Università di Perugia
Novità interessanti sono emerse sul fronte dei trapianti, che ormai si iscrivono nel più complesso e ampio campo di ricerca della terapia cellulare e molecolare del T1DM. Quale breve premessa, è noto che il T1DM deriva dall’autodistruzione immunomediata delle cellule insulari, fino a quando il loro numero diviene così esiguo da non poter più garantire una sufficiente produzione di insulina e mantenere condizioni di normoglicemia. Il metodo più efficace per trattare il T1DM sarebbe quindi quello di sostituire le cellule distrutte con tessuto insulare sano prelevato da donatori umani.
I trapianti di pancreas intero hanno raggiunto risultati molto incoraggianti, tanto in Europa, Italia compresa, quanto in Nord America, sia in termini di sopravvivenza dei pazienti sia di funzione del trapianto a lungo termine, con completo controllo della sindrome iperglicemica e sospensione della terapia insulinica. In mani esperte l’intervento riesce bene, tanto da giustificare pienamente il trapianto del pancreas da eseguire insieme al trapianto di rene in pazienti diabetici con insufficienza renale terminale. Restano peraltro due problemi di fondo: l’intervento chirurgico è certamente invasivo e talora gravato da complicanze perioperatorie; inoltre, la prevenzione del rigetto immunitario impone la somministrazione di pesanti regimi immunosoppressivi generalizzati, che, per quanto mitigati dalla recente introduzione di nuovi farmaci, più efficaci e meno tossici, pongono seri ostacoli alla attuazione del trapianto di solo pancreas in diabetici di tipo 1.
Un cenno a parte merita l’argomento, di recente pubblicato su riviste scientifiche e oggetto di attuale dibattito, sul possibile impiego di segmenti pancreatici, provenienti da donatori viventi, per il trapianto delle insule da essi separate, in pazienti affetti da T1DM. Al di là dei problemi di natura etica, il dato obiettivo riguarda l’impossibilità di estrarre da metà pancreas una quantità di insule sufficiente a indurre la remissione della sindrome iperglicemica. Inoltre, è poi ovviamente verosimile che il donatore sviluppi nel tempo un diabete mellito secondario conseguente alla pancreasectomia.
Il trapianto di insule umane, separate e purificate da pancreas di donatore cadavere, in pazienti con T1DM totalmente immunosoppressi, ha, al pari del trapianto di pancreas intero, compiuto progressi rilevanti, grazie soprattutto all’introduzione, 5 anni or sono, del protocollo di Edmonton, Canada, da parte del gruppo del professor Ray V. Rajotte. Da rilevare che le insule, a differenza del pancreas intero, si trapiantano in anestesia locale con la semplice puntura percutanea, sotto guida radiologica, della vena porta, in modo scarsamente invasivo. Il protocollo di Edmonton ha dimostrato la remissione del T1DM, con sospensione della terapia insulinica, nel 100% dei 7 pazienti inizialmente trattati a un anno dall’intervento. Il successo scende tuttavia al 30% a distanza di 5 anni, mostrando perciò che qualche limite all’impiego di insule estratte dal pancreas di donatori umani esiste, a cominciare dalla massa delle insule impiantate. In effetti, raramente un singolo pancreas fornisce una quantità di insule sufficiente al trapianto di un singolo ricevente diabetico. Ciò inasprisce non poco il già spinoso problema della scarsa disponibilità di organi umani rispetto alla domanda. Si associano comunque anche altri problemi di varia natura, dall’apoptosi (morte programmata cellulare), al rigetto cronico, al deficit dei processi di riparazione/rigenerazione cellulare, all’esaurimento funzionale del tessuto cellulare impiantato. Da non sottovalutare, inoltre, la tossicità cronica sul tessuto impiantato dei farmaci immunosoppressori, la cui somministrazione permanente, come nel trapianto di pancreas, anche in quello di insule è indifferibile.
Il destino del trapianto di insule nei pazienti con T1DM potrebbe sensibilmente migliorare se si riuscisse a evitare l’immunosoppressione farmacologica generalizzata dei riceventi, e al tempo stesso si reperisse una sorgente tessutale insulare alternativa a quella umana. Per il primo dei due obiettivi, rilevanti progressi sono stati ottenuti, al proposito, con l’immunoprotezione dei trapianti insulari all’interno di microcapsule selettivamente permeabili e altamente biocompatibili fabbricate con alginato/poliornitina. Tali biomembrane artificiali costituiscono una barriera fisica, di fatto impenetrabile agli anticorpi, nonché alle cellule del sistema immunitario ospite. Ciò comporta il grande vantaggio di non dovere ricorrere alla terapia immunosoppressiva. Il trapianto, di per sé assai semplice, consiste nella iniezione delle insule microincapsulate nel cavo peritoneale, sotto guida ecografica, in anestesia locale. I risultati dei primi casi, comunicati nel simposio di Assisi, hanno anzitutto evidenziato la completa assenza di effetti collaterali della procedura e la possibilità di ottenere un miglioramento del controllo glicemico e una riduzione temporanea del fabbisogno insulinico. L’esperienza fin qui acquisita induce comunque a credere che i risultati potrebbero essere assai migliori se si potesse disporre di un maggior numero di insule da trapiantare.
Resta ovvio che, per quanto nuovi e sofisticati, i sistemi di trapianto cellulare e i principi di medicina rigenerativa delle cellule devono comunque fare i conti con la natura autoimmune del T1DM. Pertanto, anche nel caso si superasse il fenomeno del rigetto immunitario, si dovrebbe poter prevenire la ricorrenza autoimmune del T1DM nelle cellule trapiantate e/o rigenerate. A tale riguardo, quanto detto nel tema iniziale della immunogenetica del T1DM (relazioni di Trucco, Pietropaolo, Pittsburgh, Usa, e Cavallo, Roma) rappresenta la premessa di studi rivolti a prevenire il ricorso autoimmune della patologia sul tessuto cellulo-insulare neo-ricostituito.
In sintesi, il simposio ha dimostrato che sono in atto importanti filoni di ricerca diretti alla cura finale del T1DM, in cui i trapianti di pancreas e insule pancreatiche rappresentano al momento soltanto la punta dell’iceberg. Le nuove prospettive, sia pure ancora sperimentali, basate sull’impiego delle cellule staminali, incluso il campo della rigenerazione delle cellule , delle cellule artificiali, delle insule di suino microincapsulate, e della terapia molecolare contro il rigetto immunitario e la ricorrenza autoimmune del diabete, rappresentano un punto fermo della ricerca in continuo progresso. E’ quindi auspicabile che nei prossimi anni si possa contare su un sistema terapeutico innovativo che non si limiti soltanto al controllo metabolico, ma possibilmente comprenda la eradicazione del T1DM.
Sempre nell’ottica di poter disporre di una sorgente insulare virtualmente inesauribile, quale certo non sono le insule umane, si potrebbero impiegare insule suine che producono una molecola insulinica notoriamente assai simile a quella umana, purché provenienti da ceppi animali superselezionati, privi di contaminanti microbici (suini Spf). Notizie incoraggianti sono emerse a tale riguardo, non soltanto per quanto riguarda studi sperimentali di xenotrapianto di insule suine microincapsulate in animali diabetici non immunosoppressi (relazioni di Elliott, Auckland, Nuova Zelanda e Luca, Perugia), ma anche in relazione ai problemi di natura etica (Maggioni, Vaticano) e di sicurezza (Wonnacott, Fda, Washington, Usa) che l’uso di tessuti animali nell’uomo può comportare. (R.C.)