Demenza e diabete: una relazione pericolosa

In un mondo con un’aspettativa di vita sempre più alta e una popolazione sempre più anziana, la demenza senile e altre malattie simili come l’Alzheimer sono sempre più in aumento. Tra i soggetti affetti da diabete di tipo 2, il rischio di sviluppare demenza è particolarmente elevato, soprattutto nelle fasce più anziane: in particolare, secondo gli studi, il diabete di tipo 2 è associato al 50% in più di probabilità di demenza. Per ridurre il rischio è quindi necessario intervenire sul controllo glicemico, vediamo come.

Uno studio pubblicato sulla rivista JAMA Network ha dimostrato che la gestione del diabete di tipo 2 in modo mirato e specifico, attraverso un programma studiato ad hoc, può contribuire a ridurre il rischio di demenza.

Questo per via del legame esistente tra diabete e demenze.

Innanzitutto, tra le prove di questa correlazione, è stato scoperto che il diabete di tipo 2 è collegato ad alcune delle caratteristiche tipiche della malattia di Alzheimer come:

  • Danni vascolari
  • Accumulo anomalo di amiloide beta
  • Neuro infiammazione cronica
  • Danni alla barriera ematoencefalica
  • Resistenza all’insulina

Si è visto inoltre che un livello di emoglobina glicata più alto è associato a un maggior rischio di demenza in pazienti con diabete di tipo 2.

Stabilita questa relazione, si è provato a sperimentare un programma multidisciplinare – medici di base, specialisti, infermieri e operatori sanitari – di gestione dei pazienti con diabete di tipo 2, specifico per verificare la riduzione del rischio di malattia di Alzheimer.

Questo programma, dal nome Risk Assessment and Management Program-Diabetes Mellitus (RAMP-DM), è stato implementato in Cina nel 2009 e si basa sull’assunto che le cure debbano essere personalizzate in base al rischio dei pazienti che vengono quindi classificati per alcune caratteristiche specifiche.

Chiunque si sottoponga a questo programma viene quindi in qualche modo analizzato per misurare il suo livello di rischio, tramite visite che prevedono:

  1. Esame obiettivo
  2. Analisi di laboratorio
  3. Valutazione di occhi e piedi
  4. Analisi dell’aderenza al trattamento
  5. Stile di vita
  6. Complicanze già esistenti

I risultati sono poi interpretati dal personale infermieristico e medico in modo da poter distribuire i pazienti nei diversi gruppi di rischio: altissimo rischio, alto rischio, medio rischio o basso rischio – secondo le indicazioni sviluppate dallo studio Joint Asia Diabetes Evaluation (JADE).

I professionisti, inoltre, esercitano un’attività di counseling educazionale, spiegando ai pazienti come comportarsi per quanto riguarda lo stile di vita, ossia che dieta adottare, quali esercizi fisici svolgere e cosa fare in caso di tabagismo e assunzione di alcol. Infine, la classe di rischio viene registrata nella cartella clinica in modo da essere condivisa con tutta l’equipe e tutti i medici che si occuperanno del paziente e i piani di trattamento saranno stabiliti e messi a punto sulla base di questa classe di rischio.

All’interno del progetto, sono stati arruolati 28.000 pazienti e confrontati con un gruppo di controllo che ha ricevuto un trattamento standard abituale. Dopo 8 anni e mezzo, si è visto che il programma specifico era stato in grado di ridurre il rischio di demenza generale del 28%, il rischio di malattia di Alzheimer del 15%, il rischio di demenza vascolare del 39% e il rischio di altre forme di demenza o forme non specificate del 29%.

In conclusione, oltre a stabilire un aumento del rischio di demenza nei pazienti con diabete, si è visto che un programma specifico che comprende un’analisi del rischio e una suddivisione dei pazienti per questo parametro in modo che ricevano trattamenti adeguati al loro livello può ridurre di quasi il 30% l’insorgenza di demenza, accompagnando tale stratificazione a un lavoro di educazione sugli stili di vita.


Fonti: