathlon insieme a un team di triatleti con diabete di tipo 1.
“Dicevamo, ecco, questa è una cosa che purtroppo non potremo fare mai. E invece no. L’abbiamo fatta. Ti lascio immaginare cosa ha significato per noi arrivare in fondo e tagliare quel traguardo…”.
Sì, lasciamelo immaginare, per favore. La voglio proprio immaginare quella gioia lì che spinge da tutte le parti, che strattona e innalza e sostiene e poi ti fa traballare. Quella gioia che tutta insieme ubriaca.
E lui che ha iniziato a fare sport a 40 anni, oggi lo vive come parte imprescindibile della terapia e della vita. E la sensibilizzazione verso la pratica sportiva è portata avanti anche attraverso Diamovimento, una pagina che vanta più di mille iscritti.
Quest’uomo a me sembra una bomba a orologeria, che non vede l’ora di scoppiare, dove per scoppiare s’intende essere scintillanti, dare luce a idee e progetti, masticare vita e brillare.
Già si prepara a un mezzo Ironman. “Quando sarà in pensione”, mi dice, “e avrò un po’ più di tempo, magari a 70 anni, cercherò di cimentarmi nell’Ironman per intero”.
E non mi sorprende per niente. Ce lo vedo, anzi. Per il momento tra i vari progetti del futuro c’è pure l’ingresso nel mondo della moda come modello over 50 anni.
Del resto, l’ho detto fin dal principio: se vuoi essere bello, sorridi.
A cura di Patrizia Dall’Argine