A quota 8000 10 anni dopo
Marco Peruffo e i suoi compagni celebrano l’impresa del Cho Oyu 2002, affrontando la scalata di un altro gigante montuoso, lo Shisha Pangma, in Tibet. Un’impresa seguita via web su www.diabete.net
Dieci anni fa Marco Peruffo fu il primo alpinista diabetico a scalare gli ottomila metri, arrivando su una delle più alte cime del mondo, il Cho Oyu, la Dea del turchese, sull’Himalaya. Quale modo migliore per festeggiare l’anniversario se non ripetere l’impresa? Proprio mentre scriviamo, Marco è partito, alla volta dell’Himalaya, per un nuovo ottomila, anzi 8.027: partenza da Milano, poi Pechino, quindi Lhasa e su, sopra il Tibet, con l’obiettivo di arrivare sul Shisha Pangma (chiamato anche Gosainthan), la “Cresta Nevosa sopra i Prati” a ovest dell’Everest. Una spedizione della durata di poco più di un mese in tutto.
L’iniziativa, sempre sotto le insegne dell’Associazione Adiq (Alpinisti diabetici in quota) e sponsorizzata da Bayer, coinvolge, oltre all’esperto Marco, Alberto Zanolini, Enzo Cerato e Manuel Dal Molin (tutti e quattro diabetici di tipo 1) e due provetti alpinisti non diabetici, Giampaolo Casarotto e Camillo Carboni. Il programma prevede una prima tappa di trekking e poi l’ascesa verso la quattordicesima cima più elevata del mondo: l’ultima fase, quella della sfida al fatidico tetto degli 8.027, è riservata a Marco e Manuel, accompagnati da Giampaolo e Camillo.
Se la prima volta, nel 2002, aveva suscitato grande interesse ed entusiasmo, questo bis ha ottenuto
un riscontro ancor più straordinario, grazie all’enorme sviluppo della comunicazione in rete: tramite il portale diabete.net, alle web page di Ottomilaventisette (raggiungibili digitando www.diabete.net/spedizione-tibet), e lo spazio Adiq di Facebook, questo Adiq Tour 2012 ha diffuso costantemente notizie, testimonianze, immagini, aggiornamenti e ha raccolto visite e commenti da parte di visitatori in crescita giorno dopo giorno, sin dal momento del suo annuncio e poi durante le varie tappe della prova.
La passione e l’entusiasmo dei giovani di Adiq (ma sì, giovani, anche se Marco, con i suoi 43 anni, è chiamato “el vecio”, “il vecchio”) sono contagiosi: le loro descrizioni degli stati d’animo, dei preparativi, delle cose viste e vissute (non solo e non sempre attinenti al diabete, naturalmente) hanno conquistato l’attenzione di tanta gente e aperto la possibilità di positivi contatti che la tecnologia e l’attitudine sempre più spiccata a servirsene rendono facili e diretti. Anche perché la performance tibetana aggiunge un altro tassello a quell’affascinante narrazione che ci racconta come un pur ingombrante compagno di viaggio come il diabete possa essere serenamente portato in cima al mondo in condizioni di pieno controllo. E, se con il diabete (“e l’insulina nella giacca”) si possono scalare ottomila metri e toccare la Cresta nevosa, vuol proprio dire che, con la adeguata preparazione e la salda consapevolezza, si può fare davvero tutto.
L’importante è l’autocontrollo
Su www.diabete.net/spedizione-tibet, intervistato da Cinzia Pozzi, Marco Peruffo spiega così quali sono le principali problematiche legate al diabete quando ci si trova in montagna ad alta quota: “Il diabete non influisce sull’acclimatamento, ma piuttosto sulla capacità di performance. Ad alta quota, essendoci poco ossigeno, l’attività muscolare è rallentata e si innesca uno stato di stress che porta alla produzione di ormoni che contrastano l’azione dell’insulina. Il rischio, per un diabetico, è l’iperglicemia, cioè avere un alto picco di zuccheri nel sangue. È per questo che parliamo sempre di autocontrollo, cioè ogni due ore in attività dovremo misurare la glicemia e capire e dosare bene il correttivo di insulina, se ce n’è bisogno. Nei sei viaggi precedenti che ho fatto ad alta quota, mediamente ho aumentato il mio fabbisogno insulinico tra il 20 e il 25% rispetto a quello normale a livello del mare”.