Ultramaratona a tappe Assl Oristano-Aniad: il diabetologo Gianfranco Madau ci racconta l’esperienza di 40 persone, tra i suggestivi paesaggi della Gallura

Ogni volta che mi metto le scarpe da trekking non so cosa mi aspetta.
La natura – anche una natura che conosco come le mie tasche – avrà sempre qualcosa di nuovo da raccontarmi, non so chi incontrerò lungo la via e il mio corpo non sempre reagirà come prevedo.
Eppure, ogni volta che mi metto le scarpe da trekking so cosa mi aspetta.
Suderò, farò fatica, proverò soddisfazione a fine tappa – soprattutto se si tratta di una tappa che ha richiesto tutto il fiato, la determinazione e la pazienza che ho in corpo – condividerò quel momento con chi incontrerò sulla strada, i muscoli mi faranno male, ma il mio cuore sarà saldo e spalancato.

Per questo, proprio per il fatto di averlo sperimentato più e più volte, mi brillano gli occhi ogni volta che vengo a conoscenze di storie di cammino.
Se le persone coinvolte, poi, hanno deciso di intraprendere questo cammino in Sardegna, allora l’immaginazione comincia a fare capriole: che profumi attraverseranno la Gallura? Quali colori?
Dovrei chiederlo a loro, agli oltre 40 che dal 24 al 28 aprile hanno partecipato all’Ultramaratona a tappe, organizzata dal Servizio di Diabetologia dell’Ats-Assl Oristano insieme ad Aniad (Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici).
Dagli 11 ai 77 anni; alcuni col diabete e alcuni no.
E questa è la prima cosa che amo del camminare: è un’attività sportiva, democratica, che fa bene a tutti e che tutti accoglie.

“Si tratta di un momento importante sia per chi ha il diabete, sia per chi non ce l’ha. Tutti provano la stessa fatica. A fine tappa, tutti mangiano la stessa cosa. Chi non frequenta persone con diabete guarda a questa patologia come qualcosa di estraneo e di difficile comprensione. Mentre si cammina si parla di glicemie. E se capita che qualcuno abbia un’ipoglicemia, tutti possono rendersi conto di cosa accade realmente in questi casi. La conoscenza porta alla libertà”, mi racconta il dottor Gianfranco Madau, diabetologo presso il Servizio di Diabetologia di Oristano.
“Quando si cammina tutti insieme si va allo stesso passo. Se qualcuno resta indietro, lo si aspetta. Non c’è un primo e un ultimo. Questo a livello di testa è potentissimo, perché si accetta la diversità non solo fisica, ma anche caratteriale e senza alcun tipo d’insofferenza”.
Quando si cammina insieme si crea un legame invisibile. La strada aggrega, unisce, ma è la fatica il collante.
“Ci capita, dopo una dura giornata costellata di salite, di chiedere se qualcuno abbia intenzione di proseguire in macchina il giorno dopo, ma tutti rifiutano. Quest’anno siamo alla nona edizione e ormai sono sparite anche le vesciche. Siamo sempre seguiti da un podologo, ma abbiamo imparato ad utilizzare le scarpe adatte”.

A Oristano, camminare è un’attività che viene portata avanti con assiduità e non soltanto durante eventi di questo genere.
“Ogni lunedì, mercoledì e venerdì, un gruppo di persone, di età diverse, si trova per camminare insieme. È presente uno zoccolo duro molto affiatato. Nell’Ultramaratona, invece, il motore del gruppo sono 3 persone sui 70 anni – di cui due col diabete – perché hanno uno spirito allegro e gioioso”.
Parliamo anche dei campi scuola per ragazzi col diabete organizzati tutti gli anni: “in questi campi, come parte sanitaria, noi cerchiamo di intervenire pochissimo. Vengono condotti da chi si confronta con il diabete da tempo. Esattamente come nella maratona, si crea complicità nel gruppo”.

“Un ragazzo col diabete diventa responsabile di sé stesso molto prima degli altri. Prima di tutto impara a scegliere i prodotti alimentari giusti per lui. Se ci pensiamo spesso accade il contrario: è il prodotto che sceglie noi.
Il medico può dare degli strumenti e adattare la terapia a seconda della risposta, ma il grande lavoro viene fatto quotidianamente a casa. Un ragazzo col diabete è consapevole perché è costantemente chiamato a scegliere. Ogni iniezione di insulina è una scelta, e viene fatta almeno 4 volte al giorno”.

A cura di Patrizia Dall’Argine