L’importanza di farsi una risata. Il metodo di Giulietta Grippaldi per sconfiggere l’ansia da diabete

Quando riaggancio il telefono mi rendo conto che Giulietta Grippaldi mi ha fatto ridere dall’inizio alla fine della sua intervista.
A onor del vero, non posso negare di avere un debole per l’inflessione siciliana.
Riconosco, inoltre, alla Sicilia e ai siciliani una straordinaria capacità includente. In qualunque occasione, in qualunque lembo di quell’isola, mi sono sempre sentita a mio agio.
Raccontarsi a un estranea – quale io sono in questo momento per lei – sembra essere per Giulietta un’operazione semplice, immediata, spontanea.
Ed ecco che emergono in pochi minuti i tratti della sua personalità allegra, positiva, forte e allergica a qualsiasi forma di autocommiserazione.

Non facciamo confusione, il diabete c’è, e c’è da 20 anni, ovvero da quando ne aveva 13, quindi presumo non sia stata una passeggiata per lei; eppure ha definito, con chiarezza, alcuni capisaldi. All’ansia concede solo quella funzione adrenalinica che serve, ad esempio, per salire su un palco. Ma solo ed esclusivamente questo.
Il diabete non l’ha mai spaventata, mi dice, nemmeno all’inizio, però per molto tempo l’ha nascosto:
“Mi dava fastidio dovermi imbattere nell’ignoranza della gente. Preferivo condividerlo solo con la mia famiglia e con una strettissima cerchia di amici”.
“E poi cos’è successo?”
“E poi è successo che è scattata una molla. Ho pensato che fosse un condizionamento mentale e ho applicato la filosofia del ‘futtitinni‘, ovvero fregatene”, mi dice ridendo. “Per me è stata una vera e propria liberazione, un cambio radicale di vita”.

Insomma, fregarsene dei giudizi e dei pregiudizi, delle angosce, delle paranoie. Cercare di vivere serenamente, con gioia.
Da quello che ho capito tutto questo è racchiuso nel “futtitinni”.
E non si tratta di non dare valore alle cose, si tratta, piuttosto, di non dargliene né troppo, né troppo poco: il giusto.
Giulietta ha iniziato a scrivere sulla sua pagina Instagram (qui il link), e ha le idee molto chiare a riguardo: “Io credo che la cosa più sbagliata che si possa fare, anche con un bambino diabetico, sia ovattare la malattia, nasconderla, fingere che non sia poi così importante. Questo porta all’alienazione. E devo dire che in passato era così: io, per molti anni, mi sono sempre punta in camera mia o in bagno, quasi di nascosto.
Noi siamo diabetici e questo è il fatto.
D’altro canto non credo si debba estremizzare la malattia. Io non vivo in funzione del diabete. E non sono il mio diabete. Il diabete non fa girare la mia vita. È qualcosa che esiste, è presente, ma io continuo a fare tutto quello che desidero… anche se capita di andare in ipoglicemia mentre sto facendo un massaggio.”
Sì, perché Giulietta è estetista. E ha una passione per il ballo – che spazia dalla danza del ventre fino alla pizzica – suona la chitarra e fa parte di una associazione, l’AGD Nebrodi.

“Il confronto è fondamentale. Il diabete è diverso per tutti e tutti lo viviamo in modo diverso. Per questo parlarne è importante. Far parte di un’associazione ti apre un mondo. Abbiamo organizzato giornate insieme in cui si camminava, giornate dedicate ai bambini, momenti di grande condivisione. L’associazione per me è una seconda famiglia, una realtà piccola e bella.
Amo molto la mia terra. Noi isolani, poi, abbiamo un attaccamento molto particolare, direi viscerale alle nostre origini… forse più di chiunque altro”.
“Certo”, le dico. “E poi la tua isola è davvero bellissima… ma come te la cavi con tutti i dolci meravigliosi che si producono da voi?”
“Ci rido sopra! Mi capita di trovarmi davanti a tavolate imbandite e allora dico, ragazzi, se si continua così, finite tutti col diabete di tipo 2! Perché penso che sia importante fare ironia, sdrammatizzare, cercare di vivere con leggerezza e prendere la vita per quella che è giorno per giorno”.

“Il diabete mi ha insegnato la pazienza. Ce ne vuole tanta per gestirlo e per tutte le attese che presuppone: attese dal medico, attese per le analisi, attese dopo le ipo e le iperglicemie”.
Ascoltandola, mi rendo conto che l’attesa è sempre stata una grande prova per me, ma forse perché inevitabilmente la riempivo – e la riempio – d’ansia. Processo di sottrazione d’ansia. Ecco una cosa buona sulla quale tutti ci dovremmo dedicare.

A cura di Patrizia Dall’Argine