“L’esordio di mia figlia in piena pandemia”. La storia di Francesca Guatteri

Ho ascoltato la storia di Vittoria, raccontata da sua madre Francesca Guatteri, con un misto di apprensione e ansia.
È una storia che ricalca quella di molte madri, padri, figlie e figli.
È l’esordio di diabete mellito di tipo 1.

È una vita prima e una vita dopo che non riescono a riconoscersi, a trovare un compromesso, una zona franca, di pace.
Poi, la pace si ricostruisce, ma prima si attraversa la guerra.
Sono in guerra ogni madre e ogni padre che vedono i figli dimagrire, bere in maniera spropositata, fare moltissima pipì. C’è qualcosa che non va, ma non si sa cosa.
I sintomi sono quelli, ma persino i medici non si sbilanciano, non vogliono credere, oppure, a volte, purtroppo, non sanno. “Non può essere diabete, è solo una bambina”, “toglietele l’acqua prima di dormire, vedrete che non si alzerà più di notte per fare pipì”.
Ci si aggrappa a ogni barlume di speranza, perché l’ultima cosa che si vuole è che quella nuova vita vinca su quella vecchia, senza infusori, senza punture, senza insulina, senza ipoglicemie, senza una diagnosi di una patologia cronica.

È un copione, che purtroppo in questa sede, ci è stato presentato più e più volte.
Da dove mi trovo io, che ho il ruolo di raccontare, ci si può soltanto mettere in ascolto e rimanere tutte le volte attoniti, stupiti, commossi di fronte alla forza indicibile che attraversa tutti gli attori di storie come queste. Perché come dice Francesca: “il diabete è un affare di famiglia” e non coinvolge mai soltanto il protagonista.

In questa storia c’à un’aggravante in più: la pandemia. L’esordio in piena pandemia, il 4 aprile 2020. La voce del farmacista, con lo stick glicemico in mano: “correte in ospedale”. Francesca che prende la macchina, le strade vuote di Milano che siamo stati abituati a vedere in quei giorni impossibili e che ci sembravano così surreali, quasi l’ambientazione a tavolino di un mondo distopico, nel quale ci siamo ritrovati catapultati da un giorno all’altro.
Francesca corre per quelle strade deserte. Il deserto è anche dentro. Nel suo cuore frantumato. Sa che tutto sta per cambiare e al centro di quel cambiamento sua figlia.
Al Buzzi le vengono incontro, bardati nelle loro tute: “Signora cosa fa qui?”, ma è un attimo, il tempo di dire “glicemia”, “mia figlia”, “aiuto” e Vittoria è già sotto flebo. Era in chetoacidosi e soltanto dopo diverse ore, verranno a dire a Francesca: “La bambina ora è fuori pericolo”. Francesca quella frase non se la dimentica più.
In ospedale sono lei e Vittoria. Nessuno può entrare. Fuori c’è la pandemia. Non possono appoggiarsi al conforto di nessuno. Nessuna vicinanza.

“La diagnosi di insulino dipendenza mi aveva completamente scioccata. Non trovavo le parole. Per fortuna ci hanno dato un libretto, con la storia di Lino, orso diabetico [ndr: da un progetto di AGD Italia], e lì abbiamo iniziato a capire come sarebbero funzionate le cose e in qualche modo ci siamo tranquillizzate. Vittoria ha iniziato immediatamente a farsi le punture da sola. Ha voluto capire subito come funzionava il suo diabete e quando siamo tornate a casa era lei a spiegarlo al padre. Il 4 aprile 2022 ha festeggiato questi due anni, perché dice: ‘Io due anni fa potevo non farcela’”.

Come tutte le famiglie e tutti i figli che hanno vissuto la stessa storia, anche Francesca e la sua famiglia hanno imparato le regole della vita dopo, della vita post-esordio. A scuola Vittoria ha spiegato ai compagni di classe cosa sia il diabete e ha trovato molto supporto da parte di tutti.
“Bisogna parlarne. Bisogna raccontare, spiegare cos’è il diabete di tipo 1”.
Vittoria ha una sorella, Giulia. Gemella. Identica. Gli esami specifici che Francesca e suo marito hanno deciso di fare, hanno confermato che anche Giulia, a breve, avrà l’esordio.
“Abbiamo deciso di sapere. Paradossalmente anche se sei pronto, rispetto alla prima volta, siamo molto spaventati, perché ora siamo consapevoli. Sappiamo cosa significa. Sappiamo la fatica. Faccio a Giulia un pick al dito ogni settimana per monitorarla, ma continuiamo la nostra vita. Siamo stati tutti e quattro molto bravi per come siamo arrivati fino a qui. Mi auguro che la tecnologia continui ad avanzare e soprattutto che questa patologia sia vissuta sempre di più alla luce del sole, senza vergogna. Sono grata per il fatto di avere assistenza e medicinali che ci permettono una vita normale. Vittoria e Giulia sono molto affiatate, si vogliono bene. E so, per certo, che si aiuteranno anche in questo”.

A cura di Patrizia Dall’Argine