Con la diabetologa Alessandra Dei Cas parliamo dell’importanza di essere parte attiva nella terapia

Con la diabetologa Alessandra Dei Cas parliamo dell’importanza di essere parte attiva nella terapia, di empatia col paziente e del fondamentale apporto di un team multidisciplinare

È la seconda intervista a un medico diabetologo e comprendo, in maniera sempre più chiara, quanto se ne senta il bisogno. C’è bisogno di punti di vista differenti. C’è bisogno di uno sguardo a 360° che coinvolga non solo chi è curato, ma chi cura. Dall’altra parte del tavolo, o della barricata – per lo meno in quel momento in cui il diabete tanto assomiglia a una guerra – c’è un alleato. C’è una persona che si prende carico dello stesso fardello, in modo che, seppure non scomparendo, possa risultare un po’ più leggero.

In questo caso si tratta della Dottoressa Alessandra Dei Cas, che si occupa di diabete da circa vent’anni.
“L’interesse per l’endocrinologia – ed in particolare per le malattie metaboliche – si è consolidato in seguito ad un soggiorno presso il King’s College di Londra, dove ho avuto modo di partecipare ad alcuni studi riguardanti le complicanze, in modo particolari renali, del diabete. L’osservazione dei pazienti con diabete e lo studio delle problematiche ad esso associate, mi hanno indotta a seguire questo indirizzo anche ai fini della mia professione futura.”

La prima delle questioni che mi interessa affrontare con lei è il tema della cronicità, poiché solleva tante questioni in campo psico-fisico che ciclicamente si ripresentano.
“Il diabete è una malattia che necessita di un intervento sullo stile di vita e farmacologico spesso complesso dal punto di vista gestionale. Il primo momento critico è l’esordio, quando il paziente si trova ad affrontare una patologia che non ha carattere transitorio, ma con la quale dovrà convivere per tutta la vita. Per questo motivo è indispensabile rassicurare il paziente e fornirgli gli strumenti per poter gestire in autonomia la propria patologia e terapia, quello che in termini tecnici viene definito “empowerment”. Questo processo è importante perché il paziente non subisca passivamente la terapia, come avviene appunto nelle patologie acute, ma che ne sia parte attiva”
Ed ecco un altro nodo fondamentale: essere parte attiva della terapia, non subirla, non accollarsela in maniera passiva.
Essere presenti a sé stessi, al corpo. Esserne responsabili.
“Il tema della cronicità è un tema ricorrente: il paziente, in una prima fase, pensa e spera che il problema possa essere risolto attraverso dieta o terapia farmacologica; in realtà, la necessità di continui e costanti controlli dei valori glicemici e dei parametri di funzionalità cardiaca, renale, visiva, ed altri, gli impongono una presa di coscienza maggiore per quanto riguarda la serietà della patologia ed i rischi che essa comporta. Il compito più difficile per il medico, in questa fase, è quello di saper continuamente motivare il paziente alla adesione al percorso di cura, aiutandolo a superare i momenti di difficoltà e di frustrazione.”

La motivazione, la presenza, la necessaria partecipazione del medico, mi porta alla domanda successiva: quanto è importante avere un gruppo di supporto?
“Il team multidisciplinare è imprescindibile nella cura del diabete. Le figure professionali dell’infermiere, della dietista e della psicologa con specifica formazione diabetologica garantiscono, di concerto con quella medica, un percorso educativo di autogestione, nutrizionale e psicologico – quando necessario – con maggior possibilità di successo di cura. È altresì importante un continuo flusso informativo con i familiari o i “care givers” e con i medici di medicina generale per poter condividere il percorso terapeutico ed interagire in ogni evenienza in cui si renda necessario gestire modifiche terapeutiche (come nel caso di ipoglicemie, influenze, infezioni, ospedalizzazioni, ecc.) o anche per aiutare il paziente nei momenti di scoramento che tutte le patologie croniche determinano.”
È una squadra che necessariamente deve lavorare all’unisono. Dove le parti sono essenziali per creare un tutto di consapevolezza funzionale.

Infine chiedo alla Dottoressa cosa ama del suo lavoro.
“È un lavoro di grandi soddisfazioni, soprattutto con i pazienti più giovani. Seguo principalmente persone con diabete tipo 1, ognuno ha proprie caratteristiche, aspettative e paure. La sfida maggiore nella gestione della patologia cronica è quella di creare un rapporto empatico con il paziente, di trovare per ognuno di loro la “chiave” giusta per ottenere la migliore (auto)gestione della loro patologia tenendo in considerazione anche l’aspetto emotivo. Non diventa più, quindi, una sola professione medica, ma anche un compito socialmente pregnante dal punto di vista umano.”

A cura di Patrizia Dall’Argine