IL SEGRETO DI UNA MAMMA TRANQUILLA
Avere un figlio senza paura
Il 95% dei bambini nasce sano e senza problemi
Sì, ci sono ancora troppi pregiudizi e troppe paure intorno ai rischi per la salute della madre e per l’esito stesso della gravidanza. Questi timori stanno diminuendo, perché i risultati sono sempre più soddisfacenti e il livello culturale medio è cresciuto negli anni, però una certa apprensione è ancora viva ed è spesso esagerata. Potremmo ridurla con una politica di programmazione e sensibilizzazione. Se la donna è informata, se le è stata trasmessa sicurezza prima e durante la gestazione, se ha un buon rapporto con diabetologo e ginecologo, le preoccupazioni si allontanano.
È un po’ a macchie di leopardo, perché la situazione italiana è caratterizzata da una grande parcellizzazione dell’assistenza diabetologica, con strutture e situazioni molto diverse. Perciò non dappertutto si svolge un’attività strutturata per la gravidanza. Su questo siamo indietro rispetto a Paesi come la Danimarca. In generale, i nostri servizi sanitari non battono abbastanza sui temi della programmazione della gravidanza e della contraccezione: si dovrebbe fare di più, non solamente negli incontri a due, ma anche con riunioni, dépliant, incontri annuali. Quando una donna in età fertile va dal diabetologo, un accenno alla programmazione dovrebbe essere fatto subito.
Il problema principale è appunto che oltre la metà delle gravidanze non è programmata: ciò significa che non coincidono con l’ottimizzazione del controllo metabolico. Quindi, la gravidanza può cominciare con equilibrio metabolico cattivo o pessimo e ciò fa aumentare i rischi: malformazioni congenite, abortività spontanea, varie problematiche materne. È importante che ci sia buon controllo già prima dell’inizio della gravidanza. Nelle prime dodici settimane si svolge l’organogenesi, che è influenzata in senso negativo dalla iperglicemia. L’incidenza di malformazioni congenite nei diabetici è 5-6 volte maggiore rispetto alla popolazione generale. In Italia questi eventi nei diabetici hanno un’incidenza del 5%, mentre tra i non diabetici sono lo 0,7%-0,8%. Con le tecniche oggi disponibili, la malformazione può essere individuata prima e la donna può ricorrere all’aborto terapeutico: di fronte all’evidenza di un feto malformato, la maggioranza preferisce abortire. Ma non è in ogni caso una bella esperienza. Il secondo rischio importante è quello dell’aborto spontaneo. Alla base di tutto c’è sempre l’iperglicemia.
Prima del concepimento, se il controllo metabolico è squilibrato, influenza la fertilità; nelle prime settimane della gravidanza, danneggia lo sviluppo degli organi fetali (l’anomalia congenita più frequente è la spina bifida, che colpisce il sistema nervoso centrale). L’iperglicemia è correlata anche all’aborto spontaneo, perché ostacola l’attecchimento dell’ovulo a livello uterino. Nella seconda metà della gravidanza, l’alta glicemia altera la crescita fetale. Il glucosio in più passa attraverso la placenta e il feto riceve una quantità di nutrienti eccessiva, che ne provoca una crescita esagerata e dismorfica. È la macrosomia. che comporta anzitutto il taglio cesareo, altra grossa piaga italiana: siamo tra i primi al mondo per cesareo nella popolazione generale e primi in assoluto fra i diabetici. In caso di macrosomia si deve ricorrere a parto pre-termine perché il feto è cresciuto troppo e non può più restare nell’utero, ma spesso non si è ancora sviluppato dal punto di vista respiratorio. L’iperglicemia poi condiziona la salute della madre, aprendo la strada al peggioramento di tutte le complicanze. Ma se la situazione è tenuta sotto controllo bene dall’inizio, la gravidanza va in porto senza problemi. Oggi lo stato di salute generale di una donna diabetica è molto migliorato ed è difficile che si presenti un quadro di complicanze devastanti. Però, se la donna inizia la gravidanza con ipertensione non controllata, nefropatia in stato avanzato, neuropatia o retinopatia non curate, tutto si fa più difficile.
Almeno sei mesi prima del concepimento. Bisogna avviare un piano finalizzato al controllo metabolico ottimale. Se una donna è in buon controllo, non ha complicanze, è giovane, se si segue bene, non c’è bisogno di grandi interventi.
La programmazione va vista in un’ottica complessiva che tenga conto sia del rischio per il feto sia di quello per la salute della madre. Anzitutto comporta la valutazione dello stato generale della donna. La gravidanza è fisiologicamente una fase di stress, caratterizzata da modificazioni metaboliche e da un assetto ormonale nuovo: è un momento in cui alla donna va richiesta un’adesione alla terapia e all’autocontrollo assoluta, perché dobbiamo tendere alla normoglicemia, che è la chiave di tutto prima, durante e anche dopo, necessaria anche durante l’allattamento. È un approccio globale, che deve tenere conto degli aspetti terapeutici, alimentari, psicologici, sociali. Ci sono donne che devono farsi prelievi 7-8 volte al giorno, che si praticano 4 o 5 iniezioni, che devono ricorrere a controlli notturni, perché l’andamento glicemico cambia notevolmente durante la gravidanza. Occorre quindi un team diabetologico che prepari la donna a tutto questo e un aiuto consapevole da parte della famiglia.
Per forza: in gravidanza non risultano efficaci gli schemi tradizionali. Ciò che chiamiamo intensivo al di fuori della gravidanza non è sufficiente. Spesso bisogna arrivare a 4 o 5 somministrazioni per decapitare i picchi. In gravidanza trova così ottima applicazione il microinfusore, a condizione di prepararne l’adozione in fase di programmazione.
La prima domanda che una donna ci fa è proprio se il figlio sarà diabetico. Ma non conosciamo ancora bene i meccanismi della genesi della patologia. Possiamo soltanto dire che, statisticamente, rispetto a una donna non diabetica, il rischio di ereditarietà aumenta se la madre ha il diabete, ma aumenta di più se lo ha il padre. Inoltre, in caso di diabete di tipo 2, la possibilità di derivazione familiare è maggiore.
Sì, il risultato della gravidanza nel tipo 2 è in media peggiore del tipo 1 per varie ragioni: l’associazione con obesità, ipertensione, co-morbilità, dislipidemia; l’uso di farmaci, ipoglicemizzanti orali o altri (per esempio, contro il colesterolo), che non si possono assumere in gravidanza; la minore abitudine a uno stretto controllo glicemico domiciliare e alla dieta; un’età in genere più elevata. Quella di tipo 1 è normalmente una persona meglio compensata, più avvezza a controllarsi, più motivata, e solitamente non ha tutte quelle altre patologie spesso correlate al tipo 2.
È il caso del diabete gestazionale, che si manifesta nel 6-8% delle gravidanze: si sviluppa quando il feto è già formato e può alterarne la crescita, determinando macrosomia. Inoltre, le donne che hanno diabete gestazionale rischiano di sviluppare, a distanza di anni, il diabete di tipo 2. Dopo il parto, nel 99% dei casi la glicemia torna normale, ma la gravidanza è uno stress per la glicemia: vi sono donne che hanno maggiore insulino-resistenza e che rischiano di diventare diabetiche. Però, è un esito che si può prevenire.
Il 95% dei bimbi nasce bene. Naturalmente sono bambini che devono nascere in ambiente protetto, in ospedali con neonatologia e unità di cura intensiva, non certo a casa. Devono essere monitorati subito, anzitutto per il rischio di ipoglicemia: essendo il neonato abituato a glicemie materne più alte, nel momento in cui si stacca il cordone, la sua glicemia crolla.
Certo, perché oggi abbiamo risultati sempre più incoraggianti: la mortalità materna non esiste più; la mortalità perinatale, nei primi giorni di vita, è un’evenienza rara; le malformazioni congenite possono essere prevenute. Bisogna sapere che ci sono rischi e misure da prendere e che è una prova seria, ma anche che gli esiti sono sempre migliori. Non c’è paragone con la situazione di trent’anni fa.