Fondazione Italiana Diabete. L’impegno per la ricerca e per la guerra in Ucraina nel racconto di Francesca Ulivi

Quando intervisto Francesca Ulivi, la guerra in Ucraina è iniziata da un paio di settimane.
Avevo provato a contattarla prima, verso fine febbraio, ma allora la guerra era agli inizi e lei aveva altro a cui pensare. Infatti, attraverso Fondazione Italiana Diabete, Francesca ha dato il via a una campagna di aiuti a sostegno delle persone con diabete del popolo ucraino.

Quanto recuperato è stato affidato a Croce Rossa Italiana, Croce Rossa Ucraina, Croce Rossa Rumena, Anpas e Chiesa Ortodossa Ucraina, Fondazione Rava tra gli altri. Gli aiuti sono stati portati nel centro di smistamento di Chernivtzky e da lì smistati in tutto il territorio. In tutto, dal 28 febbraio, sono state inviate oltre mille scatole di insulina  e tre tonnellate di materiali sanitari per persone con diabete.


Un risultato frutto dello sforzo, della dedizione e della partecipazione di tanti. Un risultato eccezionale, non solo per la mole di quanto raccolto, ma per il significato che questi presidi hanno.
Avere o non avere l’insulina, per un diabetico di tipo 1, non significa stare male, significa morire.

Ecco cosa ha pensato Francesca quando è iniziata la guerra. Ha pensato: E se succedesse a me? Se fossi io in quella circostanza? Se dovessi scappare, nel cuore della notte, e avessi con me soltanto l’insulina che ho a casa… e se quell’insulina non fosse sufficiente, cosa accadrebbe?
Francesca Ulivi ha un lungo trascorso da giornalista. È una donna che lavorando con le parole è sempre stata abituata ad usarle in maniera appropriata. È abituata a non smorzarne o neutralizzarne la portata, quanto piuttosto a rispettarla. Per questo, quando mi parla, ne sento la forza. La forza di un pensiero asciutto e limpido che non vuole edulcorare o semplificare, ma vuole restituire la verità per quella che è.
Ecco perché, sebbene faccia male, credo, in primis a lei – dato che Francesca è diabetica – non può che dirlo in altro modo: «Se il pancreas non funziona, se sei diabetico di tipo 1, la tua vita è legata all’esistenza e alla disponibilità di un ormone da iniettare, l’insulina».

Francesca ha avuto l’esordio a 40 anni, all’apice della sua carriera. E ha deciso di lasciare il suo lavoro nel mondo della comunicazione e della tv, per dedicarsi a tempo pieno a sensibilizzare e a promuovere la divulgazione del diabete; affinché si creasse cultura e conoscenza sopra una malattia che ha il grande “difetto” di essere invisibile.
«Ho dovuto insegnare al mio cervello a sostituire un altro organo, il pancreas. Ed è molto complesso da spiegare. Ed è questo che rende la mia malattia così complicata: il fatto che non si vede. Il problema non sono le punture, il problema è non avere la libertà totale di fare quello che vuoi. Ogni cosa deve essere meditata, gestita, pensata. All’opinione pubblica devi spiegare cos’è questa malattia. In fondo, perché dovrebbero aiutarti se non sanno veramente di cosa si tratta?
Bisogna accendere una luce. Ogni malato è un media potentissimo. E quello che raccontiamo è importante. A volte si sente dire che la cura per il diabete di tipo 1 c’è ed è l’insulina. Ma non confondiamoci, l’insulina non è la cura, l’insulina è ciò che ci tiene in vita. Per arrivare a una cura definitiva bisogna investire nella ricerca. Le aziende investono, per lo più, sulla tecnologia dei dispositivi. Quindi spesso la ricerca è autonoma e dobbiamo finanziarla noi».

L’obiettivo di Fondazione Italiana Diabete è proprio questo: trovare una cura definitiva al diabete di tipo 1. Fondazione Italiana Diabete è nata nel 2009 per volontà di due genitori di un bambino divenuto diabetico a diciotto mesi. La fondazione raccoglie fondi per lo più da persone col diabete, dalle loro famiglie e da investitori privati e non è collegata ad aziende e società scientifiche, in modo da non innescare alcune conflitto di interesse.
Da marzo 2020, Francesca Ulivi ricopre il ruolo di Direttore Generale e della Comunicazione della Fondazione.
«Io credo che sia fondamentale fare rete. E ho fiducia nella ricerca. Se non avessi fiducia non mi alzerei nemmeno la mattina. Ho fiducia sempre. E spero di poter vedere la cura con i mie occhi. Non potrei occuparmi di altro, perché quello che faccio mi rende felice».

A cura di Patrizia Dall’Argine