Vivere e scrivere con il diabete di tipo 1

Voglio partire dal diabete, ma poi c’è tutto il resto …

Così si apre il nuovo libro di Luisa Codeluppi “Del diabete, dell’amore e di altre briciole di vita”; pubblicato nella collana Medicina Narrativa di Maria Margherita Bulgarini Edizioni. Un libro che colpisce per il suo modo di raccontare il diabete, ma anche temi importanti che riguardano diversi aspetti dell’esistenza e che emergono nella coscienza dell’autrice grazie all’esperienza con il diabete di tipo I.

Per capire come la scrittura biografica si intersechi con l’esperienza di vita e con la storia di malattia, abbiamo parlato con Luisa.

Cominciamo dall’inizio: chi è Luisa Codeluppi?

Luisa è un’insegnante di lettere e una zia, una donna che ama lo sport e che vive tra Reggio Emilia e Roma. Ma soprattutto “Luisa sono io, una donna che cerca di vivere in maniera (sincera e) autentica, seguendo i dettami della propria interiorità”.

Il tuo nuovo libro è uno zibaldone di testi e di riflessioni che parlano di diabete ma anche di amore, di vita, di emozioni, di desideri e di relazioni. Perché la scelta di un libro frammentario e “ disordinato”, come lo hai definito tu?

La storia ordinata, lineare e cronologica del mio diabete l’avevo già raccontata nel mio primo libro  Lu, la mia vita col diabete 1. Dopo 31 anni di malattia, il diabete per me non è più qualcosa di “esterno”, un corpo estraneo, ma è compenetrato nella complessità della mia vita.
Se il soggetto del precedente libro era “il diabete secondo il mio punto di vista”, il soggetto questa volta è “il mio punto di vista”.  Questo libro parla di diabete ma tocca temi più universali, esistenziali, che interessano anche chi non conosce nulla della malattia cronica.

In un passaggio del tuo libro si legge: “Se la scrittura non avesse accompagnato ogni passo della mia vita, come sarebbe stato per me vivere?”.  Spiegaci meglio qual è il tuo rapporto con la scrittura?

Scrivere per me è come respirare, un’esigenza vitale.
La scrittura mi aiuta a chiarire i pensieri a me stessa e ad esorcizzare le mie paure.
La scrittura ha per me una dimensione molto intima, quasi fisica: la Luisa che scrive è la Luisa più vera e autentica. Le mie parole sono scelte accuratamente proprio perché esprimono in modo preciso ciò che sono. Sono scritte con il sangue. Per questo sono molto gelosa dei testi e sono lieta di aver trovato editori che li rispettano senza intromissioni.

Qual è il tuo rapporto con le community di pazienti online?

Ho iniziato a scrivere su siti e social di persone con il diabete per trovare un confronto autentico, per non sentirmi sola nella gestione della malattia. Avevo provato a frequentare di persona gruppi di incontro con altre persone con diabete, ma mi sembrava mancassero di autenticità: ciò che era consentito esprimere, all’epoca, in quei gruppi, erano le attestazioni, di vittoria e di successo. La malattia era negata. Così mi sentivo ancora più sola.

Su internet invece ho trovato degli interlocutori autentici. Ho iniziato a condividere la mia storia, con le mie parole. E’ stato estremamente gratificante scoprire che quelle parole erano in risonanza con le esperienze di altri. Io mi sono scoperta e ho rivelato me stessa e questo ha permesso ad altri di  ritrovarsi nelle mie parole. Mi piace raccontarla come una favola: “La voce non cadde nel nulla. Le risposte furono gocce di pioggia, un suono che inizia piano e poi si fa temporale. Tante voci che dicevano di riconoscersi nella sua, tantissimi cuori disposti ad aprirsi, tanti che la guardavano come in uno specchio.”

Con il diabete si può avere una vita normale e felice, ma il diabete di tipo 1 impone un controllo faticoso e a tratti doloroso nella propria esistenza: la liberazione di poterlo ammettere, di poter parlare anche del lato oscuro della malattia, di ciò che sembra togliere la speranza ma che la narrazione permette di integrare in una storia è un tema che echeggia in tutto il libro…

Fino a qualche anno fa non si poteva nemmeno usare il termine “malattia” per parlare di diabete di tipo 1, era un tabù. Invece secondo me, chiamare le cose con il loro nome, usare le parole giuste, anche se crude, ti permette di uscire dall’indefinito, di vedere bene il “nemico” in modo da poter scegliere le strategie migliori per affrontarlo. Per gestire il diabete non bastano le parole di speranza, bisogna conoscerne anche i risvolti più intimi, faticosi e a volte dolorosi. Credo di essere stato un pioniere nel raccontare il diabete I in questi termini, con la mia scrittura in rete e successivamente con il primo libro: il mio punto di vista ricalcava un’esigenza comune e condivisa, anche se ancora taciuta.

Un altro tema che emerge spesso nel testo è quello della ricerca del piacere. Una vita di rigore, di controllo costante e di forza di volontà rischia di essere frustrante e colpevolizzante. L’accettazione passa anche da una “pastarella”…

La perfezione per chi soffre di diabete non è un obiettivo sensato. Bisogna trovare l’equilibrio. È importante regalarsi momenti piacevoli, esperienze che ci fanno sentire bene. Trovare un accordo tra benessere del corpo e benessere psicologico. Poi si scopre che a volte anche un’esperienza semplice e modesta, un’esperienza sottovalutata da chi non ha una malattia cronica, come per esempio trascorrere l’intera giornata a giocare con la mia nipotina, è un’esperienza che può regalare piacere e gioia infinite.

In un precedente articolo in questa rubrica, abbiamo parlato delle metafore come di uno strumento per comprendere e “maneggiare” la realtà della malattia. Visto che sei un’insegnante di lettere, proviamo a girarti la domanda: con quale metafora descriveresti il diabete?

Riprendo due immagini che utilizzo nel libro: Il diabete 1 è una “malattia infingarda” perché ci pretende Supereroi quando alla fine, seppur forti e avvezzi ai suoi dispetti, pure con la tutina blu e il mantello rosso, noi non siamo che esseri umani. Che non è poco.

Francesca Memini