La prevenzione contro l’emergenza diabesità
Grasso non è affatto bello
Appello dei medici specialisti. Stiamo diventando una popolazione di obesi, perciò candidati fin da ragazzi al diabete e alle cardiopatie: dobbiamo cambiare stile di vita, se vogliamo prevenire la patologia o almeno le sue complicanze. Cominciando ad abbattere i chili di troppo
Il professor Michele Carruba, direttore del Centro studio e ricerca sull’obesità dell’Università degli studi di Milano, non cerca di indorare la pillola: “Il binomio diabete-obesità è ormai il problema emergente nei Paesi avanzati, perché riguarda fasce di età sempre più giovani: cioè, il futuro della società”. Di questo si è discusso al recente Settimo convegno nazionale Diabete-obesità, tenutosi a Milano nello scorso mese di marzo, che ha rilanciato l’allarme già pronunciato dall’Organizzazione mondiale della sanità: tra vent’anni si prevede che un italiano su dieci sarà diabetico e si tratterà soprattutto di diabete di tipo 2, strettamente legato all’aumento preoccupante delle persone in sovrappeso.
Il problema non riguarda né soltanto né prevalentemente l’Italia, ma è ben più ampio, come dimostrano i dati diffusi al terzo congresso della International Federation for the surgery of obesity and metabolic disorders (European Chapter) svoltosi a Capri in aprile, che ci dicono che nel mondo occidentale l’obesità tocca l’8-10% della popolazione.
“La ragione di tutto ciò -commenta Carruba- è la modifica, in peggio, degli stili di vita. Sono due i maggiori imputati: l’alimentazione, orientata verso cibi ricchi di grassi e zuccheri, e la riduzione del movimento e dell’attività fisica. E il risultato è che stiamo diventando una popolazione di persone in sovrappeso e di obesi”.
Il diabetologo Antonio Pontiroli, che ha presieduto il convegno milanese, e che oggi guida la Forisid (Fondazione ricerca della Sid, di cui è stato presidente), non è meno drastico di Carruba: “Le conseguenze possono essere drammatiche. Uno studio danese pubblicato sul New England Journal of medicine attesta che esiste una correlazione fra l’indice di massa corporea (bmi) in età adolescenziale, tra i 7 e i 13 anni, e il rischio di coronaropatia, sino alla morte, in età adulta: più il bmi è alto, maggiore è il rischio”. Chi è obeso a sette anni, rispetto a chi non lo è, ha un terzo di probabilità in più di ammalarsi di cuore a venticinque.
Pontiroli sottolinea che il diabete di tipo 2 è ormai esploso, soprattutto a causa di sovrappeso e obesità, e si rammarica del fatto che troppa gente “non riesca ancora a capire che l’obesità non è questione estetica, ma di salute. Dobbiamo riuscire a farlo comprendere a tutti”.
Tra l’altro, ammonisce il diabetologo, comincia a profilarsi un altro serio problema: che, con l’aumento progressivo dei pazienti, le strutture diabetologiche siano sovrautilizzate e sovraffollate.
Già oggi quei tre milioni di diabetici italiani diagnosticati (a cui va aggiunto presumibilmente un milione di casi non ancora emersi) esercitano una notevole pressione sul sistema sanitario. Innanzitutto, in termini di costi: secondo l’Osservatorio Arno diabete, un diabetico costa al Ssn mediamente 2589 euro l’anno e assorbe il 54% di risorse in più di un non diabetico, principalmente per tutte le condizioni concomitanti e per le complicanze (cardiache, renali, oculari, neuropatiche, sessuali). Le rilevazioni fatte dalla Asl di Brescia portano a stimare che le persone con diabete, pur rappresentando il 4% degli assistiti, impegnino il 10% delle risorse.
Secondo Pontiroli, nel breve termine, il problema del sovrautilizzo delle strutture può essere affrontato migliorandone l’organizzazione, eliminando alcuni sprechi, razionalizzando la gestione dei pazienti, coinvolgendo di più i medici di medicina generale (magari ispirandosi all’esempio inglese, dove ricevono incentivi se ottengono buoni risultati di cura). Ma se la diffusione della patologia continua a crescere (si prevedono 5 milioni di pazienti nel 2025) c’è da chiedersi fino a quando il servizio sanitario sarà in grado di reggerne l’impatto. La ricerca naturalmente non si ferma (è, per esempio, allo studio il pancreas artificiale), ma la rivoluzione terapeutica non è dietro l’angolo, anche se sono disponibili nuovi farmaci (come gli incretinomimetici, di cui si parla anche nel nostro dossier di aggiornamento). Ma indispensabile oggi è agire per prevenire.
Se è dunque vero che grande parte dei nuovi casi è di tipo 2 e dipende dai troppi chili in più, non è difficile indicare quale sia la strada della prevenzione: “Il diabete di tipo 2 -dice infatti Paolo Cavallo Perin, diabetologo di Torino, presidente eletto della Sid- può e deve essere prevenuto adottando corretti stili di vita, cioè alimentazione equilibrata e attività fisica. Quindi, bisogna far capire che mantenere o recuperare la buona salute è un lavoro che non può coinvolgere soltanto il medico, il quale non può farcela da solo. Occorre l’educazione del paziente, che è il primo dei farmaci”.
E’ d’accordo Carruba: “La maggior parte delle malattie gravi si può prevenire, perché sono legate ai comportamenti, a partire dalla cattiva alimentazione. Oggi abbiamo parametri semplici e sicuri per predire il pericolo: quando l’accumulo di grasso viscerale supera un certo livello (circonferenza della vita sopra gli 88 centimetri nella donna e sopra i 102 nell’uomo), c’è la certezza del rischio di malattie cardiache e metaboliche. Allora, la migliore terapia è un sano stile di vita: per esempio, ridurre del 20% l’apporto calorico quotidiano raddoppia le aspettative di vita e ne migliora la qualità; analoghi vantaggi ha chi fa mezzora di camminata al giorno rispetto a chi non si muove. Ci si ammala di meno e si vive meglio. Occorre perciò che le persone cambino i loro comportamenti”.
Come si fa a ottenere questo risultato? Cavallo Perin suggerisce di agire per tempo, partendo dalle giovani generazioni, anche in considerazione del fatto che i comportamenti errati e le loro spiacevoli conseguenze si manifestano sempre più presto: “Bisogna coinvolgere la scuola e gli insegnanti affinché i ragazzi comincino subito a imparare a nutrirsi in modo corretto. E’ importante però che il messaggio non sia equivocato: il mangiare sano non è una punizione, non significa affatto fare una vita di sacrifici”.
Sulla stessa lunghezza d’onda è il discorso di Pontiroli a proposito dell’esercizio fisico: “Bisogna insegnare ai ragazzini non soltanto che lo sport fa bene, ma anche far capire loro che l’attività fisica è divertente e piacevole”.
Nuove frontiere terapeutiche
La parola al bisturi
Si può curare il diabete di tipo 2 con la chirurgia gastrointestinale? Sì, ma con cautela, soltanto in certi casi, quando la persona ha un indice di massa corporea (il peso in chili diviso per il quadrato dell’altezza in metri) largamente in eccesso. In tali situazioni, operazioni (come il bypass gastrico) che escludano un tratto dell’intestino (il duodeno) dal transito del cibo, possono essere efficaci nel produrre una riduzione del peso e nel riportare il metabolismo e la glicemia nella norma.
Il professor Antonio Pontiroli sottolinea che un anno fa, a Roma, nella Consensus conference internazionale sulla chirurgia gastrointestinale per il trattamento del diabete di tipo 2, per la prima volta è stata riconosciuta la legittimità di questo approccio. Però, questo genere di intervento non è per tutti, anche perché siamo ancora in una fase sperimentale. Esistono tecniche efficaci e condivise (anche riconosciute dal Servizio sanitario nazionale), ma su molte altre si deve continuare a studiare. Per ora la chirurgia -precisa Pontiroli- è “raccomandabile esclusivamente in pazienti con diabete e obesità grave, con indice di massa corporea superiore a 35, nei quali interventi come il bypass gastrico normalizzano la glicemia e riducono di oltre il 90% il rischio di morte”.