Il diabete gestazionale è quella forma di diabete che colpisce le donne nel secondo o terzo trimestre della gravidanza, a causa dei cambiamenti ormonali e corporei (aumento di peso), provocando rischi sia per il bambino sia per la madre.
Secondo i dati di prevalenza nazionali ed europei, circa il 6-7% di tutte le gravidanze è complicato dal diabete (ogni anno in Italia più di 40.000 gravidanze).
Anche se dopo la gravidanza il diabete gestazionale regredisce spontaneamente non bisogna abbassare la guardia: il rischio di sviluppare diabete di tipo 2 soprattutto nei primi 5 anni post-partum è molto alto.
Per questo i cambiamenti di stile di vita e di alimentazione seguiti durante la gravidanza dovrebbero proseguire anche dopo, all’interno di un piano di prevenzione che preveda anche un monitoraggio costante del glucosio nel sangue per 13 settimane dopo il parto e almeno annualmente negli anni successivi.
Tuttavia, numerosi studi qualitativi hanno mostrato che esistono diverse barriere che impediscono o rendono difficile mantenere questo stile di vita orientato alla riduzione del rischio: fattori personali come la ricerca di una nuova gravidanza, problemi logistici, difficoltà nel proseguire la dieta in famiglia o sul lavoro e scarsa o ambigua informazione da parte dei curanti.
Uno studio dell’Università di Boston ha cercato di esplorare come la percezione delle donne che si forma durante la gravidanza abbia un impatto sui comportamenti post-partum e e lo fa attraverso un’analisi delle narrazioni. Le narrazioni infatti rappresentano il modo con cui le persone danno forma alla propria esperienza, ricostruendola e attribuendole un significato. L’idea dei ricercatori è che comprendendo gli archetipi narrativi con cui le donne descrivono la loro esperienza, in relazione alla consapevolezza del rischio, i medici possano costruire un dialogo migliore e indirizzato alle specifiche preoccupazioni e bisogni delle donne nel post-partum.
Lo studio ha coinvolto 28 donne che hanno sofferto di diabete gestazionale e che avevano partorito da non più di 5 mesi. Le donne sono state intervistate, seguendo una traccia di domande aperte finalizzate a favorire il racconto sviluppando temi come l’esperienza della gravidanza, il parto, l’attuale situazione, le informazioni ricevute sul rischio di diabete di tipo 2, i consigli ricevuti, le sfide affrontate e il punto di vista sul rischio e sul proprio futuro.
Le trascrizioni sono state poi analizzate, cercando di individuare le caratteristiche nel tipo di plot.
Tre archetipi di storie
Gli autori della ricerca analizzano le storie raccolte utilizzando il framework descritto per le narrazioni di malattia dal sociologo Arthur Frank. “Le esperienze sono intensamente personali; la rivendicazione di unicità dell’esperienza è reale e richiede di essere onorata. Ma la capacità delle persone di avere esperienze dipende da risorse culturali condivise che forniscono parole, significati e confini che segmentano il flusso del tempo in episodi…”, scrive Arthur Frank.
In virtù di questo assunto, il sociologo descrive 3 prototipi di storia di malattia diffusi nella nostra cultura:
- Storie di restituzione: Ieri ero sano, oggi sono malato, domani sarò di nuovo sano. La malattia è solo una temporanea deviazione nella storia del sé, non una rottura da integrare nella propria biografia. Si tratta del modello di narrazione culturalmente dominante e favorito proprio dall’approccio biomedico.
- Storie di caos: praticamente un’anti-narrazione, che esprime nel suo non essere efficace, il senso della perdita di controllo sull’esperienza di malattia e sulla vita. Si tratta di storie difficili da ascoltare, come se il sé narrante fosse continuamente interrotto.
- Storie di quest o di ricerca: in questo plot la malattia diventa un’esperienza di crescita, un viaggio da cui non si torna indietro ma si guadagna qualcosa, un percorso di crescita e resilienza, un nuovo significato per la propria esistenza, un senso di solidarietà con la sofferenza degli altri.
I risultati dello studio
I ricercatori hanno ritrovato tutti e 3 i tipi di narrazione nelle storie raccolte, incluse alcune storie che includevano più di uno per volta. Le storie di restituzione sono risultate le più frequenti, comparendo in 13 interviste. Più rare le storie di quest e di caos (4 e 4), mentre 7 narrazioni ricadevano in una tipologia mista.
Le donne che utilizzano storie di restituzione vedono l’esperienza del diabete gestazionale come circoscritta alla gravidanza. Per questo spesso dopo il parto ritornano ad abitudini di vita precedenti senza contemplare il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2. Alcune di questa mantengono in forma blanda le nuove norme di alimentazione sana, ma spesso lo fanno a fronte di vantaggi secondari come la perdita di peso o un senso di benessere.
Le storie di quest al contrario portano a una ridefinizione dell’esperienza (e del comportamento) a partire dall’esperienza vissuta. Racconta una delle donne intervistate: “Quando ero incinta hanno anche detto che le pazienti con diabete gestazionale possono essere a rischio di avere il diabete in un secondo momento. Il futuro… devi prenderti cura di te stesso per evitarlo. Nessuno vuole essere un paziente con il diabete. Per questo motivo, ora capisco la lezione che questa esperienza mi ha insegnato. Continuo ancora a seguire le indicazioni”.
Queste donne abbracciano il concetto di rischio di diabete di tipo 2 e sono motivate ad evitarlo, l’esperienza del diabete gestazionale rappresenta una spinta per un cambiamento più profondo.
Le donne che utilizzano narrazioni caotiche sono quelle che non sono riuscite a mantenere il controllo sul diabete gestazionale – non sono riuscite a cambiare lo stile di vita o i loro sforzi non hanno sortito effetti di miglioramento. Manifestano, infatti, il loro senso di frustrazione e di fallimento. Vedono anche il futuro come fuori dal loro controllo e una di loro descrive il diabete persino come un destino ineluttabile perché segnato dalla storia familiare.
Le storie “miste” presentano in alcuni casi un percorso di quest durante la gravidanza con un forte impegno nel modificare lo stile di vita, che si trasforma in un ritorno alla normalità nel post-partum, pur mantenendo alcuni dei nuovi comportamenti acquisiti.
In altri casi il caos caratterizza la fase della gravidanza, con le difficoltà nel seguire i consigli dei medici, ma nel periodo del post-partum la narrazione passa alla struttura della quest, con la nuova lezione appresa e portata avanti anche nella vita quotidiana.
Una storia presenta invece la descrizione caotica relativa alla fase del post-partum in cui gli impegni quotidiani relativi alla maternità rendono impossibile mantenere l’impegno nella prevenzone e il controllo sul proprio stile di vita.
Come i medici possono valorizzare le narrazioni
Precedenti studi hanno mostrato che il modo in cui le informazioni sul diabete gestazionale sono o non sono fornite dai curanti durante la gravidanza contribuisce all’incertezza e alla vulnerabilità delle donne nel periodo post-partum.
Sono 4 le principali aree che richiedono di essere esplorate nella conversazione tra medico e paziente: ruoli e credenze culturali, esposizione agli stigmi sociali, supporto sociale e professionale disponibile e cosa costituisce un’informazione adeguata per la donna.
Arthur Kleinman, antropologo e psichiatra, descrive diversi modelli esplicativi che le persone e i gruppi sociali possono utilizzare per descrivere salute e malattia. Propone una serie di domande che potrebbero essere utili anche nella consultazione clinica con le donne con diabete gestazionale:
- Come chiama il suo problema? Che nome ha?
- Che cosa pensa abbia causato il suo problema?
- Che cosa l’ha fatto iniziare quando è successo?
- Che cosa le causa la sua malattia? Come agisce?
- Quanto è grave? Avrà un decorso lungo o breve?
- Che cosa la spaventa di più della sua malattia?
- Quali sono i problemi principali che la malattia le ha causato?
- Che tipo di trattamento pensa dovrebbe ricevere? Quali sono i risultati più importanti che lei spera di ottenere?
La capacità di ascoltare le narrazioni delle donne con diabete gestazionale e rintracciare le strutture prototipiche descritte da Frank fornisce uno strumento in più agli operatori sanitari per indirizzare nella scelta di specifici modelli o strumenti di educazione e di counselling.
Per esempio, le storie di restituzione coincidono con i modelli culturali della medicina contemporanea, spesso rinforzate dalla strutturazione dell’assistenza sanitaria post-partum e allo stesso tempo esprimono il forte desiderio della donna di tornare alla normalità: il medico non dovrebbe quindi rinforzare questa narrazione di ritorno alla normalità.
Un altro esempio riguarda le donne che raccontano di aver vissuto un’esperienza di caos, caratterizzata dalla perdita di controllo, che potrebbero essere sostenute da modelli educativi che rafforzano il supporto sociale o della famiglia.
Bibliografia
- Gunn, C., Bernstein, J., Bokhour, B. and McCloskey, L. (2020), Narratives of Gestational Diabetes Provide a Lens to Tailor Postpartum Prevention and Monitoring Counseling. Journal of Midwifery & Women’s Health. doi:10.1111/jmwh.13122https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/jmwh.13122
- Frank A. The Wounded Storyteller. Chicago, IL: The University of Chicago Press; 1995
- Kleinman A. Concepts and a model for the comparison of medical systems as cultural systems. Soc Sci Med. 1978;12(2B):85-93
- https://www.salute.gov.it/portale/donna/dettaglioContenutiDonna.jsp
- https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/d/diabete-gestazionale#terapia