I PIU’ RECENTI STUDI SU PREVENZIONE E TERAPIA
Vita attivae un buon bicchiere
Il congresso Easd di Amsterdam ha ribadito, studi alla mano, l’importanza fondamentale dell’esercizio fisico e ha dimostrato anche che il vino, se preso a piccole dosi, fa davvero buon sangue
di Paolo Brunetti
Il recente congresso della Associazione europea per lo studio del diabete, svoltosi ad Amsterdam, ha, fra le altre cose, confermato l’importanza di dieta e attività fisica sia nel campo della prevenzione sia in quello della terapia. Uno studio multicentrico europeo ha dimostrato che l’attività fisica migliora la sensibilità all’insulina in soggetti non affetti né da diabete né da patologie cardiovascolari. L’aumento della sensibilità è tanto maggiore quanto maggiori sono la durata e l’intensità dell’attività fisica. Questi risultati avvalorano l’importanza dell’esercizio fisico come strumento di prevenzione e di cura del diabete di tipo 2. L’insulino-resistenza propria del diabete di tipo 2 è infatti anche alla base delle complicanze cardiovascolari della patologia.
Inoltre, i migliori risultati si ottengono, secondo uno studio clinico randomizzato eseguito in Canada, associando a una attività fisica aerobica anche esercizi di resistenza. In questo modo si è ottenuta una riduzione della emoglobina glicata, in diabetici di tipo 2, di ben l’1% contro il solo 0,5% ottenuto nei soggetti che praticavano solamente attività aerobica.
La professoressa I. Shai della Università di Beer-Sheva, in Israele, ha invece presentato uno studio in cui si dimostra che l’assunzione di una piccola quantità di vino (150 ml), durante il pasto serale, determina una riduzione della glicemia a digiuno misurata la mattina successiva. Non vi è invece alcuna influenza sulla glicemia postprandiale. Allo studio hanno partecipato diabetici di tipo 2 fino a quel momento astemi, che sono stati sottoposti ad assunzione di vino o di birra analcolica per un periodo di tre mesi. Soltanto nei pazienti che avevano assunto il vino, senza differenza fra rosso Merlot o Sauvignon bianco, si è osservata una riduzione della glicemia dal valore originario medio di 140 mg/dl a quello finale di 118 mg/dl.
LE NUOVE MOLECOLE IPOGLICEMIZZANTI
I guardiani della glicemia
Novità in vista nel campo dei farmaci ipoglicemizzanti orali. Infatti, ora si attende anche in Italia l’introduzione del sitagliptin, che appartiene alla nuova classe degli inibitori della dipeptidilpeptidasi IV (DPP IV). Altri componenti di questa nuova categoria di farmaci, come il vildagliptin, stanno per essere immessi sul mercato negli Stati Uniti. Il loro meccanismo di azione consiste nella inibizione della degradazione di un ormone gastroenterico, il GLP-1, che esplica un ruolo essenziale nella stimolazione della secrezione insulinica. Gli inibitori della DPP IV non sono peraltro semplici insulino-secretagoghi (non si limitano, cioè, a favorire la produzione di insulina), ma svolgono anche un effetto di protezione nei confronti delle cellule beta-pancreatiche. Se ne è infatti sostenuto l’impiego in associazione alla metformina fin dalle prime fasi della patologia.
Ampio spazio è stato poi dedicato, nel congresso della Easd, alla discussione suscitata da una meta-analisi pubblicata lo scorso luglio sul “New England Journal of Medicine” da Nissen e Wolski, concernente le possibili complicanze cardiovascolari indotte dal rosiglitazone. Secondo i risultati di questa meta-analisi, il rosiglitazone aumenterebbe in maniera significativa il rischio di infarto del miocardio, pur senza aumentare il rischio di mortalità. A questo proposito, si è dibattuto a lungo -e la controversia è ben lungi dall’essere sopita- se questo effetto debba essere considerato addebitabile a una intera classe di farmaci o riferito alla specifica molecola del rosiglitazone. Infatti, evidenze contrarie esistono per un altro rappresentante della classe dei glitazoni, il pioglitazone che, viceversa, come ha mostrato lo studio PROactive, si è rivelato in grado di prevenire l’insorgenza di infarto del miocardio, di ictus e di altri eventi cardiovascolari in diabetici di tipo 2 ad alto rischio. (P.B.)
LE DONNE SONO MENO COLPITE DAL DIABETE
Poveri uomini
Gli uomini sono svantaggiati rispetto alle donne per quanto concerne l’incidenza di diabete. Infatti, in uno studio condotto presso il Karolinska Institute di Stoccolma su 2383 uomini e su 3329 donne seguite per 10 anni, si è constatato che i primi hanno un rischio doppio di sviluppare il diabete. All’inizio dello studio, il 2,1% degli uomini era affetto da diabete di tipo 2, contro l’1,3% delle donne. Al termine del periodo di osservazione di circa 10 anni, ben il 4,2% degli uomini aveva il diabete contro l’1,7 delle donne.
Nessuna differenza esiste invece fra i due sessi per quanto concerne l’esito della patologia. Lo studio Zodiac, realizzato in Olanda, ha infatti dimostrato che il rischio di mortalità era pari a 2,15 per le donne e a 1,75 per gli uomini, rispetto ai non diabetici, senza differenza significativa fra i due valori.
Al sesso maschile spetta anche un altro primato. Si sapeva da tempo che il diabete di tipo 2 è associato con una certa frequenza a sintomi di ansietà e/o di depressione psichica. Ciò che lo studio prospettico Stockholm Diabetes Prevention Program (seguendo per 10 anni circa 5500 soggetti)ha fatto emergere è che gli uomini affetti da una sindrome depressiva avevano una probabilità quattro volte maggiore di sviluppare il diabete rispetto a chi non aveva sintomi di stress psichico. Nessuna associazione fra sintomi depressivi e maggiore suscettibilità al diabete è stata invece dimostrata fra le donne partecipanti allo studio.
(P.B.)