Tecnologia e diabete. La storia di Eugenio Galli e di sua madre Anna Maria

Da qualche mese, la redazione di Diabete.net ha deciso di dedicare una serie di articoli a tema tecnologia e diabete. In particolare modo, abbiamo deciso di parlare di uno strumento considerato, ormai, essenziale: il sensore.
Abbiamo ascoltato il parere di due mamme: Irene Barrese e Silvia Purpori. Volevamo comprendere come fosse cambiato il rapporto col diabete dei figli dopo l’arrivo del sensore nelle loro vite.
Poi abbiamo chiesto a due sportive: Valentina Visconti e Francesca Bottani. La prima ci ha raccontato della sua esperienza in subacquea; la seconda, la sua esperienza sugli sci.

Oggi parliamo di un altro tipo di relazione col diabete.
Si tratta, ancora una volta della cura verso l’altro. Ma non è più da genitore a figlio. In questo caso, nel caso di Eugenio Galli, il vettore cambia direzione. Da figlio a genitore. Da figlio a madre. Anna Maria ha il diabete di tipo 2 da trent’anni, ed è insulino dipendente da venti.
Eugenio ritrae sua madre, che ora ha 82 anni, come una donna che si è sempre interessata poco alla sua salute. E che questo ha portato diverse complicanze. Di una donna restia all’idea di farsi aiutare, di origine valtellinese e proprio in questi natali montanari, Eugenio ricerca le cause del suo essere così schiva e risoluta.

Eugenio si occupa di tutti gli aspetti sanitari di sua madre. Cerca di regolarizzare la dieta. Fa delle prove, interpretando, destreggiandosi (la sarcoidosi renale ha complicato ulteriormente le cose).
Anna Maria non ha mai fatto il calcolo dei carboidrati, non si è mai realmente interessata alla curare del suo diabete. È indisciplinata, mi dice Eugenio. Molto, aggiunge. Ma non c’è biasimo nelle sue parole. Io, quanto meno, non lo avverto.
Probabilmente è stanco. La va a trovare ogni giorno. Cerca di formare, a sua volta, la badante che segue sua madre, con le nozioni che lui stesso ha appreso, nel corso degli anni. Si documenta, parla con i medici. Di notte spesso non dorme, perché controlla le glicemie sul telefono. Ma non c’è biasimo. Non c’è giudizio.
È semplicemente il racconto di come stanno le cose. Di una madre che lui ama – molto – e delle pratiche giornaliere che fanno, di questo amore, azione.

«Il sensore è importantissimo, perché al di là del valore in senso assoluto, offre la possibilità di vedere la curva glicemica. E se si sbaglia qualcosa di giorno, si riflette poi di notte». E quindi, cerca di non sbagliare.
Porta Anna Maria in alpeggio. La porta nei luoghi che lei ama. E riassume in poche parole quello che uno strumento di controllo per le glicemie rappresenta per lui:
«Non sono mai completamente rilassato, perché i valori mi raggiungono ovunque, ma sono immensamente grato, perché senza il sensore sono certo che mamma non ci sarebbe più. Certi cali non avremmo potuto prevederli».
Così, prevedendoli, si possono arginare. E poi, fatto questo, si può gioire delle cose di tutti i giorni.
A volte è un piatto di canederli, una passeggiata, a volte è la pizza o il bignè.

«E quando controllo le sue medicine, mi faccio aiutare. Le faccio contare a lei. Cerco di tenerla vigile in questo modo».
E non so perché proprio quest’immagine mi riempia così tanto di commozione. Forse perché mi racconta di un piccolo mondo. Dove le azioni sono a loro volta piccole, ma, allo stesso tempo, forti e incisive. Il loro piccolo mondo – quello di Anna Maria e Eugenio, madre e figlio – così simile a quello di tutti noi. Alle nostre relazioni più prossime, che ci vedono legati a doppio filo, visceralmente. Siamo tutti dentro i nostri piccoli mondi, e li difendiamo e difendiamo le persone che ne fanno parte. E le amiamo per quello che sono. Per le loro debolezze, per le fragilità.
Per le volte che non vogliono farsi aiutare, pur sapendo perfettamente che non le potremo accontentare.

A cura di Patrizia Dall’Argine