Diabete e cancro alla prostata.

 

Gli uomini affetti da diabete da lungo tempo potrebbero avere un minor rischio di cancro alla prostata. Sono i risultati di uno studio pubblicato sull'American Journal of Epidemiology.

"Studi recenti suggeriscono un'associazione tra il diabete di tipo 2 e un minor rischio di cancro prostatico" afferma il dr. Mona Sariya e i colleghi del Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta.

Nello studio, i ricercatori hanno utilizzato i dati di una ricerca nazionale condotta negli USA tra il 2001 e il 2002, per verificare l'associazione tra diabete e l'antigene specifico prostatico (PSA, Prostate-Specific Antigen), un marker del cancro alla prostata. Livelli elevati di PSA indicano un aumento del rischio di cancro prostatico.

I ricercatori hanno adattato i risultati sulla base degli effetti di altri fattori di rischio noti. Per i soggetti che non erano stati diagnosticati con il diabete, sono stati effettuati dei controlli sulla glicemia a digiuno per determinare un eventuale diabete non riconosciuto.

Il livello medio di PSA era del 21,6% più basso tra gli uomini che riportavano una diagnosi di diabete, rispetto ai soggetti che non avevano la malattia.
La differenza incrementava con il passare degli anni dalla diagnosi. Gli uomini che erano stati diagnosticati più di dieci anni prima, presentavano livelli di PSA mediamente più bassi del 27,5%. Gli uomini sovrappeso diagnosticati più di dieci anni prima, avevano livelli di PSA più bassi del 40,8% rispetto a soggetti normopeso non diabetici.

"Non è chiaro se i livelli più bassi di PSA negli uomini con il diabete riflettono un effettivo minor rischio di cancro prostatico, o se invece si corre il rischio di non fare un' analisi diagnostica dettagliata per scoprire un cancro alla prostata asintomatico, come è stato ipotizzato nel caso degli uomini obesi" affermano i ricercatori.

"Se la seconda ipotesi è valida, gli uomini con il diabete, soprattutto obesi, potrebbero avere diagnosi più tardive e di conseguenza meno possibilità di cura".

Fonte: American Journal of Epidemiology