Michele è un cuoco. Da che ne ho memoria, da quando lo conosco, ha sempre fatto questo mestiere. Ha sempre avuto a che fare col cibo, quindi.
Il cibo e il diabete. Argomento caldo, soprattutto in questo periodo dell’anno.
“Si tratta soprattutto di conoscerlo”, mi dice lui.
Quantificare i carboidrati, definire le unità di insulina, quindi.
Questo è un percorso verso la consapevolezza che tocca tutti coloro che hanno il diabete e che spesso non sfiora minimamente chi il diabete non ce l’ha.
E mi soffermo a lungo con lui su questo argomento.
Ha fatto un corso, si è documentato, sa perfettamente a occhio, in un lampo, quante calorie sta apportando al suo corpo.
È una conoscenza che penso dovremmo avere tutti. Al cibo diamo tanti valori, scordandoci spesso il principale: il nutrimento.
All’esordio del diabete, circa a 30 anni, Michele aveva già una figlia. Ora ne ha tre.
Eppure, all’anno percorre circa 8.000/10.000 km.
La bicicletta è diventata la sua grande passione; qualcosa che non conosceva, che era lontano dal suo modo di vedere e vivere lo sport.
“Facevo pallavolo, palestra, non sono mai stato fermo”, mi dice, “ed ora, men che meno”.
In media organizza 3 uscite alla settimana su due ruote. Se non può, utilizza un programma sul computer, che simula salite e discese.
Un vero e proprio percorso, quella per lo sport in primis, ma soprattutto per lo stare bene in generale.
Per la cura di sé, prima ancora della cura del diabete.
“La prima fase di gestione del diabete è stata molto complessa. Una glicemia di difficilissima gestione, con picchi continui.”
“E come ne sei uscito?” chiedo.
“Col microinfusore. Ha migliorato notevolmente il mio stile di vita. A Parma sono stato il primo a utilizzarlo. Nel centro di diabetologia mi hanno chiesto se volessi fare da tester. Mi sono trovato subito bene”.
Mi racconta che anche il sensore è stato un ulteriore miglioramento. E miglioramento dopo miglioramento siamo arrivati all’oggi.
Un oggi dove ancora pesa il giudizio altrui. All’inizio pesava pungersi di fronte a tutti, adesso pesano gli sguardi delle persone al mare, ad esempio, che si incuriosiscono del micro e del sensore. “Ti senti sempre al centro dell’attenzione. Capisci che le persone si fanno delle domande”.
E questo è certo. Ci si fanno sempre molte domande verso ciò che non si conosce e di cui non si ha dimestichezza. Ci si immaginano delle risposte, spesso totalmente errate, spesso totalmente distanti dalla realtà. Forse è meglio chiedere direttamente. E quindi lo faccio.
“E con Guido?” gli chiedo, “Vi confrontate mai?”
“Ma sai”, mi risponde, “Io ho il mio modo di gestire la glicemia, lui il suo”.
Guido è suo padre. ha il diabete da quando aveva 45 anni, ora ne ha 72.
L’affermazione di Michele mi fa pensare al diabete come qualcosa che ha delle dinamiche precise, scientifiche, e altre che riguardano le caratteristiche specifiche e peculiari della persona.
Il sentire, il modo in cui si affrontano le cose, la conoscenza che si ha del proprio corpo, l’esperienza.
La distanza culturale che sempre intercorre tra padre e figlio, la vedo, curiosamente, anche qui. Anche mentre si parla di diabete.
Ma poi non è distanza, è diversità. È il modo in cui affrontiamo le cose e le portiamo con noi per un pezzo di vita, o per la vita intera.
A cura di Patrizia Dall’Argine