Le parole usate per parlare di diabete hanno un impatto importante per le persone che ne soffrono. Nell’ambito della salute e del diabete le parole che scegliamo di pronunciare, nei diversi contesti, possono essere veicolo di stigma, possono demotivare o motivare.
Per esempio, da anni l’OMS sottolinea l’importanza di sostituire il termine compliance con quello di adesione o aderenza alla terapia. Può sembra un semplice vezzo, ma la differenza di significato tra i due termini sta nel diverso tipo di relazione che le due parole indicano. L’aderenza terapeutica è definita come il coinvolgimento attivo e collaborativo del paziente a cui si chiede di partecipare alla pianificazione e all’attuazione del trattamento elaborando un consenso basato sull’accordo. Il termine compliance risulta invece collegato ad un concetto di obbedienza del paziente alle indicazioni del curante, secondo un approccio tipicamente paternalista.
Tra gli effetti che possono avere le parole sulle persone con diabete c’è anche quello di aumentare lo stress e lo stress può contribuire a livelli di glucosio nel sangue più altri, ridurre la guarigione delle ferite e aumentare il rischio di infezioni. Per questo è importante comprendere come sono percepite le parole e quale effetto provocano sulle persone con diabete.
Quali sono le parole negative?
Uno studio fondato sulla Critical Theory – un approccio che ha le sue origini nella Scuola di Francoforte e che si propone di valutare in modo critico la cultura e la società per rivelare le strutture di potere che influenzano gli individui – ha provato a identificare le parole percepite come negative nella cura del diabete e a esplorare l’impatto di queste parole sulle persone con diabete e nelle relazioni con i professionisti sanitari.
Si tratta di uno studio qualitativo, di natura esplorativa, basato su una serie di focus group, due focus group virtuali che hanno coinvolto comunità online di pazienti e un terzo condotta in presenza.
I focus group seguivano una scaletta di 6 domande:
- Quali parole correlate al diabete hanno un impatto negativo su di te?
- Come ti fa sentire ascoltare queste parole?
- Quali esperienze particolari ricordi che riguardano le parole e il diabete?
- Se potessi chiedere ai tuoi curanti di smettere di usare una parola specifica, quale parola sceglieresti?
- Se ci sono altre parole che vorresti smettessero di usare, condividile con noi liberamente.
- In che modo credi che smettere di usare queste parole influenzerebbe la tua esperienza con il diabete?
Dall’analisi delle risposte e delle conversazioni durante i focus group, i ricercatori hanno individuato 6 aree tematiche:
- Giudizio
I partecipanti riportano l’esperienza di parole e di frasi che comunicano giudizio e colpa. Alcuni esempio: buono/cattivo, pigro, fallimento, colpa, compliante/noncompliante. Queste parole generano anche rabbia e, secondo i partecipanti ai focus group, fanno sentire le persone con diabete insultate, sminuite, incomprese, ribelli, irritate, sconfitte e frustrate. - Paura e ansia
Le parole che fanno provare paura e ansia includono “complicazioni”, cecità, cataratta, chetoacidosi, podologo e morte.
Queste parole portano a sentirsi spaventati, tristi, alienati, preoccupati, condannati, depressi e colpevoli e a provare vergogna. I partecipanti hanno condiviso che questi sentimenti non aiutano a migliorare i livelli di glucosio nel sangue: “Mi sento alienato, preoccupato, impaurito e ipersensibile”. - Etichette, richiami e pregiudizi
Questo tema comprende parole che etichettano le persone o comunicano pregiudizi sulle persone con diabete e parole che sono semplicemente un richiamo a tutto ciò che le persone con diabete devono affrontare. Tra gli esempi ci sono “diabetico”, “malattia”, “fragile”, “diabete post menopausa” e “esigenze speciali”; i richiami a “diabete”, “cibo”, “morte”, “dieta”, “cronica”, “insulino-dipendente”, “peso” e “rischio”; e i pregiudizi “soffrono” e “tutte le persone con diabete sono grasse”. I partecipanti hanno descritto le etichette come offensive, fastidiose, facili scorciatoie. Hanno condiviso che le etichette non considerano il singolo individuo, sono generalizzazioni impersonali. Allo stesso modo, le parole che esprimono assunzioni e pregiudizi sulle persone con diabete sono frustranti; fanno sentire umiliati e trattati con condiscendenza I partecipanti hanno anche riferito che ascoltare richiami costanti sulle necessità e sui pericoli del diabete, o semplicemente sul fatto di avere il diabete, diventa faticoso. - Semplificazione eccessiva e raccomandazioni
I partecipanti hanno condiviso che parole che semplificano o riducono al minimo la gravità del diabete, come “ti ci abituerai”, “solo”, “dovresti”, “perdere peso” e “almeno non è…” possono farli sentire respinti. Le parole direttive includono “perdere peso”, “fare più esercizio fisico”, “dovrebbe/non dovrebbe”, “non può”, “non può”, “no”, “fermarsi”, “non è permesso” e “non farlo”. I partecipanti hanno detto che le raccomandazioni, le parole che dicono alla gente cosa fare, fanno sentire irritabili, turbati, feriti e falliti. Alcuni hanno indicato che c’è una costante preoccupazione di “essere scoperti”, mentre altri hanno detto che semplicemente perdono interesse quando sentono queste parole. - Malintesi, disinformazione o disconnessione
Le parole che indicano una mancanza di comprensione o disinformazione includono “curare”, “invertire”, “avete provato…”, “stai bene”, “normale”, “pancreas morto”, “non sembri grasso” e “il tipo cattivo”. I partecipanti hanno anche discusso le esperienze con gli operatori sanitari che sembravano essere scollegati, come dimostrano frasi come “stai bene”, “stai ancora usando l’insulina?” e “hai controllato il tuo zucchero di recente?”.
I partecipanti hanno riferito che c’è una grande lacuna nella conoscenza e nella comprensione del diabete in generale. Sebbene i partecipanti abbiano riconosciuto che le persone si preoccupano, hanno risposto che i commenti basati su idee sbagliate sono frustranti e possono portare a sentirsi sulla difensiva, impazienti o addirittura arrabbiati. Hanno condiviso la loro sensazione di essere stanchi di spiegare e stanchi di sentire parlare di cure o di altre opzioni che sanno non essere valide. I partecipanti hanno riferito che i commenti e le domande degli operatori sanitari che indicano una disconnessione o una mancanza di conoscenza del paziente li fanno sentire infastiditi, esasperati e irritati. Hanno anche detto di sentirsi stanchi, rassegnati e non rispettati: “Siamo tutti trattati con parole che suggeriscono che siamo mentalmente incompetenti, analfabeti dal punto di vista medico e che non riusciamo a mantenere il nostro lavoro”. - Linguaggio del corpo e tono. Il modo in cui le cose vengono dette può essere tanto doloroso quanto ciò che viene detto. I partecipanti hanno riferito che il linguaggio del corpo e il tono della voce possono inviare messaggi condiscendenti, spersonalizzanti e accusatori: “Mi sono sentito come se fosse colpa mia”.
Consigli per i curanti
I partecipanti hanno riferito che vorrebbero che gli operatori sanitari ascoltassero le persone con diabete, concentrandosi sulla persona non sulla malattia. Vorrebbero essere trattati come partner competenti, senza essere colpevolizzati ma con la comprensione del duro lavoro che implica convivere con il diabete.
Come si sentirebbero se i curanti smettessero di usare queste parole? I partecipanti ai focus group rispondono:
“Mi sentirei meno giudicato, con meno senso di colpa, meno impotente, meno infastidito, meno sulla difensiva, meno arrabbiato, e probabilmente più felice”.
“Sbarazzarmi del linguaggio stigmatizzante mi aiuterebbe a sentirmi prima di tutto un essere umano. E mi aiuterebbe a sentirmi considerato tale”.
“Avrei più fiducia nei miei curanti se non usassero parole che secondo me trasmettono una mancanza di informazione, sensibilità o comprensione della mia esperienza”.
“Si potrebbe raggiungere più rapidamente una conversazione significativa con meno ostacoli emotivi “.
“Un linguaggio migliore aiuterebbe a spostare la vergogna, la colpa e il disprezzo di sé dalla persona alla malattia. Permetterebbe la speranza.”
Conclusioni
Lo studio non permette generalizzazioni ed è relativo a uno specifico contesto culturale di matrice anglosassone. In Italia, forse, le parole individuate sarebbero altre, tuttavia attraverso queste testimonianze possiamo riflettere meglio sull’effetto che le parole possono avere nel contesto di cura e sul grado di consapevolezza e di sensibilità delle persone con diabete.
Secondo la teoria critica, è la dimensione comunicativa è quella in cui si rivelano gli inganni sistematici delle ideologie e del potere. Le parole negative che hanno individuato i partecipanti sono esplicative dei modi in cui i curanti potrebbero esercitare una relazione paternalista, facendo sentire la persona con diabete poco competente, stigmatizzandola, ponendola in uno stato di vergogna, ansia o paura.
Richiedere un uso più consapevole, riflessivo e critico del linguaggio da parte dei curanti, trovare insieme alle persone con diabete un consenso sulle parole da utilizzare, sui significati attribuiti e sull’effetto che queste parole producono è un modo per impostare una relazione di cura più efficace e nella quale sentirsi a proprio agio e per costruire le fondamenta di una società improntata alla valorizzazione dell’intersoggettività.
A cura di Francesca Memini
Bibliografia
- Dickinson JK. The Experience of Diabetes-Related Language in Diabetes Care. Diabetes Spectr. 2018;31(1):58‐64. doi:10.2337/ds16-0082
- https://www.who.int/chp/knowledge/publications/adherence_full_report.pdf?ua=1