Quel che la mamma deve sapere
Livelli di glucosio nel sangue inferiori alla norma sono piuttosto frequenti nelle gestanti con diabete: l’importanza di un rigoroso controllo che assicuri il corretto equilibrio glicemico
Nel diabete in gravidanza, che si tratti di diabete pregestazionale di tipo 1 o 2 o di diabete gestazionale, è fondamentale mantenere la glicemia su livelli assolutamente normali per evitare il rischio di effetti negativi che l’iperglicemia comporta sia sul feto sia sulla madre. Inevitabilmente ciò comporta un aumento del rischio ipoglicemico. Da notare, tuttavia, che durante la gravidanza normale i valori della glicemia sono inferiori mediamente del 20% rispetto ai valori fuori dalla gravidanza. Nelle gestanti con diabete di tipo 1 una ipoglicemia grave occorre con una frequenza da 3 a 5 volte maggiore nel primo trimestre rispetto all’anno precedente la gravidanza. I fattori di rischio per una ipoglicemia grave durante la gravidanza sono una lunga durata del diabete, la perdita dei sintomi dell’ipoglicemia, una storia di gravi ipoglicemie nell’anno precedente, valori eccessivamente bassi di emoglobina glicata nel primo trimestre, ampie fluttuazioni della glicemia e un uso eccessivo di dosi supplementari di insulina fra i pasti. L’occorrenza di nausea e vomito nei primi mesi non comporta invece, contrariamente a quanto sarebbe logico attendersi, un aumento del rischio ipoglicemico.
L’ipoglicemia non rappresenta di norma, di per sé, un rischio per il feto, a meno che la madre non subisca un trauma durante l’episodio ipoglicemico. Ciò incoraggia al rispetto delle linee guida che invocano uno stretto controllo glicemico durante la gravidanza fin dal concepimento. L’acquisizione della normoglicemia è infatti essenziale nella fase iniziale della gravidanza, quando si svolge l’organogenesi, per minimizzare il rischio di malformazioni fetali, mentre, nelle fasi successive, un controllo glicemico accurato riduce il rischio di macrosomia fetale e di complicanze perinatali. Nelle donne con diabete pregestazionale il fabbisogno di insulina aumenta progressivamente durante la gravidanza, ma precipita improvvisamente dopo il parto. Da qui la necessità di adeguare la terapia insulinica alle mutate condizioni fisiopatologiche. Anche l’allattamento al seno rappresenta un fattore di rischio ipoglicemico per le donne in trattamento insulinico. (P.B.)
Attenzione ai bambini
I bambini con diabete di tipo 1 sono particolarmente esposti al rischio di ipoglicemia per la frequente difficoltà di prevedere quale sarà l’assunzione di cibo e per l’inevitabile variabilità della attività fisica. Una particolare attenzione va rivolta ai bambini al di sotto dei 5 anni, un’età in cui si realizza la maturazione del sistema nervoso centrale, per il rischio che una ipoglicemia ricorrente possa incidere negativamente sullo sviluppo della capacità cognitiva. Dopo la pubertà, in età adolescenziale, l’incremento del rischio ipoglicemico è dovuto invece prevalentemente all’intolleranza nei confronti dei controlli e delle restrizioni imposte dal diabete, che frequentemente interviene a questa età, con il risultato di una più ampia fluttuazione giornaliera della glicemia.
Occhio anche al peso
L’obesità della madre durante la gravidanza comporta il rischio che anche il figlio divenga obeso durante l’infanzia. Uno studio eseguito nel Colorado (Epoch Study) ha dimostrato che questo rischio si riduce sensibilmente se si ha cura di controllare l’aumento ulteriore del peso durante la gravidanza. I nati da madri obese che non erano state sottoposte alle misure necessarie per contenere un eccessivo incremento ponderale durante la gravidanza hanno mostrato, quando esaminati all’età di 10 anni, valori più elevati di indice di massa corporea (Bmi), di circonferenza alla vita, di volume di tessuto adiposo sottocutaneo e viscerale e di trigliceridi e valori più bassi di colesterolo Hdl. Da qui la necessità, evidenziata dallo studio, di sottoporre a un accurato monitoraggio le gestanti obese per il controllo del peso corporeo.
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Bilancio dell’emergenza
Durante l’ultimo congresso della European association for the study of diabetes (Easd), è stata presentata una analisi retrospettiva sull’accesso a 38 dipartimenti di emergenza italiani, relativo a 2.889 episodi di ipoglicemia, in un arco temporale di 18 mesi (dal gennaio 2011 al giugno 2012). Dopo aver escluso i casi di ipoglicemia riconducibili ad altre condizioni (come cachessia neoplastica o condizioni terminali), sono stati individuati 2.675 episodi di ipoglicemia capitati a persone con diabete mellito (età media 71 anni, 51% maschi; glicemia media relativa all’episodio di ipoglicemia inferiore a 44 mg/dl).
Al momento della crisi ipoglicemica il paziente era in trattamento con insulina nel 64% dei casi, da sola o in associazione ad altri trattamenti. Tra coloro che erano in cura con farmaci orali, i medicinali più usati erano metformina, sulfaniluree, repaglinide.
234 casi di ipoglicemia (157 dei quali indotti da insulina) erano associati a qualche tipo di trauma, 39 a incidenti stradali (di questi 25 indotti da insulina). In un caso su due, l’ipoglicemia era stata trattata dal paziente stesso prima dell’arrivo in ospedale, ma nel 51% era stato necessario l’intervento del personale di emergenza.
Presso il dipartimento d’emergenza, l’ipoglicemia è stata trattata in un caso su 5 attraverso la somministrazione di glucosio per bocca, in un caso su 3 attraverso infusioni endovenose di glucosio e mediante la somministrazione di glucagone per iniezione intramuscolare nel 2% dei casi. Un soggetto su 5 -di quelli arrivati in pronto soccorso- è stato trattenuto in osservazione per meno di 24 ore, il 7% rifiutava il ricovero, il 31% veniva ricoverato in una divisione di medicina (degenza media di 8 giorni). Tra i ricoverati per ipoglicemia, sono stati registrati 77 decessi (il 9% del totale dei ricoveri).
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