Ciò che accade In Sardegna non ha ancora trovato un’esaustiva spiegazione scientifica.
Il paradiso naturale che tutto il mondo ci invidia è “la regione che detiene il più alto numero annuale di nuovi casi di diabete di tipo 1, oltre 50 casi per 100.000 abitanti (nella fascia d’età 0-30 anni), mentre nel resto d’Italia i nuovi casi annuali registrati si aggirano intorno a 6-7 per 100.000 abitanti. Nel resto del mondo questi numeri vengono raggiunti solo dalla Finlandia. Ogni anno in Sardegna abbiamo circa 700 nuovi casi di diabete tipo 1, che è quello che richiede almeno quattro somministrazioni giornaliere di insulina per la sopravvivenza.” così si legge sul sito di ATS (Azienda Tutela Salute) Sardegna.
“Ecco perché è così importante che in Sardegna le varie associazioni per il diabete dialoghino tra di loro, sostenendosi vicendevolmente. Proprio recentemente è stata creata la Rete Sarda Diabete (www.diabeteonlus.it), al fine di stilare un vademecum sulle varie attività svolte dalle associazioni che ricoprono il suolo sardo”, mi racconta Anna Firinu, presidente Aniad (Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici) Sardegna.
Lei, a soli 29 anni, fa già parte di un direttivo giovane, volenteroso e propositivo.
Aniad insieme al Centro Diabetologico di Oristano organizza la Ultramaratona a tappe (quest’anno arrivata alla nona edizione). Cento km, in quattro giorni. Un percorso dedicato a diabetici e non, alla scoperta delle bellezze della Sardegna. Quest’anno, ad esempio, si è svolta in Gallura, coinvolgendo persone dagli 11 ai 77 anni.
“In questi anni abbiamo assistito a un vero e proprio cambiamento riguardo a consapevolezza e diabete. Basti pensare che anni fa, quando Aniad si affiancava a eventi sportivi organizzati da altre associazioni come mezze maratone e 10 km, alcuni atleti partecipavano ma non volevano far sapere di essere diabetici. Erano persone adulte che temevano per il loro lavoro e sentivano che il diabete non era ancora socialmente accettato. Da quando sono bambina ad oggi si sono fatti molti passi avanti. Noi stessi, come Aniad, abbiamo realizzato numerose attività nelle scuole elementari e medie. Vengono organizzati anche campiscuola per ragazzi diabetici. Ora si parla di diabete più liberamente, ma non ancora abbastanza, vista le altissime percentuali in Sardegna”.
“Io ho avuto l’esordio a 10 anni e per tutta l’adolescenza il mio diabete è stato un grande tabù. Soltanto una volta arrivata all’università, le cose sono cambiate. Ho cominciato a pensare che il modo di viverlo dipendeva esclusivamente da me. Ci sono due scuole di pensiero: la prima porta la persona col diabete ad adagiarsi, facendo sempre le stesse unità di insulina. La seconda si basa sul calcolo dei carboidrati, e quindi verso un approccio attivo e consapevole.
O si sceglie di rincorrere il diabete, o si fa in modo che sia lui a seguire te”.
E così Anna ha optato per la seconda via, metaforicamente e non, preparando due maratone con Aniad.
“Io credo che sia importante considerare il diabete come un limite fisico, perché lo è ovviamente, ma cercare di far sì che non diventi un limite mentale. Questo l’ho capito percorrendo alcune tappe del Cammino di Santiago. Mi sono resa conto che dovevo scendere a compromessi con quello che avevo pensato e organizzato da casa, definendo un nuovo percorso in base alle mie forze e alle mie necessità”.
“Lo sport è fondamentale. Ed è immediato un riscontro positivo. È certo che seguire una persona col diabete sportiva è più impegnativo per un medico. Non tutti i medici sono propensi. E non tutte le diabetologie hanno l’ausilio di nutrizionista, psicologo, podologo… Ma anche in questo caso c’è stata un’evoluzione, se si considera che anni fa non era raro sentire diabetologi che sconsigliavano fortemente l’attività fisica. Inoltre, grazie ai vari eventi sportivi, abbiamo la possibilità di conoscere ragazzi diabetici di tutta l’isola. Sono momenti di aggregazione e confronto davvero fondamentali”.
A cura di Patrizia Dall’Argine