Uniti in vetta al vulcano

Anno 22 – n.3

Ottobre – Dicembre 2005

www.diabete.net

TREKKING A 1000 METRI ORGANIZZATO DALL’ANIAD E DA BAYER

Uniti in vetta al vulcano

Un gruppo di diabetici e diabetologi ha scalato lo Stromboli: per  sottolineare l’importanza dell’attività sportiva e per rafforzare il principio della cooperazione tra medico e paziente. Un’esperienza riuscita, di cui parliamo con il promotore, il dottor Gerardo Corigliano.

Medici e pazienti insieme sulla cima del vulcano, a condividere una splendida esperienza sportiva in uno scenario naturale stupendo: uniti nello sforzo di raggiungere la vetta così come devono essere uniti nel far fronte all’impegno quotidiano per la buona salute di chi ha il diabete. Potrebbe essere questa la sintesi dell’iniziativa organizzata dall’Aniad (Associazione nazionale italiana atleti diabetici) e da Bayer nella scorsa primavera, che, sotto il titolo “Autocontrollo, esercizio fisico e complicità per una più efficace terapia”, ha abbinato una scalata allo Stromboli e una riflessione collettiva tra diabetici e staff medico (Sul portale www.diabete.net  ne trovate testimonianze scritte e fotografiche). Ne parliamo con il dottor Gerardo Corigliano, diabetologo di Napoli, presidente dell’Aniad e anima di questa esperienza, che ha dimostrato una volta di più quanto sport e diabete vadano d’accordo.
“Dal punto di vista sportivo -spiega Corigliano- si è trattato di un trekking di un certo impegno fisico: oltre 900 metri di dislivello, una marcia con pendenze medio-alte della durata di 3 ore e mezza. Occorreva una certa preparazione per partecipare: avevamo infatti consigliato un mese di allenamento aerobico fatto di corse, marce, pedalate, nuoto”.
Una trentina di giovani con diabete, di età dai 20 ai 40 anni, hanno preso molto sul serio l’idea, si sono presentati ben allenati e hanno affrontato con entusiasmo la scalata dello Stromboli: quasi tutti sono riusciti ad arrivare in vetta, soltanto qualcuno ha dovuto fermarsi prima. Fra i partecipanti, vi erano anche persone esperte in questo genere di attività (come l’alpinista Vittorio Casiraghi, della Adiq), ma molti hanno colto proprio questa occasione per intraprendere un allenamento specifico. Un primo dato significativo è che, nelle oltre tre ore di cammino, non vi sono state situazioni di emergenza o di malessere. E soprattutto nessuna ipoglicemia: tutti i partecipanti hanno valutato prima quale sarebbe stato il loro dispendio energetico prevedibile, la durata dell’attività, la cinetica dell’insulina e hanno preso le adeguate contromisure. Sono semplicemente capitati comprensibilissimi momenti di stanchezza.
E, fianco a fianco con i diabetici, ad affrontare l’escursione c’erano anche i medici.
“Sì -commenta Corigliano- perché lo spirito dell’iniziativa era di unire esercizio fisico e complicità nel rapporto fra medico e persona con diabete. Complicità nel senso etimologico di allacciarsi insieme, uniti idealmente da un obiettivo comune e da una solidarietà concreta, così da aiutarsi l’un l’altro per superare gli ostacoli e le asperità del percorso, dandosi la mano per evitare eventuali cadute. Ma complicità intesa anche in senso non letterale, sul piano della relazione fra medico e paziente. Stare “allacciati insieme” per realizzare uno stesso fine: sullo Stromboli, raggiungere la cima e godersi uno spettacolo naturale straordinario; quotidianamente, nella gestione del diabete, far sì che la persona conviva bene con la patologia e non contro la patologia”.
Un’attività sportiva, fondata sulla collaborazione tra tutti i membri del gruppo, è stata dunque rappresentazione ideale di questo fine: ridurre al minimo la distanza tra medico e paziente. “Infatti -prosegue il presidente dell’Aniad- bisogna considerare il medico non come uno che sceglie l’itinerario o che fa da guida, ma come una persona che con il suo sapere accompagna il paziente in un percorso, dandogli gli elementi conoscitivi perché possa fare le sue scelte da solo”.
L’escursione sullo Stromboli prevedeva, dopo la salita, un confronto in aula, coordinato dalla psicopedagogista Antonella Fiocchi, per commentare insieme la prova e confrontare opinioni e impressioni. Corigliano ne ha tratto motivo di particolare soddisfazione, perché dalla discussione è emerso che lo scopo dell’iniziativa era stato pienamente raggiunto.
“L’aspetto che i partecipanti hanno detto di avere più apprezzato -testimonia il diabetologo- è stato l’avere lavorato insieme senza le barriere tradizionali, e questo lo hanno affermato sia i medici sia i pazienti. E’ stato sottolineato che la condizione diabetica è una strada da percorrere insieme e che il successo è legato alla capacità di cooperazione, ciascuno con il suo ruolo, di tutti i componenti del team diabetologico: la persona con diabete, il diabetologo, la famiglia, l’infermiere, il dietista, il medico di famiglia, la scuola. Io sono molto contento di quest’esperienza e mi è piaciuto che si siano trovati intorno a uno stesso tavolo diabetologi di trincea, ricercatori, professori universitari e pazienti”.
Più in generale, da presidente dell’Aniad, associazione da anni impegnata nell’ambito “diabete e sport”, Corigliano tiene a ricordare quanto siano cresciute negli ultimi anni attenzione e consapevolezza nei riguardi dell’importanza dell’attività sportiva: “Il progresso della cultura sportiva nel campo del diabete è stato notevole sia fra coloro che hanno il diabete, che sentono lo sport come un’esigenza fondamentale della persona, sia nel team diabetologico. Oltre a essere cresciuta la sensibilità verso il tema, sono aumentate le conoscenze dei medici. Un tempo i divieti imposti ai diabetici spesso celavano scarsa conoscenza in materia. Ora, invece, i medici hanno acquisito le competenze tecniche che permettono loro di dare consigli efficaci su come scegliere e praticare una corretta attività sportiva”.

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