“Io sono nata a Fonni, il punto più alto della Sardegna, in quella che anticamente veniva chiamata Barbagia. I Romani non sono riusciti a conquistarci”. Questo è quello che mi dice.
Questo è il sottotesto che leggo: “Se non ci sono riusciti i Romani, stanne certa, non ci riuscirà neppure il diabete”.
Paola Prina, architetto di Torino, da 30 anni col diabete, con esordio a 21, è una folata di vento che profuma di mirto. Vento, dico, perché in tutto quello che mi racconta si riconosce uno spirito libero fino al midollo.
“Se voglio fare una cosa, non c’è santo che mi fermi… Se anche c’è una mezza possibilità, non mollo”.
Caparbietà sarda, amore per la vita, attitudine all’ottimismo, curiosità verso tutto ciò che ancora non è stato esplorato: tutte cose che stanno bene insieme e che Paola rappresenta a meraviglia.
“Niente di quello che accade è totalmente negativo. Ho il diabete da quando ho 21 anni, è vero, però questo mi ha portato a mangiare bene, a fare attività fisica, a condurre uno stile di vita sano. Il diabete non mi ha messo limiti, perché ho scelto di non farmi ingabbiare. Non l’ho mai usato come alibi. È stato qualcosa che al contrario mi ha sempre spronato”. E così snocciola, una a una, esperienze di vita, attraverso le quali quanto enunciato prende forma, vigore e contorni precisi.
Mi racconta di un volontariato di diverse settimane in Benin, Africa, dove il problema principale era la mancanza di frigoriferi e la conseguente conservazione dell’insulina. Mi racconta di essere salita su una mongolfiera nelle Langhe, di aver fatto il corso da sommelier dell’ AIS (Associazione Italiana Sommelier), di essersi cimentata nel teatro, e di aver preso prima la patente della moto, poi quella della macchina.
Ve l’ho detto, questa donna è fatta di vento.
Ma anche di mare; lascito antico, istinto primario di qualunque isolano. Di chiunque sia nato in una terra che finisce dove inizia l’acqua. “Ho preso 3 brevetti in un anno, quando ho scoperto l’esistenza di Diabete Sommerso. Finalmente ho potuto realizzare il sogno di dedicarmi alla subacquea”.
Il diabete, per Paola, è anche una storia famigliare. Suo fratello è stato il primo a doverci fare i conti: a 3 anni l’esordio. Poi è stata la volta di Paola, un paio di decadi dopo. Sapeva già di cosa si trattasse, ma l’aveva sempre vissuto da spettatrice, poiché, a detta di chi ne fa quotidiana esperienza, il diabete è sempre una faccenda corale, che non sconvolge soltanto la vita della persona in questione, ma di tutti i componenti che le gravitano attorno.
“Il diabete di mio fratello era il classico diabete infantile, mellito, di tipo 1. Per me la questione è stata diversa. Sono certa che il mio esordio sia da imputare a una situazione di grande stress. Avevo lasciato la Sardegna e vivevo sola a Torino, improvvisamente carica di tante responsabilità: lo studio, la gestione della casa, la lontananza. Poi è stata la volta di mia sorella, diabete LADA” [diabete autoimmune latente negli adulti, ndr].
Tre fratelli, tre storie differenti e certamente tre reazioni differenti. Non esiste, anche tra coloro che condividono un legame di sangue, un diabete uguale a un altro.
“Io sono stata seguita da sempre dal Dottor Giorgio Grassi. Ed è stata una fortuna. Potrei dire che siamo cresciuti insieme. Io come paziente e lui come medico”. Perché alla fine, anche se si è immersi in una vita densa, piena, appagante e ricca, la differenza la fanno le persone.
E quando, in chiusura, le chiedo: “c’è qualcosa di cui non abbiamo parlato che vorresti dirmi?”, mi risponde: “io vorrei ringraziare. Perché avere una patologia cronica ti cambia. Sentirsi diversi ti cambia. È inevitabile. Io voglio ringraziare tutte le persone che fanno – o hanno fatto – parte della mia vita, e questa diversità non me l’hanno fatta pesare, incoraggiandomi quotidianamente. Insomma tutti coloro che mi hanno supportato e sopportato. Entrambe le cose!”
Ringraziare è sempre un bel modo per chiudere un’intervista, penso; ma poi parliamo ancora un po’ e scopro che è suo il progetto di uno dei negozi di cioccolato più famosi a Torino.
E le viene da ridere mentre mi racconta di tutte quelle ore passate a tu per tu con una delle tentazioni alimentari più irresistibili di sempre. Uno strano contrappasso. Cioccolato e diabete.
E sì, non ci sono dubbi, anche il cioccolato è un modo per chiudere in bellezza.
A cura di Patrizia Dall’Argine