DAGLI USA UN INVITO AL RIGOROSO EQUILIBRIO METABOLICO
Con 4 insuline vivi meglio
Il Congresso della autorevole American diabetes association ha ribadito l’importanza di mantenere bassi i valori glicemici attraverso una terapia insulinica intensiva: è il modo migliore per tenere lontane le complicanze, come dimostrano tutti i principali studi scientifici
Pochi mesi fa si è svolto a San Diego, negli Stati Uniti, il 65° Congresso della American diabetes association, appuntamento scientifico annuale dal quale si attendono tutte le più importanti novità in tema di diagnosi e terapia del diabete e delle sue complicanze. Uno dei messaggi più significativi giunti dal congresso ci conferma che è possibile prevenire le complicanze cardiovascolari (in particolare, infarto del miocardio, angina, ictus) nei pazienti con diabete di tipo 1, con uno stretto controllo metabolico. L’argomento (che ripropone tematiche trattate da “Tuttodiabete” sul numero 1 di quest’anno) è stato chiaramente esposto dal dottor David Nathan, del Massachusets General Hospital di Boston, al momento di riferire i risultati dello studio di follow-up del Dcct denominato Edic (Epidemiology of diabetes interventions and complications study), che ha valutato gli effetti a lungo termine della precedente terapia insulinica intensiva rispetto a quella convenzionale.
Il Dcct aveva come obiettivo il confronto tra una terapia insulinica intensiva con 4 iniezioni quotidiane o con infusione continua sottocutanea di insulina e una terapia convenzionale basata su 1 o 2 somministrazioni al giorno. Nel gruppo in terapia intensiva, dopo 6 anni e mezzo, si è raggiunto un livello di emoglobina glicata (HbA1c) del 7% in media contro il 9% dei pazienti in terapia convenzionale. Lo studio fu interrotto nel 1993, con l’anticipo di un anno rispetto alla data prevista, perché la differenza di incidenza delle complicanze microangiopatiche (retinopatia, nefropatia, neuropatia) fra i due gruppi era così elevata da far considerare non etica la prosecuzione dello studio. Tutti i pazienti furono invitati a continuare la terapia insulinica intensiva o a convertire in intensiva la precedente terapia convenzionale.
Contrariamente a quanto rilevato per le complicanze microangiopatiche, non si era osservata, tuttavia, una differenza significativa nella incidenza di complicanze cardiovascolari, aterosclerotiche, verosimilmente a causa del troppo breve tempo di osservazione di soggetti in ancora giovane età. L’osservazione è stata quindi continuata nello studio di follow-up, Edic, che ha consentito di raccogliere alcuni sorprendenti risultati.
Dopo la conclusione del Dcct, i soggetti che fino a quel momento avevano seguito una terapia intensiva, raggiungendo il target di una HbA1c pari al 7%, malgrado l’invito a continuare nello stesso schema terapeutico, hanno visto gradualmente aumentare la loro emoglobina glicata fino a un valore medio di circa l’8%. Contemporaneamente, i soggetti in precedente terapia convenzionale, una volta invitati ad applicare un regime di terapia intensiva, hanno ottenuto una moderata riduzione della loro HbA1c dal valore iniziale del 9%. Dopo 4-5 anni dalla conclusione dello studio Dcct, non vi era più alcuna differenza significativa nella concentrazione di HbA1c fra i due gruppi. Ciononostante, un riesame dopo 7-8 anni dalla conclusione del Dcct della incidenza cumulativa della retinopatia, della microalbuminuria, in quanto indicativa di nefropatia incipiente, e della proteinuria clinica, espressione di nefropatia conclamata, dimostrava che i soggetti in precedente trattamento intensivo durante lo studio Dcct presentavano, malgrado l’incremento nel frattempo occorso della HbA1c, una incidenza di gran lunga inferiore delle complicanze rispetto ai soggetti in precedente terapia convenzionale.
Il concetto, di grande rilevanza, che emerge da questo studio Edic, è che gli effetti positivi del buon controllo metabolico sulle complicanze microangiopatiche si fanno sentire anche molti anni dopo che il buon controllo metabolico è stato abbandonato. Ciò vale anche in senso inverso, per il cattivo controllo metabolico, e significa che l’esposizione cronica a valori elevati di glicemia nei primi anni di insorgenza del diabete innesca una serie di meccanismi molecolari che si traducono in alterazioni della struttura e della funzione dei piccoli vasi non facilmente e immediatamente reversibili.
A questi dati già acquisiti in una analisi pubblicata nel 2003, si aggiunge ora la nuova analisi dello studio Edic, compiuta dopo 12 anni dalla chiusura del Dcct, che dimostra come anche le complicanze cardiovascolari, mediate dalla degenerazione aterosclerotica delle arterie, possano essere prevenute, in una misura superiore al 50%, nei soggetti trattati in modo intensivo nei primi 6 anni di malattia.
I pazienti con diabete di tipo 1 hanno un rischio di cardiopatia 10 volte superiore a quello dei non diabetici. Oggi sappiamo con certezza che l’esposizione a concentrazioni di glucosio cronicamente elevate determina non soltanto il danno dei piccoli vasi e quindi della retina, dei reni e dei nervi periferici, ma anche la trasformazione aterosclerotica delle arterie e quindi, in particolare, l’incidenza di cardiopatia ischemica.
La storia del Dcct e dell’Edic ci insegna che uno stretto controllo metabolico non è facile da mantenere nel tempo, ma che i vantaggi sono di enorme portata; e che è importante mirare a una quasi normoglicemia fin dall’esordio del diabete, perché, come abbiamo visto, i risultati ottenuti nei primi anni fanno risentire i loro effetti, in termini di incidenza di complicanze micro e macrovascolari, anche a distanza di 10 anni e oltre. (P.B.)