La storia di Arianna, “eco mamma” con diabete di tipo 1

Questa di Arianna è una storia che fa riflettere sul tema della protezione e dell’accudimento.
C’è una cosa che ci accomuna tutti. Non vorremmo mai far soffrire le persone che amiamo.
Non vorremmo mai spaventarle. Desideriamo preservarle da ogni male.
Letteralmente, siamo incapaci di fronte alla sofferenza altrui, tanto che il modo di dire: “Vorrei fosse successo a me e non a te”, non è un modo di dire.

Ma la vita accade e ognuno ha la sua storia. In quella di Arianna c’è un esordio di diabete di tipo 1, a ventotto anni. Era il settembre 2018. All’epoca sua figlia Aurora aveva compiuto da poco i tre anni e Arianna lavorava con stacanovismo, tanto da ignorare i sintomi, la sete, la magrezza, l’infinita stanchezza, fino a quando, come spesso a accade, ignorarli non è più stata un’opzione accettabile.
Subito dopo l’ospedale, la vita che si capovolge, la paura degli aghi e di un diabete di cui non si sa nulla.
E poi, come spiegarlo ad Aurora?
Arianna decide di non spiegarlo. Di far finta che tutto sia come prima. Si chiude in bagno quando deve pungersi, ma Aurora la segue, e vuole entrare e piange e non capisce.
Cosa succede in quel bagno? Cos’è quel nuovo confine, oltre il quale non le è permesso l’accesso?

«Temevo che si impressionasse alla vista dell’ago. Poi mi sono rivolta a una psicologa, perché non riuscivo più a gestire le cose e ho capito di aver sbagliato. La psicologa mi ha fatto notare che l’avevo esclusa senza chiederle se volesse essere esclusa. Dovevo rispondere alle sue domande. Ho iniziato a farlo e ho iniziato a farmi vedere mentre mi pungevo. Man mano l’ho inglobata in tutti i meccanismi del diabete e lei l’ha preso come un gioco. Per cui, quando misuro la glicemia, vuole essere sempre presente. Anche a scuola ha manifestato un’attitudine verso l’accudimento degli altri compagni di classe».

Parlando, tutte le paure di Arianna sono crollate come castelli di carta, così come la convinzione di non poter più avere una vita normale, che l’ha accompagnata, per diverso tempo, dopo la diagnosi di diabete.
Le cose, man mano, si sono assestate. Il lavoro per farle assestare è quotidiano e non si interrompe mai.
Ma anche la voglia di vita. Tanto che Arianna è rimasta incinta di nuovo. Un bambino fortemente voluto, e una gravidanza che porta avanti, seguita dall’Ospedale Universitario di Padova, con tutte le precauzioni del caso.
Con molta attenzione alla glicata e all’alimentazione, soprattutto dopo il quarto mese.
«I primi mesi non sono stati semplici. Il feto si era staccato per il 70%. Sono rimasta sdraiata per due settimane. Poi, passato questo momento, non ho avuto altre complicanze».
C’è una foto sul suo profilo Instagram, diabete.ecomama, nella quale Aurora indossa una maglietta. Sopra c’è scritto: Sarò la sorella maggiore di Riccardo.
Così, questa è l’attesa di tutti. Ognuno attende il nuovo, ognuno si prepara a riceverlo.
Ognuno con la propria storia di mamma e di figlia.

Arianna è passata dal non voler parlare del diabete ad aprire un profilo Instagram nel quale, invece, ce lo racconta. Giorno per giorno.
Raccontarlo era l’unico modo per entrare in contatto, non solo con altre persone che vivono una storia similare, ma, molto più importante, con se stessa.
Nel racconto c’è l’intenzionalità di andare nel profondo della sua condizione.
Parlarne significa essere presenti a se stessi.
A volte, mi viene da pensare, è l’insieme degli atti di presenza a fare la vita di una persona.
Che forse un atto di presenza è anche un atto di fede. Significa: abbraccio ciò che sono e ho fiducia in quello che verrà.

Mi ha racontato Arianna che all’inizio suo marito studiava insieme a lei il suo piano alimentare, perché voleva essere certo che tutto andasse bene e perché, come abbiamo detto, non vorremmo mai confrontarci col dolore delle persone che amianto, soprattutto se non lo possiamo alleviare.
Ma Arianna ha capito che non poteva funzionare così.
«È il mio pancreas, sono io. Sono l’unica a sapere cosa sento e cosa sente il mio corpo. Ed è mia responsabilità gestirlo».
Un atto di presenza che rende liberi.

A cura di Patrizia Dall’Argine