La Medicina Narrativa è un approccio alla pratica clinica che valorizza l’ascolto attivo della storia del paziente e la costruzione di una storia di cura condivisa, centrata sui bisogni del paziente e capace di integrare i diversi punti di vista degli attori coinvolti nel percorso terapeutico. La storia di cura tiene conto non soltanto della dimensione biologica della malattia (disease), ma anche dei vissuti del paziente rispetto alla malattia (illness) e della dimensione sociale, cioè come la malattia è percepita nel contesto familiare e sociale in cui vive la persona che ne soffre (sickness).
Un gruppo di ricercatori dell’IRCCS di Montecchio Emilia e di altri poli di ricerca emiliani ha valutato l’applicabilità della medicina narrativa nell’ambito dell’educazione terapeutica del paziente con diabete di tipo 2. In ambito diabetologico sappiamo che il ruolo dell’educazione terapeutica è un pilastro della cura tanto quanto la terapia farmacologica. L’obiettivo è quello di rendere il paziente o il caregiver competenti e capaci sia sul piano del sapere, sia su quello del saper fare, sia del saper essere. Ciò significa che l’educazione terapeutica non si limita a fornire una serie di informazioni sull’alimentazione, sull’attività fisica o sul monitoraggio della glicata, ma deve facilitare un cambiamento nel comportamento e un’assunzione di responsabilità individuale.
La narrazione come co-costruzione del significato della malattia
Lo strumento utilizzato nella ricerca è quello dell’intervista narrativa, il cui obiettivo non è soltanto interpretare i significati attribuiti dal paziente alla malattia, ma valorizzare il processo di interazione attraverso il quale questi significati possono essere co-costruiti nella collaborazione tra paziente/caregiver e il case-care manager.
La narrazione infatti è l’atto comunicativo attraverso il quale viene attribuito un significato a una serie di eventi. Per comprendere meglio che cosa si intende per narrazione può essere utile questo semplice esempio: la frase “il re morì e poi la regina morì” descrive una serie di eventi. Ma se affermo “il re morì e la regina morì di dolore” esprimo una narrazione, attribuisco e comunico un significato alla sequenza degli eventi, inserisco i fatti in una mia visione del mondo, che comprende le mie conoscenze (ho letto altre storie in cui le regine muoiono di dolore), i miei valori (morire di dolore è un bel gesto d’amore) e che ha anche un correlato emotivo (tristezza e compassione). Se attribuissi la morte dei due regnanti, per esempio, a un duplice omicidio… sarebbe tutta un’altra storia.
In medicina il significato attribuito agli stessi eventi clinici può essere interpretato in maniera molto diversa dal curante e dal paziente e di conseguenza condurre ad azioni differenti. Per quanto riguarda il diabete, non solo le conoscenze sulla malattia potrebbero non essere allineate e corrette, ma anche le emozioni, i valori, il livello di integrazione della malattia nella storia di vita e nella vita quotidiana del paziente possono contribuire a indebolire il percorso di educazione terapeutica. Per esempio, un paziente convinto che “tanto il diabete si cura solo con l’insulina” potrebbe essere un paziente che si impegna nel seguire un regime alimentare corretto. Per facilitare un cambiamento è necessario conoscere questo suo punto di vista e capire perché ha interpretato in questo modo la sua malattia: per esempio, potrebbe non aver ricevuto o compreso le informazioni corrette o aver avuto esperienze frustranti rispetto a precedenti tentativi di dieta, oppure conosce altre persone con diabete che si curano con l’insulina o ancora ritiene che mantenere le sue abitudini alimentari sia particolarmente importante per la sua vita sociale.
Attraverso un dialogo attento e competente il curante può far emergere i reali modelli esplicativi, le conoscenze e le emozioni del paziente rispetto alla sua malattia e al trattamento, e contribuire a negoziarli, proporre alternative o ri-significarli, come parte integrante del processo educativo.
Intervista narrativa: quali domande?
La ricerca ha coinvolto il centro diabetologico di Reggio Emilia e quello di Guastalla, con 30 pazienti di età compresa tra i 18 e i 65 anni, con diabete di tipo 2.
I temi esplorati riguardavano l’aderenza terapeutica del paziente con diabete, la sua percezione della malattia e il ruolo del Case-Care Manager nel migliorare l’empowerment, il coinvolgimento attivo e competente del paziente nella cura.
I ricercatori hanno utilizzato l’intervista narrativa per ripercorrere la storia di malattia dei pazienti con diabete, in 3 importanti tappe del loro percorso: prima della diagnosi, la diagnosi e il periodo successivo alla diagnosi. Secondo i principi della medicina narrativa, la diagnosi rappresenta una rottura biografica, uno spartiacque nella vita delle persone, che devono fare i conti con una nuova identità quella di persona con una malattia cronica.
Ecco alcuni esempi delle domande utilizzate:
Pre-diagnosi
Come hai scoperto di avere il diabete? Hai avuto qualche sintomo significativo prima? Qual era il tuo stile di vita prima della diagnosi?
Diagnosi
Come è cambiato il tuo stile di vita dopo aver scoperto la malattia? Come è cambiato il tuo stato d’animo dopo aver scoperto la malattia? C’è stato qualche professionista che ti ha aiutato e si è preso cura di te durante la prima fase della malattia?
Post Diagnosi
Cos’ha cambiato la malattia cronica nel tuo stile di vita? Cosa temi di più della malattia? Cosa penseresti se ci fosse un professionista che ti seguisse in questa nuova condizione di vita? Cosa vorresti dire a questo professionista?
Diventare protagonisti della storia
Questo tipo di domande sono utili al paziente per ripercorrere e dare senso all’esperienza vissuta, con un effetto intrinsecamente terapeutico sul piano del benessere psicologico. Ma le domande servono anche per i professionisti della cura, per raccogliere preziose informazioni e comprendere i bisogni del paziente, il suo punto di vista e per attuare un percorso di educazione terapeutica su misura.
Come scrivono gli autori della ricerca: “Durante tutte le interviste tutti i partecipanti, anche i più scettici, hanno raccontato la loro vita, la loro storia e ci hanno fatto vivere attraverso le loro parole tutte le difficoltà che hanno incontrato. Hanno anche ri-valutato le loro azioni e il loro approccio alla malattia, migliorato la consapevolezza sulle loro conoscenze, le loro incertezze e debolezze. L’uso di metodologie qualitative si è mostrato quindi un aiuto efficace per comprendere le difficoltà incontrate dai pazienti nella quotidianità, fornendo direzioni per migliorare la performance nell’ambiente di lavoro”.
Il paziente con diabete raccontando diventa protagonista attivo e consapevole della sua storia e colloca anche il curante all’interno di questa storia come personaggio che lo aiuta e non che lo ostacola.
A cura di Francesca Memini