Diabete e disuguaglianze: verso l’equità nella salute

Quanto incide dove nasciamo e come viviamo sull’insorgenza e la gestione del diabete di tipo 2? Molto, perché i fattori sociali influenzano in maniera significativa la nostra salute.

L’obesità e il diabete di tipo 2 sono malattie: ciò vuol dire che a livello biologico e fisiologico smette di funzionare qualcosa, e per ottenere di nuovo la salute occorre unicamente agire sui complessi sistemi biologici che regolano il nostro corpo. Ma è davvero così?

Non esattamente: da tempo, ormai, la visione di una medicina che non tiene conto di tutto il resto (ovvero tutto ciò che riguarda la persona, dai suoi vissuti, alle sue relazioni, alle sue condizioni culturali, sociali ed economiche) è superata. La salute è determinata da una miriade di fattori, che non risiedono unicamente nei sistemi biologici.

Questo vale anche per patologie croniche come il diabete di tipo 2: la sua insorgenza e una sua gestione efficace non dipendono solo dalle cure o da predisposizioni genetiche, ma anche dal contesto in cui è immersa la singola persona. Per questo la ricerca biomedica sta cercando nuove strategie di prevenzione, di gestione e di cura di numerose patologie, tra cui il diabete di tipo 2, che tengano conto dei cosiddetti determinanti sociali della saluteper un accesso alle cure senza discriminazioni e una salute più equa.

I determinanti sociali della salute

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), i determinanti sociali della salute sono tutti quei fattori non medici che sono in grado di influenzare gli esiti di salute. In poche parole, sono le condizioni in cui le persone nascono, crescono, lavorano, vivono e invecchiano, e i sistemi che modellano le condizioni della vita quotidiana: ciò include le politiche e i sistemi economici, programmi di sviluppo, le norme sociali, le misure di politica sanitaria. I determinanti sociali della salute esercitano un’influenza non indifferente sulle disuguaglianze sanitarie (ovvero le disuguaglianze sia sullo stato di salute delle persone di uno stesso paese, che sull’accesso alle cure). In tutti i paesi del mondo, indipendentemente dal livello di reddito medio, salute e malattia seguono un gradiente socialepiù bassa è la posizione socioeconomica, peggiore è la salute.

Questo non è accettabile: sempre secondo l’OMS, tutti dovremmo avere un’equa opportunità di raggiungere il pieno potenziale di salute, e nessuno dovrebbe essere svantaggiato. Equità nella salute significa arrivare all’assenza di differenze evitabili, ingiuste o rimediabili tra gruppi di persone: per quanto riguarda il diabete di tipo 2, ci stiamo per lo meno avvicinando a questo obiettivo? Sembrerebbe di no.

Diabete di tipo 2 e società: cosa dicono i numeri

I dati lo confermano: l’incidenza di diabete di tipo 2 e di obesità negli ultimi decenni è cresciuta in maniera significativa, con un impatto notevolmente negativo per la popolazione globale, specie quella dei paesi più industrializzati. Tuttavia, non tutta la popolazione ne ha risentito allo stesso modo: gli osservatori sulla salute pubblica mostrano marcate disparità nella prevalenza del diabete per etnia, istruzione e reddito

È quanto riportano i risultati di un workshop del Ministero della Salute degli Stati Uniti d’America su questo tema, tenutosi nel 2017. Il lavoro ha rilevato che la prevalenza del diabete (sia quello diagnosticato che quello non diagnosticato) è notevolmente più alta negli adulti afrodiscendenti, nelle persone provenienti dal Messico nelle persone ispaniche, rispetto alle persone bianche. Non ci sono solo disuguaglianze etniche: man mano che nel paese aumenta il livello di istruzione, o diminuisce la povertà, diminuisce anche la prevalenza del diabete. Le disuguaglianze sociali, quindi, si intrecciano strettamente con quelle mediche: per esempio, la povertà diventa un significativo predittore di quali saranno le aree geografiche più a rischio di aumentata incidenza della malattia; non è ancora chiaro quale sia il meccanismo che giustifichi questi dati osservati, ma è molto probabile che nelle comunità con risorse insufficienti, il quartiere sia un importante vincolo all’accesso di fattori protettivi per la salute, come un’alimentazione sana e una vita attiva è stata ben documentata. Se tutte le persone del quartiere non vi possono accedere per mancanza di risorse, quindi, ciò aumenterà i fattori di rischio per l’insorgenza di diabete.

Pertanto, la collocazione geografica, l’istruzione, il reddito e altri fattori sociali concorrono a influenzare i famosi fattori di rischio comportamentali, quelli che tutti noi dovremmo ridurre il più possibile adottando stili di vita sani (per esempio modelli dietetici, livelli di attività fisica adeguati, eliminare il fumo di sigaretta). 

Alcuni studi hanno evidenziato che l’istruzione superiore è stata associata al raggiungimento degli obiettivi di prevenzione del diabete di tipo 2 legati alla dieta per l’assunzione di verdure, cereali integrali, carne e grassi buoni. Indicatori sociali più bassi, invece, sono stati associati a un peggiore controllo glicemico tra gli adulti (in particolare i giovani adulti) con diabete di tipo 2. Non si tratta solo di prevenzione: la qualità dei trattamenti del diabete e delle pratiche di cura per prevenire le complicanze legate al diabete varia notevolmente a seconda delle disparità sociali nell’accesso alle cure, e, sebbene ci siano state riduzioni incoraggianti nella maggior parte delle complicanze del diabete negli Stati Uniti, le disparità rimangono in maniera marcata.

Non bisogna pensare che questo sia un problema solo oltreoceano: il recente Italian Diabetes Barometer Report, pubblicato nei primi mesi del 2021, fotografa una situazione che ricalca quella statunitense. Ai numeri in costante aumento di prevalenza di diabete di tipo 2, incluse le complicanze e un maggior carico sul Sistema Sanitario Nazionale, aumentano anche le disuguaglianze di tipo sociale. Guardando al livello di istruzione, infatti, i dati nazionali ci dicono che tra le donne adulte di 45-64 anni con un basso livello di istruzione (al massimo la scuola dell’obbligo) si registra una prevalenza di diabete pari al 5,7%, mentre tra le coetanee con un’istruzione superiore la quota si riduce all’1,7%. Tra gli uomini i dati di prevalenza indicano rispettivamente l’8,4% e il 3,5%. Addirittura nelle donne di più di 65 anni, la prevalenza di diabete si dimezza, se si considerano quelle laureate (da 18,4% al 9,3%). Anche per quanto riguarda la mortalità, i dati seguono la stessa tendenza: insomma, i fattori sociali incidono notevolmente sul diabete di tipo 2, e sulla salute in generaleCome fare per assicurare una maggiore equità?

Disuguaglianze, cosa si può fare

Gli interventi nelle strutture sanitarie per affrontare le disparità legate al diabete di tipo 2 comportano complesse considerazioni che vanno dal singolo paziente ai medici, al sistema sanitario e alla politica: sebbene, infatti, una prospettiva clinica sia considerata fondamentale per il trattamento del diabete, non è più sufficiente, occorre avere un approccio più ampio che tenga conto anche dei determinanti sociali.

Cosa si può fare per coinvolgere in maniera più diretta i pazienti? I partecipanti al workshop americano prima citato hanno discusso tre tipi di interventi per affrontare i determinanti sociali della salute in contesti comunitari e di quartiere: 

  • Interventi che coinvolgono operatori sanitari per ottenere una mediazione culturale tra i membri della comunità, i sistemi sanitari e i servizi sociali. Inoltre il loro ruolo sarebbe quello di fornire contenuti del programma di prevenzione in maniera accessibile, offrendo consulenza informale, coaching e advocacy. I ricercatori concordano che queste figure potrebbero svolgere un ruolo importante nel ridurre le disparità di salute.
  • Programmi di prevenzione da remoto, attraverso l’uso di internet e della digital health: grazie all’erogazione con tool digitali, i programmi di prevenzione possono essere accessibili anche alle persone con risorse limitate e prevedono numerosi vantaggi per la prevenzione e il trattamento del diabete di tipo 2. 
  • Intervenire sui contesti di quartiere: in questo caso si tratta di interventi che mirano a modificare l’ambiente e il contesto sociale per favorire l’adozione da parte di tutti di stili di vita protettivi. Tali strategie, tuttavia, richiedono un approccio molto più ampio, con un’azione coordinata da più settori e discipline: eppure, è la direzione giusta da prendere per ottenere una salute sempre più equa.

A cura di Chiara Di Lucente


Fonti: