L’iceberg della ricerca

Anno 22 – n.3
Ottobre – Dicembre 2005
Aggiornamento
AD ASSISI UN IMPORTANTE SIMPOSIO INTERNAZIONALE
L’iceberg della ricerca
Studiosi di tutto il mondo a confronto sulle prospettive della terapia radicale del diabete di tipo 1. Il trapianto resta uno dei filoni principali, ma lascia aperti ancora molti problemi, mentre continua la sperimentazione su sistemi artificiali, cellule staminali, prevenzione della reazione autoimmunitaria contro le cellule pancreatiche
prof. Riccardo Calafiore
Università di Perugia
Si è svolto ad Assisi, sotto la presidenza del professor Paolo Brunetti, un simposio internazionale sulle nuove tecnologie, alcune in corso di studio e altre già in fase di applicazione clinica, per la sostituzione della terapia insulinica convenzionale nel trattamento del diabete mellito di tipo 1 o insulino-dipendente (T1DM). Si è così rinnovata per la quarta volta, da parte del Dipartimento di Medicina interna dell’Università di Perugia, dopo il primo Simposio tenuto nel 1981, proprio ad Assisi, la consuetudine di riunire i massimi esponenti delle nuove frontiere della ricerca diabetologica mondiale. L’esigenza di trovare una cura radicale per questa patologia data da molto tempo, anche se gli sforzi congiunti di molti laboratori internazionali non hanno ancora potuto fornire la soluzione finale del problema. Il simposio di Assisi ha avuto il merito di portare alla luce lo stato dell’arte attuale dei due principali filoni di ricerca per la cura radicale del T1DM: da un lato, il trapianto del pancreas endocrino, comprendente il pancreas intero, le insule pancreatiche umane o di altri mammiferi superiori, le cellule staminali pancreatiche e le cellule  artificiali; dall’altro, i sistemi artificiali per l’erogazione insulinica, ivi compresi i sensori per la registrazione elettronica della glicemia e i prototipi di pancreas artificiale. Il coordinamento dei due temi è stato affidato rispettivamente al professor Riccardo Calafiore (trapianti) e al professor Massimo Massi Benedetti (sistemi artificiali), dell’Università di Perugia.
Novità interessanti sono emerse sul fronte dei trapianti, che ormai si iscrivono nel più complesso e ampio campo di ricerca della terapia cellulare e molecolare del T1DM. Quale breve premessa, è noto che il T1DM deriva dall’autodistruzione immunomediata delle cellule  insulari, fino a quando il loro numero diviene così esiguo da non poter più garantire una sufficiente produzione di insulina e mantenere condizioni di normoglicemia. Il metodo più efficace per trattare il T1DM sarebbe quindi quello di sostituire le cellule  distrutte con tessuto insulare sano prelevato da donatori umani.
I trapianti di pancreas intero hanno raggiunto risultati molto incoraggianti, tanto in Europa, Italia compresa, quanto in Nord America, sia in termini di sopravvivenza dei pazienti sia di funzione del trapianto a lungo termine, con completo controllo della sindrome iperglicemica e sospensione della terapia insulinica. In mani esperte l’intervento riesce bene, tanto da giustificare pienamente il trapianto del pancreas da eseguire insieme al trapianto di rene in pazienti diabetici con insufficienza renale terminale. Restano peraltro due problemi di fondo: l’intervento chirurgico è certamente invasivo e talora gravato da complicanze perioperatorie; inoltre, la prevenzione del rigetto immunitario impone la somministrazione di pesanti regimi immunosoppressivi generalizzati, che, per quanto mitigati dalla recente introduzione di nuovi farmaci, più efficaci e meno tossici, pongono seri ostacoli alla attuazione del trapianto di solo pancreas in diabetici di tipo 1.
Un cenno a parte merita l’argomento, di recente pubblicato su riviste scientifiche e oggetto di attuale dibattito, sul possibile impiego di segmenti pancreatici, provenienti da donatori viventi, per il trapianto delle insule da essi separate, in pazienti affetti da T1DM. Al di là dei problemi di natura etica,  il dato obiettivo riguarda l’impossibilità di estrarre da metà pancreas una quantità di insule sufficiente a indurre la remissione della sindrome iperglicemica. Inoltre, è poi ovviamente verosimile che il donatore sviluppi nel tempo un diabete mellito secondario conseguente alla pancreasectomia.
Il trapianto di insule umane, separate e purificate da pancreas di donatore cadavere, in pazienti con T1DM totalmente immunosoppressi, ha, al pari del trapianto di pancreas intero, compiuto progressi rilevanti, grazie soprattutto all’introduzione, 5 anni or sono, del protocollo di Edmonton, Canada, da parte del gruppo del professor Ray V. Rajotte. Da rilevare che le insule, a differenza del pancreas intero, si trapiantano in anestesia locale con la semplice puntura percutanea, sotto guida radiologica, della vena porta, in modo scarsamente invasivo. Il protocollo di Edmonton ha dimostrato la remissione del T1DM, con sospensione della terapia insulinica, nel 100% dei 7 pazienti inizialmente trattati a un anno dall’intervento. Il successo scende tuttavia al 30% a distanza di 5 anni, mostrando perciò che qualche limite all’impiego di insule estratte dal pancreas di donatori umani esiste, a cominciare dalla massa delle insule impiantate. In effetti, raramente un singolo pancreas fornisce una quantità di insule sufficiente al trapianto di un singolo ricevente diabetico. Ciò inasprisce non poco il già spinoso problema della scarsa disponibilità di organi umani rispetto alla domanda. Si associano comunque anche altri problemi di varia natura, dall’apoptosi (morte programmata cellulare), al rigetto cronico, al deficit dei processi di riparazione/rigenerazione cellulare, all’esaurimento funzionale del tessuto  cellulare impiantato. Da non sottovalutare, inoltre, la tossicità cronica sul tessuto impiantato dei  farmaci immunosoppressori, la cui somministrazione permanente, come nel trapianto di pancreas, anche in quello di insule è indifferibile.
Il destino del trapianto di insule nei pazienti con T1DM potrebbe sensibilmente migliorare se si riuscisse a evitare l’immunosoppressione farmacologica generalizzata dei riceventi, e al tempo stesso si reperisse una sorgente tessutale insulare alternativa a quella umana. Per il primo dei due obiettivi, rilevanti progressi sono stati ottenuti, al proposito, con l’immunoprotezione dei trapianti insulari all’interno di microcapsule selettivamente permeabili e altamente biocompatibili fabbricate con alginato/poliornitina. Tali biomembrane artificiali costituiscono una barriera fisica, di fatto impenetrabile agli anticorpi, nonché alle cellule del sistema immunitario ospite. Ciò comporta il grande vantaggio di non dovere ricorrere alla terapia immunosoppressiva. Il trapianto, di per sé assai semplice, consiste nella iniezione delle insule microincapsulate nel cavo peritoneale, sotto guida ecografica, in anestesia locale. I risultati dei primi casi, comunicati nel simposio di Assisi, hanno anzitutto evidenziato la completa assenza di effetti collaterali della procedura e la possibilità di ottenere un miglioramento del controllo glicemico e una riduzione temporanea del fabbisogno insulinico. L’esperienza fin qui acquisita induce comunque a credere che i risultati potrebbero essere assai migliori se si potesse disporre di un maggior numero di insule da trapiantare.
Resta ovvio che, per quanto nuovi e sofisticati, i sistemi di trapianto cellulare e i principi di medicina rigenerativa delle cellule  devono comunque fare i conti con la natura autoimmune del T1DM. Pertanto, anche nel caso si superasse il fenomeno del rigetto immunitario, si dovrebbe poter prevenire la ricorrenza autoimmune del T1DM nelle cellule  trapiantate e/o rigenerate. A tale riguardo, quanto detto nel tema iniziale della immunogenetica del T1DM (relazioni di Trucco, Pietropaolo, Pittsburgh, Usa, e Cavallo, Roma) rappresenta la premessa di studi rivolti a prevenire il ricorso autoimmune della patologia sul tessuto cellulo-insulare neo-ricostituito.
In sintesi, il simposio ha dimostrato che sono in atto importanti filoni di ricerca diretti alla cura finale del T1DM, in cui i trapianti di pancreas e insule pancreatiche rappresentano al momento soltanto la punta dell’iceberg. Le nuove prospettive, sia pure ancora sperimentali, basate sull’impiego delle cellule staminali, incluso il campo della rigenerazione delle cellule , delle cellule  artificiali, delle insule di suino microincapsulate, e della terapia molecolare contro il rigetto immunitario e la ricorrenza autoimmune del diabete, rappresentano un punto fermo della ricerca in continuo progresso. E’ quindi auspicabile che nei prossimi anni si possa contare su un sistema terapeutico innovativo che non si limiti soltanto al controllo metabolico, ma possibilmente comprenda la eradicazione del T1DM.
STUDI SPERIMENTALI SU UN’IPOTESI RIVOLUZIONARIA, MA LONTANASe ci fosse un vaccino
Ad Assisi è stata fatta un’ampia rassegna sui meccanismi immunogenetici che portano alla scomparsa delle cellule , che coincide con l’esordio del T1DM. La migliore comprensione del modo in cui comincia la patologia potrebbe infatti portare a più efficaci metodi per la sua prevenzione. Studi sperimentali hanno dimostrato che è possibile combattere direttamente l’attacco autoimmunitario sferrato alle cellule  con mezzi che potrebbero tradursi, in futuro, in un vaccino per la prevenzione del diabete. Anticipando i risultati di uno studio multicentrico che ha coinvolto per cinque anni, negli Usa, migliaia di pazienti diabetici e di soggetti non diabetici, il professor George S. Eisenbarth di Denver (Usa), uno dei massimi esperti di immunologia del T1DM, ha affermato che l’antigene principale contro cui si abbatte una vera e propria tempesta immunitaria che porta alla completa distruzione del patrimonio -cellulare è l’insulina. Sarebbe quindi teoricamente possibile, nei soggetti a rischio, cercare di modulare la risposta autoimmunitaria anti-insulina, inducendo una forma di tolleranza nei confronti di questa molecola, mediante esposizione dell’individuo a piccole dosi di insulina somministrata per bocca o per iniezione. (R.C.)
TRAPIANTO: TROPPO POCHE LE INSULE UMANE
Il maiale può darci una mano
La scarsità della materia prima dei trapianti, nella fattispecie delle insule umane, è stata il tema di importanti sessioni presentate ad Assisi. Le relazioni hanno descritto nei dettagli lo stato dell’arte delle cellule staminali pancreatiche, che, sebbene ancora non esattamente identificate, sembrano poter provenire dai dotti pancreatici (Bonner-Weir, Harvard University, Boston, Usa) o dalle stesse cellule insulari (Levine, Ucla, Los Angeles, Usa) o infine anche da altri precursori non necessariamente pancreatici (Efrat, Tel Aviv, Israele; Basta, Perugia). Si potrà forse infine disporre in futuro di cellule  artificiali, costruite totalmente in laboratorio, dotando un elemento cellulare indifferenziato degli idonei strumenti per diventare una cellula specificamente in grado di produrre insulina in risposta al glucosio (relazione di Newgard, Duke University, Durham, Usa).
Sempre nell’ottica di poter disporre di una sorgente insulare virtualmente inesauribile, quale certo non sono le insule umane, si potrebbero impiegare insule suine che producono una molecola insulinica notoriamente assai simile a quella umana, purché provenienti da ceppi animali superselezionati, privi di contaminanti microbici (suini Spf). Notizie incoraggianti sono emerse a tale riguardo, non soltanto per quanto riguarda studi sperimentali di xenotrapianto di insule suine microincapsulate in animali diabetici non immunosoppressi (relazioni di Elliott, Auckland, Nuova Zelanda e Luca, Perugia), ma anche in relazione ai problemi di natura etica (Maggioni, Vaticano) e di sicurezza (Wonnacott, Fda, Washington, Usa) che l’uso di tessuti animali nell’uomo può comportare. (R.C.)