Aggiornamento
Nemici del cuore
Prevenire le complicanze cardiovascolari
Nel diabete di tipo 2 non basta controllare la glicemia: occorre intervenire anche sugli altri fattori di rischio, come l’ipertensione arteriosa, l’eccesso di colesterolo Ldl e la dislipidemia
prof. Paolo Brunetti Direttore Dipartimento di Medicina interna Università degli Studi di Perugia
L’obiettivo primario della terapia del diabete di tipo 2, al di là del controllo della glicemia, è la prevenzione delle complicanze cardiovascolari. Il diabete di tipo 2, infatti, è uno dei maggiori fattori di rischio per l’insorgenza di eventi cardiovascolari maggiori come infarto del miocardio, ictus e insufficienza vascolare degli arti inferiori. E’ stato dimostrato, al proposito, che un diabetico di tipo 2 che non ha mai avuto, in precedenza, un evento cardiovascolare ha, per il solo fatto di essere diabetico, lo stesso rischio di sviluppare un infarto del miocardio di un soggetto non diabetico che abbia già sofferto in passato di una cardiopatia coronarica. In altri termini, il diabete di tipo 2 deve essere considerato non soltanto una malattia del metabolismo, ma anche e soprattutto una patologia cardiovascolare. L’efficacia della terapia del diabete di tipo 2 non può perciò essere valutata usando come parametro di riferimento il solo effetto ipoglicemizzante: occorre quindi considerare anche la sua capacità di neutralizzare i vari fattori di rischio che accompagnano il diabete e, fra questi, in particolare, la composizione lipidica del siero, che comprende, oltre alla concentrazione di colesterolo, anche la tipica dislipidemia diabetica.
Stili di vita scorretti
Ancora oggi vi è la tendenza assai diffusa a identificare il diabete solamente con l’iperglicemia. Se questo concetto è valido per il diabete di tipo 1, che consegue a un deficit primario della secrezione insulinica, altrettanto non può dirsi per il diabete di tipo 2 o, almeno, per la sua forma più comune, che interessa oltre l’80% dei pazienti e che è causata dalla combinazione di fattori genetici con un stile di vita non corretto, soprattutto per un eccesso di nutrizione e un difetto di esercizio fisico. In questa, che è la classica forma del diabete di tipo 2, l’iperglicemia compare al termine di un lungo periodo, di anni o anche di decenni, definito genericamente prediabete e caratterizzato, insieme con valori normali di glicemia, dalla presenza di una resistenza all’azione dell’insulina, associata, almeno nella fase iniziale, a una iperinsulinemia compensatoria. L’intero processo è avviato da una condizione cronica di eccesso nutritivo e di scarso consumo energetico responsabile di un eccesso di peso e, soprattutto di una deposizione abnorme di grasso a livello addominale e anche in organi extra-adiposi come il fegato, il muscolo e lo stesso pancreas endocrino.
La resistenza insulinica
Prima ancora che dall’iperglicemia, è dalla resistenza insulinica, associata all’iperinsulinemia, che derivano importanti alterazioni metaboliche ed emodinamiche che conducono alla aterosclerosi, come l’ipertensione arteriosa, la dislipidemia e uno stato protrombotico e proinfiammatorio. Poiché, come abbiamo detto, resistenza insulinica e iperinsulinemia sono il frutto di un eccessivo accumulo di lipidi e questo deriva da un errato stile di vita combinato con un assetto genico predisponente, è facile dedurre -come altre volte abbiamo sottolineato da queste pagine- che lo strumento primario di prevenzione delle complicanze cardiovascolari e dello stesso diabete è rappresentato da una riduzione del peso corporeo e, quindi, da una modificazione dello stile di vita, consistente nella acquisizione di corrette abitudini nutrizionali e nella programmazione di una maggiore attività fisica.
La prevenzione
Anche se numerosi studi hanno dimostrato che la prevenzione del diabete di tipo 2, con il suo corredo di fattori di rischio, è possibile con un intervento mirato alla correzione dello stile di vita, la traduzione di questo principio nella pratica quotidiana è tutt’altro che facile, cosicché il ricorso alla terapia farmacologica dopo l’insorgenza del diabete è sempre necessario per impedire la futura insorgenza di una patologia aterosclerotica. Nella seconda parte di questo dossier esaminiamo proprio le risorse farmacologiche di cui la diabetologia oggi può disporre e di quelle su cui si stanno svolgendo studi e ricerche.
Per ogni paziente con diabete di tipo 2, particolarmente se già affetto da malattie cardiovascolari, oppure ancora indenne da queste ma di età superiore ai 40 anni, si deve valutare attentamente l’opportunità di associare alla terapia ipoglicemizzante altri farmaci capaci di normalizzare la composizione lipidica del sangue, di neutralizzare l’eccessiva tendenza alla trombosi e, ove necessario, di ridurre i valori di pressione arteriosa. Le acquisizioni derivate dagli studi più recenti ci dicono anzi che questi ultimi interventi sono più rilevanti, ai fini della prevenzione cardiovascolare, della stessa normalizzazione della glicemia.
Glicemia nella norma
Nessuno può mettere in dubbio la necessità di riportare la glicemia a livelli prossimi alla norma, ma questo obiettivo deve essere raggiunto evitando con cura gli episodi ipoglicemici, particolarmente pericolosi specialmente nei soggetti più fragili, perché più anziani e/o con patologie cardiovascolari già in atto. Un valore di emoglobina glicata compreso fra il 7 e il 7,5% è una meta ragionevole per questa categoria di pazienti. Traguardi glicemici più stretti, anche inferiori al 7%, possono essere perseguiti in soggetti non anziani e indenni da patologie cardiovascolari.
Pressione e colesterolo
Meno problematico è invece il peso degli altri fattori di rischio che affondano le loro radici nelle prime fasi della storia naturale del diabete, come l’ipertensione e la dislipidemia. Già lo studio Ukpds aveva dimostrato come la riduzione della pressione sistolica di 10 mmHg e di quella diastolica di 5 mmHg comporti una riduzione della incidenza di infarto del miocardio del 32%, che si manifesta con molta evidenza fin dalla fase iniziale del trattamento. Oggi sappiamo, sulla base dello studio Hot, che l’obiettivo pressorio, nel diabete di tipo 2, deve collocarsi a di sotto di 130/80 mmHg.
Altrettanto necessario è il controllo intensivo della composizione lipidica del siero. Poiché il diabete deve essere considerato, a tutti gli effetti, un fattore di rischio equivalente alla cardiopatia coronarica, è obbligatorio ridurre la concentrazione plasmatica di colesterolo Ldl al di sotto di 100 mg/dL. Tuttavia, alcuni studi assai autorevoli hanno documentato come l’effetto di prevenzione sia ancora più manifesto se il colesterolo Ldl viene ridotto al di sotto di 70 mg/dL.
Obiettivi terapeutici
In sintesi, si può concludere che il diabete di tipo 2, prima ancora che una condizione di semplice iperglicemia, deve essere considerato una patologia del sistema cardiovascolare, che può promuovere lo sviluppo della aterosclerosi con le sue varie forme di danneggiamento d’organo. Il danno cardiovascolare può precedere la stessa comparsa dell’iperglicemia, perché trova la sua ragion d’essere in una serie di anomalie derivate dalla resistenza insulinica, di cui la dislipidemia diabetica è una tipica espressione. Ciò fa sì che, nella terapia del diabete di tipo 2, si debba mirare, non solamente al controllo della glicemia, ma anche alla neutralizzazione degli altri fattori di rischio, quali l’ipertensione arteriosa, l’eccesso di colesterolo Ldl e la stessa dislipidemia.