Una cosa, ora, proprio non possiamo permettercela più.
E questa cosa è la censura delle nostre emozioni.
“Quando nego l’emozione, non sono in grado di decodificarla, quindi legittimarla e metterla in ordine. È difficile e fa paura poter dire a sé stessi: ‘Oggi, mi sento male. Oggi non voglio avere il diabete’. Ma l’emozione negata compromette inevitabilmente la gestione della patologia. Si tratta di una relazione di tipo biunivoca. Il diabete e l’ansia si influenzano vicendevolmente”.
Chi parla è Greta Fraccascia, Psicoterapeuta in formazione che collabora, tra le altre cose, con il reparto di Endocrinologia dell’Ospedale Policlinico di Bari in qualità di psicologa a sostegno delle persone con diabete di tipo 1 e 2 (qui il suo sito: www.psicologafraccascia.it).
“L’esordio del diabete, già presente in modo latente nell’organismo della persona, può avvenire anche in conseguenza di un forte stress di carattere traumatico, che provoca uno scompenso e uno squilibrio nella vita del soggetto e che trova espressione nell’insorgere della patologia. A volte è un evento che cerchiamo di dimenticare. Questo perché l’essere umano è portato all’auto-conservazione e tende a sottrarsi alle sensazioni di angoscia e morte”.
Mentre Greta parla, mi rendo conto che allo stesso modo, così come tendiamo a proteggerci, c’è una profonda parte di noi che anela la verità e che sente la verità come unica possibilità di un benessere di tipo organico.
Fa paura accettare di avere paura. Ma fa più paura non accettarlo.
A volte pensiamo che un certo sentire, una certa emozione sia da rilegare a un periodo storico preciso della nostra vita e che poi, passato questo periodo non possiamo più permettercela.
Parliamo ad esempio dell’esordio: “Dopo l’esordio avvengono una serie di passaggi. Tutti fanno parte di quella che viene definita l’elaborazione del lutto. Si provano rabbia, rifiuto, frustrazione, depressione, risentimento. L’accettazione non si raggiunge facilmente e non deve essere passiva. Accettare non significa che non sarà più arrabbiata con il diabete. È giusto esserlo, non è una condizione che hai scelto. Non è qualcosa che hai voluto.
Non si raggiunge uno stato per sempre, bisogna lavorarci quotidianamente. L’impegno è quello di fare diventare questa condizione amica, che in poche parole significa non permettere che abbia la meglio su di te. Per questo credo sia utile umanizzare il diabete, descriverlo, dargli un nome, farlo parlare. Il diabete è invisibile, ma onnipresente. È una convivenza forzata, certo, ma inevitabile, ed è controproducente e pericolosissimo fingere che non ci sia”.
Il Covid-19 sta portando ognuno di noi a reazioni diverse. A volte risulta imperscrutabile quello che sentiamo; altre è molto chiaro: riconosciamo da dove viene. Magari perché, in un modo o nell’altro, ci abbiamo già fatto i conti.
Questo tempo che ci nega il fare, ci mette a stretto contatto con l’essere. Ci obbliga, in un qualche modo, a tirare le somme della nostra vita fino a qui.
Ci riporta coi piedi per terra, e ci chiede di non fuggire più. Di accettare l’incertezza, perché come appare evidente da più di un mese, oramai, non abbiamo controllo sulle cose.
“Per una persona con diabete il Covid-19 rappresenta una sorta di secondo esordio. È costretto a ricalibrarsi, e a ricostruire un nuovo equilibrio. È una situazione destabilizzante, alla quale si può rispondere con strategie funzionali. La prima è la ricerca di nuovi stimoli. La seconda è considerare che essere chiusi in casa non significa smettere di vivere.
Inoltre non bisogna mai dimenticare che una persona con diabete ha un “master” in situazioni d’emergenza. La patologia è arrivata da un momento all’altro. Ha già convissuto con l’incertezza del domani, con l’incertezza del ‘Come sarà la glicemia?’. A chi ha il diabete è già franato il terreno sotto i piedi, ma questo l’ha portato a saper rispondere in maniera rapida e funzionale.
Mai come ora, ci si rende conto di come sia delirante l’idea di onnipotenza dietro la quale la nostra società si è fatta scudo. È servito qualcosa di molto più grande di noi per poterci riconciliare col fatto che siamo esseri umani fragili, imperfetti e dobbiamo adeguarci alla natura verso la quale non abbiamo nessun potere”.
Quando abbiamo iniziato questa intervista, Greta mi ha detto che la sua passione per la psicologia ha radici antiche, che nella sua vita ha sempre lavorato molto per capire come funzionassero gli aspetti emotivi e comportamentali delle persone. Non è difficile crederle. È accorata e appassionata in ogni suo pensiero, così come tutti coloro che hanno scelto di fare del benessere degli altri il proprio mestiere.
Concludiamo la telefonata con alcuni consigli pratici per questi giorni così strani di tempo sospeso:
- Primo: non negare mai, in nessun modo l’emozione. Parlare sempre di quello che si prova con una persona cara, un professionista, un amico. Una volta che provo un’emozione devo sforzarmi di capire perché la provo. Se la decodifico, la metto in ordine e non mi faccio sovrastare. Posso scrivere una pagina di diario, oppure piangere, se ne ho bisogno.
- Secondo: costruire una routine all’interno della casa. Stare in casa non significa non vivere, significa avere più tempo per me
- Terzo: comprendere che la situazione non permette di convivere col diabete in modo così funzionale come prima. È necessario attivarsi per poter fare attività fisica in casa.
- Quarto: prendere un tempo solo per me nel quale faccio qualcosa di liberatorio: canto, ballo, mi lascio andare.
Canto, ballo, mi lascio andare. In tempo di Coronavirus e in ogni tempo.
A cura di Patrizia Dall’Argine