Il viaggio non è la meta

In due, pedalando tra Singapore e Cesena. Quando il diabete è un fatto, ma non il fatto.

“Chiara, qual è la cosa più bella, proprio la più bella, che potremmo fare in questo momento io e te?”
Questa è la domanda che risponde ad un’altra domanda – la mia – con la quale chiedo a Riccardo in che modo due persone decidano di intraprendere un’Avventura con la “a” maiuscola.
La loro: un viaggio lungo, importante, complesso, conquistato pedalata dopo pedalata, che li porterà da Cesena a Singapore.

Da restare senza fiato. Di fronte all’impresa, certo, ma anche, io credo, di fronte alla domanda, che un giorno – un giorno qualunque probabilmente – Riccardo ha posto alla sua compagna di viaggio e di vita e che a me ha fatto venire letteralmente la pelle d’oca.
Questa domanda… così tremendamente semplice, così tremendamente difficile.
Così tremendamente dimenticata.

Perché ce la dimentichiamo? Perché ci dimentichiamo così spesso di chiederci qual è la cosa più bella che possiamo fare, ora, in questo istante? Qual è la cosa che ci renderebbe davvero felice?

Forse perché la domanda presuppone una risposta e alla risposta consegue un’azione e l’azione determina un prima e un dopo. Il prima, il sogno, che non richiede grandi cose, solo di essere sognato e il dopo, l’azione che è fatta di realtà e ha bisogno di pragmatismo e lavoro. E poi i preparativi, il materiale tecnico, le biciclette, gli abiti di ricambio, l’acqua, il sudore, due braccia e due gambe, che in questo caso sono quattro.

Accettare l’avventura significa aprire un capitolo di vita inaspettato, nuovo, di cui poco si sa e tutto si accoglie.

La bicicletta, mi dice Riccardo, presuppone un movimento lento, a misura d’uomo, un modo di viaggiare diverso da qualunque altro, perché il muoversi da A a B dipende soltanto dalle tue forze. Non c’è autobus, macchina, aereo. Questo significa davvero conquistarsi – e mangiarsi –  ogni centimetro di terra, di strada, di spazio.

Sono partiti da poco Riccardo e Chiara, ma entrambi hanno un passato da viaggiatori doc. Riccardo è un fotografo e ha già visitato mezzo mondo. Un’anima curiosa, riflessiva, con l’inquietudine di chi ha sempre lo zaino pronto.
“Nessuna delle persone che conosco si è stupita quando ho raccontato l’idea che avevamo in testa. Anzi, i miei amici hanno detto che se lo aspettavano… Da troppo tempo ero fermo.”

Riccardo è uno che si muove bene, anche con i pensieri, con le prospettive.
“Ti viene mai la paura di non farcela? Ansia da prestazione?”
“No” mi risponde pacatamente. “Non ho ansie, perché per me è partire e non arrivare che fa la differenza. Ci si prova, se non si può più proseguire, si torna a casa. Non sono dell’idea che si debba incassare a tutti i costi. Io sento di avere già vinto. Anche oggi che di km ne abbiamo fatti quasi 2500. Non è l’arrivo che determina la mia soddisfazione. Sono felice tutti i giorni. Sono felice oggi che, ad esempio, posso bagnarmi nel Mar Nero.”

È proprio così. È partire la parola chiave. E poi, una volta partiti, è libertà pura, senza aspettative, senza piani da rispettare, a parte la strada da precorrere (e anche quella, volendo, può cambiare).

E il diabete di Chiara?
Chiara ha il diabete e questo è un fatto, ma non è il fatto.

“Il diabete esiste e non si può fingere che non sia così, eppure, in realtà, non è mai stato un limite”.
Bisogna farci i conti, bisogna organizzare bene le cose, bisogna agire consapevolmente, ma non è il diabete a fermare una persona. E men che men una come Chiara che secondo Riccardo è una roccia. Anzi, a volte troppo roccia, mi dice.

“Chiara è un’entusiasta e testarda. Capita che si dimentichi perfino di avere il diabete. Ma io no. E a volte mi accorgo prima di lei che sta succedendo qualcosa. Può capitare che la veda più sudata del solito oppure mi rendo conto che sta pedalando più lentamente”.
Ed è così che Riccardo si prende cura di Chiara. E Chiara, a sua volta, si prende cura di Riccardo.

Questo è il viaggio in due. Così diverso da quello in solitaria che entrambi hanno sperimentato in anni di lunghe trasferte all’estero. Da una dimensione più introspettiva, si passa a una dimensione di pura condivisione dove gli obiettivi sono gli stessi, così come i limiti umani che possono chiamarsi diabete, ma anche stanchezza, scoramento, frustrazione. Per questo esserci. L’uno per l’altro.

Esserci nel presente, nel tempo di una pedalata con la quale si conquista un sogno, la grandezza dell’istante e un pezzo di torta, un lusso per chi soffre di diabete. For a piece of cake è anche un’associazione, che io dico, farà molta strada, come loro che hanno la mente e il cuore in movimento e che, non ci sono dubbi, arriveranno molto lontano.

Patrizia Dall’Argine