Glicemia in equilibrio

Anno 22 – n.3
Ottobre – Dicembre 2005
Il punto
EMOGLOBINA GLICATA: UN ESAME DA FARE 3-4 VOLTE L’ANNO
Glicemia in equilibrio
Con il professor Roberto Trevisan parliamo di un’analisi fondamentale, che permette di misurare il valore medio del glucosio nel sangue negli ultimi due mesi: una bussola utilissima per sapere se il diabete è sotto controllo oppure no.
Si tratta di “una delle maggiori scoperte della diabetologia, perché questo esame ha permesso di dimostrare in modo inequivocabile che un buon controllo metabolico permette la prevenzione delle complicanze del diabete”. Così definisce l’emoglobina glicata Roberto Trevisan, primario (ma oggi si dovrebbe dire “direttore di struttura complessa”) del centro di diabetologia degli Ospedali Riuniti di Bergamo e docente all’Università di Padova e alla Bicocca di Milano. Con lui, che di questa materia è particolarmente competente, abbiamo parlato delle caratteristiche di questa analisi: forse, fra i tanti temi diabetologici, uno di quelli relativamente meno trattati in rapporto alla sua importanza.
Professor Trevisan, innanzitutto, è meglio dire “glicata” o “glicosilata”?
Sono termini equivalenti, ma “glicata” è più adeguato.
Da quanto tempo questo esame è diventato abituale e diffuso?
Da una ventina d’anni, circa: dagli anni Ottanta è stato progressivamente introdotto nel follow up del paziente diabetico.
Ricordiamo ai nostri lettori che tipo di dati fornisce.
L’emoglobina è quella proteina, presente nei globuli rossi, che veicola l’ossigeno. La glicata è quella percentuale dell’emoglobina totale a cui resta legato il glucosio. Si è visto che la percentuale di emoglobina glicata in una persona è in diretta relazione con la concentrazione media delle glicemie negli ultimi due mesi. Ci dice quindi quale è stato il livello medio della glicemia nell’arco degli ultimi sessanta giorni.
Occorre fare un prelievo diverso da quello che si fa per la glicemia?
Sì, ci vuole un prelievo di sangue venoso e non capillare. Esistono però, come nel nostro centro, strumenti che permettono di misurare in maniera precisa la emoglobina glicata anche da sangue capillare, ricavato cioè con una puntura del dito come quella che si esegue per la glicemia.
Potrebbe essere un esame fai-da-te, eseguibile anche dal paziente a domicilio?
No, è proprio un esame da laboratorio. Per il paziente, la gestione del diabete deve infatti basarsi sulle glicemie attuali, non sul valore medio degli ultimi due mesi. Questa è invece un’informazione che serve al diabetologo: gli dà il quadro dell’autocontrollo glicemico eseguito dal paziente a domicilio e, insieme alle glicemie fatte a casa, gli è utile per decidere se eventualmente modificare la terapia.
Si tratta dunque di un esame non sostitutivo, ma complementare.
Esatto. La sua utilità si esprime nel rapporto paziente-diabetologo più che come informazione per il paziente stesso in modo diretto. Per esempio, uno può avere una glicata molto alta, ma in quel momento preciso essere in ipoglicemia: è su quest’ultima che deve intervenire e prendere provvedimenti. Se anche conoscesse i valori della sua glicata, non potrebbe attuare misure terapeutiche in base a quelli. E’ dunque un esame di laboratorio che permette al diabetologo di dare un giudizio sul controllo metabolico medio del paziente.
C’è accordo generale sui valori normali e valori critici della emoglobina glicata?
Purtroppo non vi sono ancora standard di riferimento internazionali a cui debbano attenersi tutti i laboratori. Il dosaggio per questo esame può essere fatto con modalità diverse, da laboratorio a laboratorio, perciò a tutt’oggi le percentuali di normalità possono essere leggermente diverse. Però, si può certamente dire che una persona non è affetta da diabete se ha valori di glicata inferiori al 5%; sopra il 5% siamo invece in presenza di persona iperglicemica.
Si può stabilire un rapporto tra i valori della glicata e quelli della glicemia?
Un soggetto diabetico è ben compensato se la glicata è inferiore a 7,5%, ma per chi abbia il diabete la glicata ideale è compresa fra 6 e 7%. Queste percentuali corrispondono a glicemie medie, negli ultimi due mesi, intorno a 150 mg/dl e indicano quindi un controllo soddisfacente, buono. Un paziente con glicata del 9% avrà invece una glicemia media compresa fra 250 e 300 mg/dl.
Dando quindi valori medi, la emoglobina glicata non dice quali sono stati i picchi all’insù o all’ingiù della glicemia.
Sì, il limite della glicata è che non permette di dare un giudizio sulla variabilità delle glicemie e quindi deve essere accompagnata dagli esami istantanei.
E’ possibile avere una emoglobina glicata buona, con valori medi equilibrati, ma frutto di continui e forti sbalzi glicemici?
E’ un fenomeno molto raro o inesistente nel tipo 2, che è caratterizzato da stabilità glicemica. Nel tipo 1, invece, esiste il cosiddetto diabete capriccioso, in cui vi sono oscillazioni estremamente frequenti, dall’iper all’ipoglicemia, che la glicata non è in grado di mostrare. Ci può essere benissimo il paziente che ha una buona glicata, ma soffre spesso di crisi ipoglicemiche gravi oppure di picchi iperglicemici importanti. Qui l’unico modo per identificare il problema è la frequenza dell’autocontrollo delle glicemie: non ci sono alternative.
Quali passi avanti ha fatto fare questo esame nel controllo e gestione del diabete?
E’ lo strumento più potente che ha oggi il diabetologo per prendere decisioni terapeutiche al fine di evitare le complicanze. In questo, allo stato attuale, la emoglobina glicata non ha sostituti. Bisogna considerare che le glicemie non si possono fare in laboratorio continuativamente e che quelle fatte a domicilio non sono sempre completamente affidabili, perché non c’è un controllo diretto del medico sulla correttezza della misurazione da parte del paziente e perché non sempre si ha un numero sufficiente di dati. Per esempio, se spesso il giovane esegue una corretta gestione del diabete e quindi già il suo diario delle glicemie permetterebbe al medico di stabilire il suo controllo medio, a molti anziani invece non si può chiedere, per motivi sia economici, sia di qualità della vita, di fare tante glicemie al giorno: le poche che fanno possono non rilevare bene l’andamento della glicemia, che invece è molto meglio percepibile con il controllo della glicata.
E’ stretto il nesso tra valori dell’emoglobina e rischio di complicanze?
Il nesso è strettissimo. Tutti gli studi eseguiti, sia sul diabete di tipo 1, sia su quello di tipo 2, dimostrano che la prevenzione primaria di tutte le complicanze, è possibile mantenendo una glicata inferiore al 7,5 o 7%. Man mano che la glicata aumenta, maggiore diventa il rischio di danni agli organi. Vari fattori influiscono nello sviluppo delle complicanze, ma è certo che se non c’è iperglicemia, non c’è retinopatia e non c’è nefropatia diabetica. Possiamo dire che, per tutte le complicanze, il rischio è proporzionale alla durata del diabete moltiplicata per l’entità della iperglicemia. Quanto più a lungo la iperglicemia si mantiene e quanto più alta è la glicata, tanto maggiore sarà il rischio. Naturalmente, quel valore raccomandabile, sotto il  7-7,5%, vale per il soggetto diabetico: non è valore normale, ma, purtroppo, pur con tutti i progressi fatti dalla medicina e dalla terapia, non siamo ancora in grado di normalizzare la glicemia.
Secondo lei, in generale, questo esame è prescritto ogni volta che sia necessario o dovrebbe affermarsi su più larga scala?
Mi auguro e in effetti mi sembra che nei pazienti seguiti nei centri diabetologici sia eseguito con la sufficiente regolarità, cioè almeno 3 volte l’anno, frequenza che permette di avere una idea abbastanza precisa del controllo medio delle glicemie durante l’anno. Sarebbe però auspicabile che fosse molto più diffuso anche nella popolazione non seguita dai centri: più del 30% dei diabetici riconosciuti, infatti, non è in cura dallo specialista e inoltre ci sono molti diabetici che non sanno di esserlo, probabilmente tanti quanti quelli diagnosticati. Se una persona fa una sola glicemia a digiuno può avere un risultato normale, o comunque inferiore a 126, che è il valore che comporta diagnosi di diabete. Ma se si riscontrasse una emoglobina glicata alterata, questo farebbe sospettare insorgenza di iperglicemie durante la giornata non evidenziate dalla glicemia a digiuno. Una maggiore diffusione della glicata come esame di screening e di controllo anche in soggetti non riconosciuti diabetici potrebbe quindi aumentare la identificazione di persone con diabete. Pur non essendo un esame diagnostico, se abbinato alla glicemia, aumenta di molto la possibilità di individuare la presenza della patologia.
E’ dunque il caso di invitare i medici di medicina generale a prescriverla?
Sicuramente. Il medico dovrebbe prescrivere al diabetico il controllo della emoglobina glicata almeno ogni 3-4 mesi. E’ la migliore garanzia che il paziente ha di essere trattato in modo adeguato nel tempo, perchè la glicata è il riflesso del suo controllo metabolico. E se mai il medico se ne dovesse dimenticare, sia il paziente  a chiederglielo.
Vi sono problemi o difficoltà nell’accesso all’esame?
No, assolutamente. Si può fare in qualsiasi laboratorio, semplicemente dietro prescrizione del medico curante.
Vi sono casi di pazienti che temono che la glicata scopra una loro negligenza nell’autocontrollo e la vogliono evitare?
Non direi, io non ho riscontrato questo atteggiamento. Vi sono piuttosto casi di pazienti che mostrano glicemie a domicilio di livello buono, ma che hanno una glicata non corrispondente a quei risultati; ma ciò non perché la persona menta, ma perché non esegue correttamente l’autocontrollo (non ha avuto un apprendimento adeguato, ha uno strumento mal calibrato eccetera). Nella stragrande maggioranza dei casi, la differenza di risultati fatta emergere dalla emoglobina glicata ci permette poi di individuare qual è il problema nell’esecuzione dell’autocontrollo domiciliare del paziente.